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Finanziamento socio: quando è irripetibile? Analisi

La Cassazione ha stabilito che un finanziamento socio erogato a una società già palesemente insolvente, non per salvarla ma per ritardarne il fallimento, è una prestazione contraria al buon costume. Di conseguenza, le somme non possono essere restituite (soluti retentio). Il caso distingueva tra la disciplina della postergazione ex art. 2467 c.c., inapplicabile a una grande società quotata, e l’immoralità del finanziamento stesso che ne causa la non ripetibilità.

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Finanziamento Socio: Quando il Prestito alla Società Diventa Irripetibile

Un finanziamento socio erogato alla propria azienda in un momento di grave difficoltà finanziaria può sembrare un atto di sostegno, ma può nascondere insidie legali significative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito che, in determinate circostanze, tali finanziamenti possono essere considerati ‘immorali’ e, di conseguenza, le somme versate diventano irripetibili. Analizziamo questa importante decisione per capire le implicazioni per soci e amministratori.

Il Contesto del Caso: Finanziamento e Crisi Aziendale

Il caso ha origine dalla richiesta di un socio e amministratore di una grande società per azioni quotata in borsa. Egli aveva chiesto di essere ammesso al passivo del fallimento della società per due crediti distinti: uno, di oltre 4 milioni di euro, per un finanziamento socio erogato all’azienda, e un altro, di circa 100.000 euro, per compensi da amministratore.

Il Tribunale di merito aveva accolto la richiesta per i compensi ma respinto quella relativa al finanziamento. La ragione del rigetto risiedeva nel fatto che il prestito era stato concesso in un momento in cui la società versava già in uno stato di palese e manifesta insolvenza. Secondo i giudici, l’operazione non era parte di un credibile piano di risanamento, ma aveva l’unico scopo di ritardare la dichiarazione di fallimento, aggravando ulteriormente la posizione debitoria della società.

La Decisione della Cassazione sul Finanziamento Socio Immorale

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, dichiarando inammissibile il ricorso del socio. Il punto centrale della motivazione risiede nell’applicazione dell’articolo 2035 del Codice Civile, che disciplina le prestazioni contrarie al buon costume.

Secondo la Suprema Corte, il concetto di ‘buon costume’ non si limita alla morale sessuale o alla decenza, ma abbraccia anche i principi di correttezza ed etica nelle relazioni economiche e di mercato. Un finanziamento socio erogato a un’impresa già ‘decotta’, con il solo fine di procrastinarne l’inevitabile fallimento, rientra in questa categoria. Tale comportamento è stato definito ‘predatorio’ nei confronti degli altri soggetti economici, in quanto aumenta l’esposizione debitoria dell’impresa e danneggia gli altri creditori. Di conseguenza, si applica il principio della soluti retentio: chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che costituisce offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato.

Differenza tra Postergazione (Art. 2467 c.c.) e Prestito Immorale

Il ricorrente aveva tentato di inquadrare la sua azione nella disciplina dell’articolo 2467 del Codice Civile, che regola la postergazione dei finanziamenti dei soci. Questa norma prevede che, in certe condizioni di squilibrio finanziario, il rimborso del prestito del socio sia subordinato al pagamento di tutti gli altri creditori.

La Cassazione ha respinto nettamente questa tesi, chiarendo due aspetti fondamentali:
1. Ambito di applicazione: L’art. 2467 c.c. è pensato per le società a responsabilità limitata e, per estensione giurisprudenziale, per le società per azioni ‘chiuse’ (a compagine ristretta o familiare), al fine di contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale. Non è applicabile a una grande società quotata e ‘aperta’ al mercato dei capitali di rischio.
2. Conseguenze giuridiche: La postergazione implica che il credito del socio esiste ma viene soddisfatto per ultimo. Nel caso di prestazione contraria al buon costume, invece, il diritto alla restituzione viene negato in radice. Il finanziamento è considerato irripetibile.

La Sorte del Ricorso Incidentale

Il fallimento aveva a sua volta presentato un ricorso incidentale, contestando il riconoscimento del compenso da amministratore. Tuttavia, essendo stato presentato oltre i termini di legge, la sua efficacia era condizionata all’ammissibilità del ricorso principale. Poiché quest’ultimo è stato dichiarato inammissibile, anche il ricorso incidentale è diventato inefficace.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di tutela dell’ordine economico e della correttezza nei rapporti commerciali. Un finanziamento che non ha alcuna possibilità realistica di risanare un’impresa, ma serve solo a mascherarne l’insolvenza, è un atto che inquina il mercato. Permette a un’entità economicamente ‘morta’ di continuare a contrarre debiti, ingannando la fiducia di fornitori, clienti e altri creditori. La condotta dell’amministratore-socio è stata quindi valutata non come un tentativo di salvataggio, bensì come un’azione dannosa per l’intera economia, contraria a quella morale sociale che impone trasparenza e lealtà nelle transazioni. La sanzione della non ripetibilità della somma versata è la diretta conseguenza di questa violazione dei principi etici fondamentali che devono governare il mercato.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante per soci e amministratori. Finanziare la propria società è legittimo, ma diventa un’attività ad alto rischio quando l’impresa è già in uno stato di insolvenza manifesta e irreversibile. In assenza di un piano di risanamento concreto e credibile, un finanziamento socio può essere qualificato come prestazione contraria al buon costume, con la conseguenza più grave: la perdita totale e definitiva del capitale versato, senza possibilità di richiederne la restituzione in sede fallimentare.

Un finanziamento di un socio a una società in crisi è sempre rimborsabile?
No. Se il finanziamento viene erogato quando la società si trova in uno stato di manifesta insolvenza e l’operazione non è inserita in un ragionevole programma di salvataggio ma ha il solo scopo di ritardare il fallimento, può essere considerata una prestazione contraria al buon costume. In questo caso, la somma versata non è rimborsabile.

La regola della postergazione dei finanziamenti dei soci (art. 2467 c.c.) si applica a tutte le società per azioni?
No. La Corte di Cassazione ha specificato che la disciplina della postergazione, prevista per le S.r.l., si può estendere solo alle società per azioni ‘chiuse’, ovvero a partecipazione ristretta o familiare. Non si applica a società ‘aperte’ come quelle quotate in borsa, che si rivolgono al mercato del capitale di rischio.

Cosa si intende per prestazione ‘contraria al buon costume’ in ambito finanziario?
In ambito finanziario, si intende un’operazione che viola i principi etici e di correttezza che regolano le relazioni economiche. Finanziare un’impresa già in stato di decozione al solo fine di ritardarne la dichiarazione di fallimento, incrementando così i suoi debiti a danno di altri creditori, è considerato un comportamento ‘predatorio’ e contrario alla morale sociale ed economica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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