Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18487 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18487 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6502/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE), domicilio digitale:
EMAIL
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di BRESCIA n. 193/2022 depositato il 10/02/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Dagli atti di causa risulta quanto segue.
Nell’anno 2011 la società RAGIONE_SOCIALE, costituita il 10.10.2010, venne coinvolta con altre tre società in un articolato progetto imprenditoriale avente ad oggetto la realizzazione di n. 4 impianti fotovoltaici in Ferrara.
Al tal fine i soci erogarono finanziamenti per complessivi € 4.503.315,00, proporzionalmente alle quote di partecipazione al capitale, di cui € 1.954.694,00 di competenza della RAGIONE_SOCIALE, socia al 40%.
Realizzato il campo fotovoltaico, in difetto di finanziamento dell’opera da parte di una società di leasing, l’amministratore di RAGIONE_SOCIALE richiese al socio RAGIONE_SOCIALE l’erogazione di un ‘prestito ponte’.
In data 9.11.2011 venne stipulato un mutuo per l’importo di € 3.000.000,00, con scadenza al 31.3.2012, interessi al 6% annuo e garanzia che, in caso di mancata restituzione, RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto richiedere la vendita dell’impianto fotovoltaico tramite asta competitiva affidata ad un terzo, con pagamento preferenziale del proprio credito sul ricavato.
1.1. -Dichiarato il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, i crediti insinuati al passivo da RAGIONE_SOCIALE vennero ammessi al passivo per € 1.954.694,00 a titolo di finanziamento soci e per € 4.058.301,37 a titolo di mutuo, in via chirografaria postergata ai sensi dell’art. 2647 c.c.
1.2. –RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione allo stato passivo solo per questo secondo credito, deducendo che: (a) l’erogazione di € 3.000.000 «non è qualificabile quale finanziamento soci ex art. 2467 c.c., ma come versamento a titolo di mutuo», categoria distinta dai finanziamenti disciplinati da detta norma; ( b) difettano i presupposti oggettivi previsti dall’art. 2467 c.c., in quanto al momento dell’erogazione del mutuo «la società aveva ricevuto finanziamenti soci per circa 5 milioni di euro, nei mesi precedenti» e quindi non poteva ritenersi sottocapitalizzata.
1.3. -Il Tribunale di Brescia ha rigettato l’opposizione, osservando che: i) la distinzione tra finanziamenti dei soci e mutui non è condivisibile, ed anzi il mutuo è la forma tipica del finanziamento soci, sicché la qualificazione come mutuo non esclude l’applicazione dell’art. 2467 c.c.; ii) lo squilibrio finanziario della società finanziata è stato provato sulla base di vari indici (segnatamente: l’ indice di indebitamento o leverage , dato dal rapporto tra debiti e patrimonio netto, che in dottrina aziendalistica si ritiene fisiologico se di valore inferiore o uguale a 4, mentre nel caso di specie è pari a 153,8; l’ indice di indipendenza finanziaria (o grado di patrimonializzazione), dato dal rapporto tra patrimonio netto e totale passivo di stato patrimoniale per 100, che dovrebbe raggiungere almeno il 25%, mentre nel caso di specie nel 2011 è pari allo 0,6%); iii) tutti i bilanci successivi al 2011 confermano la sottocapitalizzazione, sino ad arrivare al bilancio al 31.12.2015 dove addirittura emerge un patrimonio netto negativo per € 2.744.239,00; iv) le obiezioni dell’opponente sulla insussistenza di una condizione di sottocapitalizzazione sono infondate, in quanto: i finanziamenti dei soci per circa 5 milioni di euro nei mesi precedenti (che secondo l’ opponente costituirebbero capitale di rischio) rafforzano patrimonialmente la società solo se rinunciati, altrimenti rimangono debiti; il fatto che l’attivo fosse superiore ai debiti porta semplicemente a concludere che il patrimonio netto, all’epoca, era positivo, ma ciò non dice nulla circa il rapporto tra mezzi propri e mezzi di terzi; il fatto che si trattasse di una società sottocapitalizzata ab origine non esclude la regola della postergazione; v) anche indipendentemente dall’eccessivo indebitamento, alla medesima conclusione si perverrebbe utilizzando l’ulteriore criterio dettato dal secondo comma dell’art. 2467 c.c., della ricorrenza di «una situazione finanziaria della società in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento», da identificare nella condizione in cui sia prevedibile che il finanziamento non possa essere restituito alla scadenza senza pregiudicare la regolare soddisfazione degli altri creditori; vi) infatti, alla data del finanziamento sarebbe stato ragionevole un conferimento di capitale, non solo perché la stessa ricorrente motivò l’operazione finanziaria con l’incapacità della società di
reperire finanziamenti sul mercato del credito, ma anche perché, in caso di mancato rimborso del finanziamento, non solo COGNOME avrebbe avuto la facoltà di far vendere l’impianto, ma, sul ricavato, si sarebbe soddisfatta in via preferenziale rispetto agli altri creditori, sicché vi era la prospettiva di una incapienza del ricavato dalla dismissione del bene a soddisfare tutti i creditori.
-Avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE propone ricorso in due motivi, illustrato da memoria, cui il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo, rubricato « Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 cpc n. 5 », il ricorrente lamenta che il decreto impugnato sarebbe fondato su una lettura parziale e superficiale dei documenti, tale da condurre ad una distorta valutazione dei dati di bilancio, nonché su una fuorviante lettura del disposto dell’art. 2467 c.c., in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (Cass. 7919/2020) da cui si desumerebbe che i debiti per finanziamento soci dovrebbero essere rappresentati in bilancio «in una voce riserva in conto capitale e ciò in quanto tali rapporti di credito potranno esser considerati nella loro esigibilità solo all’esito del soddisfacimento dei creditori sociali», sicché «il conferimento dei soci a titolo di finanziamento soci costituisce sostanziale capitale di rischio» ; inoltre, l’affermazione del tribunale per la quale il mutuo è la forma tipica di finanziamento non avrebbe «alcun fondamento in diritto». Infine, il tribunale non avrebbe dovuto valutare e motivare in merito alla sussistenza o meno dei criteri che costituiscono la definizione dell’apporto di RAGIONE_SOCIALE quale finanziamento soci , disciplinato dall’art. 2467 c.c. , quanto erogazione di somma a titolo di mutuo, disciplinata dagli artt. 1813 -1822 c.c.
2.2. -Il secondo mezzo denuncia violazione o errata applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., avuto riguardo sempre ad una pretesa «superficiale lettura del bilancio di RAGIONE_SOCIALE nelle voci dei debiti che riportavano in tale ambito i finanziamenti già conferiti dai soci, anziché valutarli quale riserva in conto capitale, stante la condizione di rimborsabilità di
tali crediti, sostanzialmente rinviati alla estinzione di tutti i residui debiti della società».
-Entrambi i motivi, per come formulati, sono inammissibili.
3.1. -Il primo non rispetta il paradigma del novellato art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., che onera il ricorrente di indicare -nel rispetto degli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), c.p.c. -il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8503/2014; conf., ex plurimis , Cass. 27415/2018).
Detto onere non è stato assolto dal ricorrente, che invoca la superata formula della ‘ Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ‘, non più deducibile come vizio in sede di legittimità.
Anche lo sviluppo argomentativo della censura testimonia che si tratta di una mera contrapposizione della tesi del ricorrente all’opposto convincimento dei giudici di merito, come tale non sindacabile in questa sede.
E’ appena il caso di aggiungere che il tribunale ha preso in esame e valutato entrambe le condizioni presupposte dall’art. 2467 c.c. e che il mutuo rappresenta il modulo canonico con cui vengono regolati i rapporti di finanziamento tra la società e i soci.
3.2. -Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo, che solo apparentemente veicola, in modo del tutto generico, un vizio di violazione di legge, risolvendosi in realtà nella medesima censura di lettura superficiale dei dati da parte dei giudici di merito, che come tale non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità.
E’ noto, però, che la valutazione delle prove è riservata al prudente apprezzamento del giudice di merito, mentre l’adombrato vizio di travisamento della prova non rispetta i canoni di recente messi a punto dalle Sezioni unite di questa Corte, nel senso che «Il travisamento del contenuto oggettivo della prova -che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto
probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre -se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti -il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale» (Cass. Sez. U, 5792/2024).
-Segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 115 del 2002 (Cass. Sez. U, nn. 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17/04/2024.