Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18834 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18834 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25478 R.G. anno 2023 proposto da:
COGNOME e COGNOME Rosa , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE
rappresentata e difesa dall’avvocato
, NOME COGNOME controricorrente avverso la sentenza n. 1672/2023 depositata il 28 settembre 2023 della Corte di appello di Palermo.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11 giugno 2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Il Tribunale di Agrigento ha rigettato l’opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso il precetto con il quale era stato loro intimato, in qualità di fideiussori della società fallita RAGIONE_SOCIALE, inadempien te all’obbli gazione di rimborso di un mutuo fondiario, il pagamento della somma di euro 533.107,43, oltre spese.
─ La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 28 settembre 2023, ha respinto il gravame avverso la pronuncia di primo grado.
3 . ─ Ricorrono per cassazione, con sei motivi, i predetti COGNOME e COGNOME. Resiste, con controricorso e memoria, Fino RAGIONE_SOCIALE, quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Col primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132, n. 4, c.p.c.. Si deduce che col primo motivo di appello era stata sollevata la questione, non affrontata dalla Corte di Palermo, circa la necessità di conteggiare ai fini dell’usura l’effetto anatocistico determinato dall’applicazione degli interessi moratori a quelli corrispettivi. Si lamenta che il Giudice del gravame abbia pure mancato di esaminare la censura circa l’indeterminatezza del tasso di interesse realmente applicato: indeterminatezza nascente dalla mancata specificazione, nel contratto, del tipo di ammortamento programmato.
La prima delle richiamate censure è inammissibile.
Nel ricorso per cassazione è riprodotto il motivo di appello in cui è stato lamentato che la «capitalizzazione anatocistica supera il tasso soglia usura»; dalla trascrizione della detta censura si desume che il ricorrente non ebbe a fornire indicazioni atte a dar conto dell’usurarietà del saggio di interesse frutto della capitalizzazione: il saggio di interesse in questione non risulta difatti indicato. E’ evidente, dunque, che il richiamato motivo di appello risultava essere generico. Ne discende che
la Corte di merito non aveva l’obbligo di statuire al riguardo, in quanto alla proposizione di un motivo di appello inammissibile non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito di esso (con riferimento al caso della domanda inammissibile, cfr. ad es.: Cass. 16 luglio 2021, n. 20363; Cass. 25 settembre 2018, n. 22784; Cass. 2 dicembre 2010, n. 24445). Come è evidente, poi, a fronte dell’insussi stenza dell’ obbligo di pronunciare, non poteva configurarsi nemmen o l’obbligo di motivare, questo presupponendo quello.
Quanto alla seconda questione, essa è di diritto ed è priva di fondamento.
Infatti, in caso di mutuo bancario con rimborso rateale del prestito regolato da un piano di ammortamento «alla francese», la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione composto degli interessi debitori non è causa di nullità parziale del contratto, per indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né per violazione della normativa in tema di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti tra gli istituti di credito e i clienti (Cass. Sez. U. 29 maggio 2024, n. 15130).
2. Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 644 c.p., della l. n. 108 del 1996, degli artt. 1375, 1815 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Si lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che nel TEG (tasso effettivo globale) andavano conteggiati l’imposta sostitutiva prevista dal d.P.R. n. 601/1973 e i costi notarili, ossia l’onorario del notaio corrisposto dai ricorrenti.
Il motivo è infondato.
A norma dell’art. 1, comma 4, l. n. 108 del 1996, «er la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito ». L’imposta sostitutiva non rientra, quindi, tra le voci che compongono il TEG (tasso effettivo globale). Quanto agli oneri notarili, essi non possono
definirsi « spese collegate alla erogazione del credito »: nozione, questa, che deve riferirsi ai costi dell’ attività bancaria in quanto tale; le istruzioni della Banca d’Italia escludono, infatti, le spese notarili dal computo del tasso effettivo globale.
3. ─ Col terzo motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1815, 1284, 2697 c.c. e 117 t.u.b.. Il motivo è incentrato, in sintesi, sulla mancata trasparenza del contratto di mutuo: si deduce, infatti, che i ricorrenti, al momento della stipula, non erano informati quanto alla modalità di rimborso del finanziamento; si assume, in particolare, che essi non avrebbero consapevolmente scelto il piano di ammortamento «alla francese», che prevede una rata costante, comprensiva di una quota di capitale e una quota di interessi il cui ammontare dipende dal regime finanziario della capitalizzazione composta.
Il motivo è inammissibile.
I ricorrenti hanno dedotto, col primo motivo, che la Corte di appello mancò di pronunciarsi sulla censura proposta nel giudizio di gravame e vertente sull’indeterminatezza del tasso di interesse. Sul punto non è quindi deducibile il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto a fronte di esso chi ricorre per cassazione ha l’onere , a pena d’inammissibilità della censura, di indicare non solo le norme di legge di cui intende lamentare la violazione e di esaminarne il contenuto precettivo, ma anche di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23745; Cass. 6 luglio 2021, n. 18998): tale onere non è stato adempiuto proprio in quanto la Corte territoriale non ebbe a pronunciare al riguardo. La doglianza formulata era, del resto, priva di fondamento in diritto, in quanto la mancata indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione non determina una nullità contrattuale, come
si è in precedenza detto.
4. ─ Il quarto mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 61, 100, 115 e 191 c.p.c., 1815, 1224 e 2697 c.c., della l. n. 108 del 1996, dell’art. 644 c.p. e dell’art. 117 t.u.b. . Si lamenta che la Corte di Palermo abbia «ritenuto provato il rispetto dei tassi soglia anche per gli interessi moratori rifacendosi ad una perizia espletata in altro giudizio e con altre parti della quale era stato espressamente denunciato che il c.t.u. ‘s i era rifiutato di conteggiare gli interessi di mora effettivamente fatti pagare ‘ »; si rileva essersi sostenuto, in appello, che dovesse «accertarsi, a mezzo di tecnico esperto, l’avvenuto superamento del tasso soglia usura a seguito della capitalizzazione della rata non pagata al tasso di mora».
La censura è inammissibile.
Essa investe l’accertamento di fatto del giudice del merito, che sfugge, come tale, al sindacato di legittimità. Il mezzo di censura è altresì carente di specificità, dal momento che contiene il rinvio all’elaborato peritale relativo a una consulenza espletata in altro giudizio, senza fornire ulteriori ragguagli al riguardo: di contro, l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi deve avvenire alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481), oltre che fornendo indicazioni quanto alla loro localizzazione nei fascicoli di causa (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28184).
5. ─ Il quinto motivo denuncia la violazione del d.lgs. n. 206 del 2005. Si rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, i ricorrenti andavano considerati come persone fisiche, non rappresentando alcuna società commerciale, onde rientravano nella categoria dei privati consumatori. Viene inoltre osservato che le disposizioni che limitavano la facoltà, in capo al garante, di opporre eccezioni, come anche il suo potere di far valere la decadenza di cui all’art. 1957 c.c., integravano clausole abusive, secondo il codice del
consumo. Si aggiunge che «la maggiorazione prevista in contratto in caso di mora e le relative penali e maggiorazioni, così come le rinunce ai diritti sanciti dal codice civile, senz’altro clausole vessatorie, che per essere efficaci ed applicabili dovevano essere oggetto della prova di avvenuta specifica trattativa».
Il motivo è fondato nel senso che segue.
Si legge nella sentenza impugnata che «la violazione del codice del consumatore, invocata da parte appellante, postula che si tratti di ‘ consumatore ‘ e cioè della ‘ persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta ‘ , ipotesi non ricorrente nel caso di specie, atteso che il contratto azionato è stato acceso a garanzia della società RAGIONE_SOCIALE esercente attività commerciale». In tal senso -è aggiunto , «ingiustificatamente viene invocata la disciplina del codice del consumatore, non potendosi COGNOME e COGNOME COGNOME considerarsi tali, avendo agito per scopi funzionali all’attività commerciale svolta dalla società, debitrice principale».
Nel contratto di fideiussione, i requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica devono essere valutati con riferimento alle parti di esso, senza considerare il contratto principale, come affermato dalla giurisprudenza unionale (Corte giust. UE 19 novembre 2015, C-74/15, Tarcau , e Corte giust. UE 14 settembre 2016, C-534/15, COGNOME ), dovendo pertanto ritenersi consumatore il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento (cd. atti strumentali in senso proprio) (Cass. Sez. U. 27 febbraio 2023, n. 5868; Cass. 16 gennaio 2020, n. 742).
Poiché i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica, in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), assumono poi rilievo profili quali l’ entità della partecipazione al capitale sociale, o la qualità di amministratore della società garantita assunta dal fideiussore (Cass. 13 dicembre 2018, n. 32225).
La decisione della Corte di appello, con cui l’applicazione della detta disciplina di tutela del consumatore al contratto di garanzia è negata in ragione della funzionalizzazione di questo all’attività commerciale svolta dal garantito, che è un imprenditore commerciale, si rivela pertanto errata: essa costituisce espressione di una visione superata (quella che aveva portato la Corte di giustizia ad affermare, in passato, che un contratto di fideiussione stipulato da una persona fisica, la quale non agisce nell’ambito di una attività professionale, è escluso dalla sfera di applicazione della direttiva quando esso garantisca il rimborso di un debito contratto da un’altra persona la quale agisce, per quanto la concerne, nell’ambito della propria attività profe ssionale: così Corte giust. CE 17 marzo 1998, C-45/96, RAGIONE_SOCIALE ).
Né appare concludente l’argomento , speso dalla Corte di merito, per cui le clausole in contestazione, in quanto inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, non potrebbero considerarsi predisposte dal contraente.
Il ragionamento è svolto avendo riguardo alle clausole vessatorie contemplate dal codice civile – tant’è che la Corte di appello cit a l’art. 1341 c.c. , ed è certamente ius receptum che le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come predisposte dal contraente medesimo ai sensi dell’art. 1341 c.c. e, pertanto, pur se vessatorie, non necessitano di specifica approvazione (per tutte: Cass. 16 luglio 2020, n. 15253; Cass. 19 giugno 2017, n.
15237).
La disciplina a tutela del consumatore esige, tuttavia, considerazioni differenti.
L’ultimo comma dell’art. 34 c. cons. dispone che nel contratto concluso mediante la sottoscrizione di moduli e formulari predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali incombe sul professionista l’onere di provare che clausole ed elementi di clausola siano stati oggetto di specifica trattativa. Ciò non significa, tuttavia, che nel caso di contratti diversi da quelli standard incomba al consumatore che agisce in giudizio dare la prova negativa riguardo alla trattativa. Come è stato già chiarito da questa Corte, infatti, la trattativa non costituisce elemento costitutivo della vessatorietà, bensì rileva quale presupposto oggettivo di esclusione dell’applicazione della disciplina di tutela in questione: opera, cioè come fatto impeditivo; sicché, mentre incombe al consumatore che agisce in giudizio per la declaratoria di inefficacia della clausola allegare e provare che ricorrono i presupposti ed i requisiti necessari e sufficienti per pervenire alla declaratoria domandata, e cioè che il contratto è stato predisposto dal professionista che lo utilizza nel quadro della sua attività professionale, e che le clausole costituenti il contenuto del contratto corrispondono a quelle vessatorie di cui dell’art. 33, comma 2, e 36, comma 2, c. cons., compete in ogni caso al professionista dare la prova positiva di tale fatto impeditivo, integrato dallo svolgimento di una trattativa connotata dai connotati della individualità (per investire « clausole o elementi di clausola costituenti il contenuto dell’accordo, presi in considerazione singolarmente e nel significato che assumono nel complessivo tenore del contratto »), della serietà (per essere la contrattazione « svolta dalle parti mediante l’adozione di un comportamento obiettivamente idoneo a raggiungere il risultato cui è diretta ») e dell ‘ effettività (per risultare la detta trattativa « non solo storicamente ma anche in termini sostanziali effettuata, nel rispetto della autonomia privata delle parti, riguardata
non solo nel senso di libertà di concludere il contratto ma anche nel suo significato di libertà e concreta possibilità anche per il consumatore di determinare il contenuto del contratto ») (cfr. Cass. 26 settembre 2008, n. 24262, in motivazione). La disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 34 cit. non deve quindi indurre a credere che la distribuzione dell’onere probatorio ivi prevista operi solo con riguardo ai negozi conclusi con l’uso di moduli o formulari: e difatti la giurisprudenza di questa Corte non distingue, con riguardo alla tematica che interessa, tra contratti standard e contratti predisposti per singoli affari.
La regola non subisce deviazioni nella particolare ipotesi in cui il contratto sia concluso nella forma dell’atto pubblico .
Questa Corte si è già pronunciata con riguardo all’ipotesi in cui il testo contrattuale venga predisposto, su incarico di una o di entrambe le parti, da un notaio o da altri professionisti, quali ad esempio un avvocato o un commercialista: si è rilevato, in proposito, che l’applicabilità della disciplina consumeristica può ritenersi in tal caso esclusa se e in quanto il consumatore abbia avuto la possibilità di concretamente incidere, anche provocandone la modifica o l’integrazione, sul contenuto del contratto da tali soggetti predisposto (Cass. 14 febbraio 2024, n. 4140).
Il principio merita adesione con particolare riguardo alla fattispecie della stipula del contratto del consumatore nella forma dell’atto pubblico notarile. Se è vero, infatti, che la legge notarile (l. n. 89/1913) predispone particolari accortezze per la redazione dell’atto, imponendo ad esempio al notaio di indagare la volontà delle parti, di curare sotto la propria direzione e responsabilità la compilazione integrale del l’atto stesso (art. 47, comma 2), oltre che di darne lettura (art. 51, n. 8) e di assicurarne la sottoscrizione in margine di ciascun foglio (art. 51, n. 12), l’interven to del notaio non implica affatto che il contratto sia oggetto di trattativa, segnatamente, di una trattativa qualificata da individualità, serietà ed effettività. Nulla esclude, in
particolare, che il testo della clausola vessatoria, per conosciuto dal consumatore e reso più chiaro dall’intervento del notaio, sia frutto di una imposizione unilaterale e non costituisca pertanto espressione di una trattativa che presenti le richiamate caratteristiche.
La stipula del contratto con atto pubblico notarile non è in conclusione circostanza in sé idonea a far ritenere che una o più clausole del contratto stesso siano state oggetto di trattativa individuale, seria ed effettiva e non esime pertanto il professionista dal fornire una prova in tal senso.
L’accoglimento di questa censura comporta l’assorbimento delle altre contenute nel motivo.
6. Col sesto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1460, 2697 e 2698 c.c.. Si rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, il mutuo oggetto di giudizio non aveva importato alcun trasferimento di somme dalla banca alla parte mutuataria.
Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale, sul punto specifico, ha osservato che la traditio della somma doveva desumersi dall’art. 1 del contratto di mutuo e che nessuna rilevanza poteva attribuirsi alla circostanza per cui la suddetta somma era stata costituita in deposito cauzionale, «rappresentando quest’ultimo un autonomo atto di disposizione del bene ad opera del mutuatario che comprova a fortiori l’intervenuto passaggio di proprietà della somma mutuata».
Il motivo mira a incrinare questo accertamento di fatto, come può ricavarsi dai riferimenti, presenti nel mezzo di censura, al contenuto delle disposizioni contrattuali e all’asserita mancata produzione in giudizio di un «atto di erogazione e quietanza»: la revisione di tale accertamento non è però consentita in questa sede. Né è pertinente il rilievo, formulato col motivo di ricorso, per cui, sollevata eccezione di adempimento, è il creditore a dover dimostrare il proprio adempimento.
Si rileva, infatti, che non investe il tema dell’onere della prova la censura involgente la valutazione che il giudice abbia svolto circa le prove proposte dalle parti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18092; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).
– In accoglimento del quinto motivo di ricorso la sentenza è cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Palermo, che deciderà in diversa composizione e statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il quinto motivo, respinge i primi due e dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, che deciderà in diversa composizione e regolerà le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione