Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6908 Anno 2025
sul ricorso 6066/2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME RAGIONE_SOCIALE VINCENZI NOME
– intimati –
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6908 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1947/2020 depositata il 28/07/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/2/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME, già escusso da Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. -a cui nella titolarità del credito sarebbe poi succeduta RAGIONE_SOCIALEr.lRAGIONE_SOCIALE, qui rappresentata da RAGIONE_SOCIALE.p.a. -nella sua qualità di fideiussore di RAGIONE_SOCIALE, ricorre avverso l’epigrafata sentenza con la quale la Corte di Appello di Venezia -di seguito alla cassazione con ordinanza 27932/2018 di una sua pregressa pronuncia che aveva ritenuto inapplicabile l’art. 1956 cod. civ. in relazione al fatto che la banca avesse proceduto al pagamento di due assegni tratti sul conto della società pur in difetto della provvista -ha nuovamente reiterato il rigetto dell’opposizione al decreto ingiuntivo proposta dall’odierno ricorrente sull’assunto che la banca nel dar corso al pagamento in contestazione non fosse onerata di chiedere la speciale autorizzazione prescritta dalla norma in quanto lo COGNOME era anche socio, nonché legale rappresentante della società debitrice: «tale onere» -osserva infatti il giudicante, richiamando sul punto i conformi precedenti di questa Corte -«non sussiste allorché nella stessa persona coesistono le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice principale (o socio), giacché, in tale ipotesi, la richiesta di credito da parte di persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito».
Il mezzo azionato dallo COGNOME si vale di quattro motivi, seguiti da memoria, ai quali resiste con controricorso l’intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il primo motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata sentenza per violazione o falsa applicazione dei principi regolatori della cognizione del giudice del rinvio ex artt. 384 e 394 cod. proc. civ. e se ne deduce la nullità per l’indebita rinnovazione dello iusdicere su parti coperte dal giudicato ex art. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. perché la Corte di appello aveva rilevato d’ufficio l’eccezione relativa all’inapplicabilità nella specie dell’art. 1956 cod. civ. in ragione della qualità di socio dello Sfriso, malgrado il giudizio di rinvio debba svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si possa perciò estendersi a questioni che, pur se non esaminate, costituiscono il presupposto logico della sentenza stessa, e ciò perché il giudicato che segue a quella pronuncia copre il dedotto ed il deducibile -non ha pregio e va pertanto rigettato.
Non dubita, per vero, il collegio della fondatezza dei principi cui si richiama il motivo, ma essi non sono invocabili con riguardo alla fattispecie in esame. Nei precedenti gradi di giudizio era stata esaminata solamente la questione se, nel fatto che la banca avesse dato corso al pagamento degli assegni tratti dalla debitrice benché non vi fosse la provvista, fosse ravvisabile una nuova concessione di credito in difetto di autorizzazione del fideiussore e se il fideiussore dovesse perciò ritenersi liberato. Circostanze, ambedue, negate dai precedenti pronunciamenti del Tribunale e della Corte di appello, dell’avviso che la condotta della banca non fosse rappresentativa di quel «far credito» di cui parla l’art. 1956 cod. civ. e che la mancanza di autorizzazione da parte del fideiussore non fosse perciò fonte della sua liberazione. Il sindacato esperito nell’occasione si era arrestato sulla soglia dell’applicabilità alla specie dell’art. 1956 cod. civ., ma, negandola, nessuna determinazione preclusiva poteva discendere da quei giudizi in ordine alle ulteriori condizioni richieste dalla norma ai fini della liberazione del fideiussore. E, dunque, una volta che la
precedente sentenza di appello, impugnata per cassazione proprio in relazione al punto dell’applicabilità o meno alla specie in esame dell’art. 1956 cod. civ., è stata cassata sulla considerazione che «la nozione di “far credito”, a cui si richiama tale disposizione, non è limitata a specifiche, date forme di finanziamento – come per contro sembrerebbe, al fondo, ritenere la Corte d’appello -, ma si estende a tutte le ipotesi in cui il creditore garantito dalla fideiussione venga ad aumentare l’esposizione di rischio corrente del debitore », sicché, di conseguenza, «la banca, che “anticipa” la somma di cui all’assegno, viene a “far credito” al proprio correntista, secondo quanto propriamente previsto dalla norma dell’art. 1956», il giudice del rinvio, come egli stesso rettamente riconosce, era chiamato a verificare se nella fattispecie in giudizio ricorressero o meno gli ulteriori presupposti per dare accesso all’applicazione della norma in discussione. Si apriva, coerentemente con il principio affermato dalla Corte di Cassazione, e giusta la natura prosecutoria del nuovo giudizio, uno spazio di cognizione che non poteva ritenersi precluso per il fatto che la condizione di socio dello RAGIONE_SOCIALE fosse elemento già acquisito al giudizio e su cui era sceso il giudicato, l’efficacia del giudicato, conseguente alla pronuncia della Corte, esaurendosi nell’affermazione del principio di diritto e non estendendosi, perciò, all’accertamento delle ulteriori condizioni richieste per la liberazione del fideiussore.
L’ulteriore indagine espletata dal giudice del rinvio si è sviluppata all’interno del perimetro tracciato dalla sentenza di cassazione e non comporta, dunque, la denunciata violazione né dei limiti propri di quel giudizio, né tantomeno di un inesistente giudicato.
Il secondo motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 1956 cod. civ. perché la Corte di appello aveva ritenuto di applicare la norma in
ragione della qualità di socio dello COGNOME nella convinzione che proprio per detta qualità egli «non potesse non sapere» che l’operazione era rappresentativa di un’ulteriore concessione di credito, quando le regole della correttezza e della buona fede, cui andavano ricondotti gli obblighi informativi che la banca contrae con il proprio cliente avrebbero dovuto condurre alla ben diversa conclusione che il pagamento degli assegni era stata un’operazione svolta e decisa autonomamente dalla banca -è inammissibile ai sensi dell’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ. vero che regolandosi nei termini qui contestati la Corte di appello si è uniformata agli stabili principi di questa Corte, ancora di recente pervenuta ad affermare che l’effetto liberatorio di cui all’art. 1956 cod. civ. non si rende riconoscibile in relazione al caso di tre fideiussori, tutti legati da rapporti di parentela, dei quali uno era socio della società garantita e l’altro ne era stato amministratore, perché «la mancata richiesta di autorizzazione non può tuttavia configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune o può presumersi tale» (Cass., Sez. III, 17/07/2023, n. 20713), così come non può giovarsene il socio di minoranza, «perché, nell’esercizio delle prerogative proprie di componente dell’assemblea (quantomeno in occasione dell’approvazione dei bilanci), ha la concreta possibilità di conoscere la situazione economica e la sua colpevole ignoranza non può giustificare un obbligo “sostitutivo” di vigilanza e controllo in capo alla banca creditrice» (Cass., Sez. III, 17/06/2024, n. 16822).
4. Il terzo motivo di ricorso -con cui si censura la sentenza impugnata perché la Corte di appello aveva omesso l’esame di un fatto decisivo costituito dall’essere stata la comunicazione della sottoscrizione della fideiussione rimessa alla banca non dal fideiussore, ma da funzionari della banca medesima ed ancora del
fatto decisivo costituito dalla forzata interruzione dei pagamenti concordati tra la debitrice e la banca a causa del fallimento della prima -è inammissibile, oltre che per l’evidente estraneità dei “fatti” menzionati al paradigma normativo richiamato, per l’altrettanta evidente estraneità al tessuto motivazionale sviluppato dalla sentenza, posto che questa, come consta dalle pagg. 12-14 della motivazione, si è data cura di esaminare funditus entrambe le allegazioni, giudicandole infondate, sicché, in definitiva l’odierna censura si compendia nell’inammissibile perorazione a rinnovare il giudizio sul punto.
5. Il quarto motivo di ricorso -con cui si censura l’impugnata sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 385 cod. proc. civ. perché la Corte di appello aveva liquidato a carico dello Sfriso le spese dell’intero giudizio, comprensive di quelle di primo e di secondo grado, nonché di quelle di cassazione, quantunque ciò fosse consentito solo nell’ipotesi di riforma della sentenza di primo grado, nel diverso caso in cui l’appello verso di questa fosse stato respinto imponendosi la sola liquidazione delle spese del solo giudizio di appello e semmai di quello di cassazione -non ha pregio e va pertanto rigettato.
E’ principio stabilmente invalso nella giurisprudenza di questa Corte che « i n virtù del c.d. principio espansivo di cui all’art. 336 c.p.c., la cassazione parziale della sentenza ha effetto sulle parti della sentenza dipendenti da quella cassata, onde l’annullamento in sede di legittimità della pronuncia del giudice del merito, seppure limitato a un capo di essa, si estende alla statuizione relativa alle spese processuali, sicché il giudice di rinvio ha il potere di rinnovare totalmente la relativa regolamentazione in base all’esito finale della lite potendo disporre la compensazione delle spese, totale o parziale, ed anche condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione –
e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte» (Cass., Sez. III, 11/11/2024, n. 29056).
Il giudice di appello si è esattamente attenuto al principio in parola, sì che la sentenza va, perciò, esente dalla censura qui formulata.
Il ricorso va conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 7200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 14 febbraio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME