Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8669 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8669 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 4659-2021 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore speciale Avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza, n. cron. 1802/2020, della CORTE DI APPELLO di MILANO, pubblicata il giorno 14/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 28/03/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Banco BPM s.p.a. chiese ed ottenne, dal Tribunale di Milano, il decreto ingiuntivo n. 19370 del 14 agosto 2017, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE nonché di NOME COGNOME quale fideiussore di quest’ultima, per la complessiva somma di € 599.215,96 (di cui € 547.065,47 per saldo negativo del conto corrente n. 22853 ed € 52.437,49 per esposizione residua del mutuo chirografario n. 045/484291), oltre interessi convenzionali di mora e spese del procedimento.
1.1. Avverso il suddetto decreto propose opposizione, ex art. 645 cod. proc. civ., il COGNOME, formulando diverse eccezioni, in rito ed in merito, ma il già menzionato tribunale, costituitosi l’istituto di credito opposto, la rigettò con sentenza del 17 luglio 2018, n. 8043.
Il gravame promosso dal COGNOME contro tale decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Milano con sentenza del 4 giugno/14 luglio 2020, n. 1802, pronunciata nel contraddittorio con Banco BPM s.p.a.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte: i ) confermò l’infondatezza dell’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, ivi ribadita dal COGNOME sul presupposto che detto giudice gli aveva erroneamente negato la qualifica di consumatore e l’applicazione, in suo favore, della relativa disciplina di protezione, fra cui la norma processuale di individuazione, quale foro esclusivo, del luogo di domicilio del debitore. Osservò, in proposito, che, « il Tribunale ha dato mostra di superare il tradizionale orientamento, che determinava la competenza territoriale per le obbligazioni del garante, per automatica attrazione di quella del debitore principale, in favore del differente principio, affermato dalla Corte di Giustizia UE (decisione del 19/11/2015, causa C74-15) e ripreso dalla più recente sentenza della Suprema Corte (n. 742 del 16.01.2020), in base alla quale la persona fisica che ha rilasciato fideiussione, nell’interesse di una società commerciale, deve essere considerata consumatore, se ha agito per scopi
estranei alla sua attività professionale e non sussistano elementi che dimostrino un collegamento funzionale con la stessa società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale. Ora, nel caso di specie, questo collegamento funzionale sussiste, avendo la Banca opposta dimostrato che il sig. COGNOME è stato per lungo tempo socio di maggioranza della RAGIONE_SOCIALE, di cui detiene il 95% del capitale sociale e di cui ha ricoperto, sin dal 1993, la carica di Amministratore Unico. Appare, quindi, evidente la prova del collegamento funzionale tra società e garante, tale da rendere professionale la prestazione di quest’ultimo, in quanto non estranea allo svolgimento della propria attività: in altri termini, appare corretta la conclusione cui è giunta la sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che la fideiussione sia stata rilasciata dal sig. COGNOME durante l’esercizio delle proprie funzioni amministrative della società RAGIONE_SOCIALE, di cui era di fatto socio unico, con la finalità di garantire, con il proprio patrimonio personale, l’operatività della società stessa, favorendone l’accesso al credito erogato da Banco BPM »; ii ) rigettò la richiesta di declaratoria di nullità delle due fideiussioni omnibus rilasciate dal COGNOME, in favore della banca, in data 8 settembre 2006 e 24 febbraio 2015, nonché la declaratoria di loro estinzione ai sensi dell’art. 1956 cod. civ. Opinò, infatti, che, « Per quanto riguarda il primo profilo, il motivo di appello abbandona i profili di nullità dedotti in primo grado, per incentrarsi sulla questione della nullità dell’obbligo fideiussorio, secondo il principio individuato dalla sentenza della Cassazione n. 29180/2017, in base al quale sono nulle le fideiussioni che risultino stipulate in forza di intese che abbiano ad oggetto accordi di cartello, tesi a falsare il gioco della libera concorrenza nel mercato dell’accesso al credito. A prescindere dalla questione sull’ammissibilità di tale domanda di nullità, la cui novità è stata eccepita dall’appellata, è comunque onere della parte che invoca la nullità della fideiussione, per ritenuta violazione della normativa concorrenziale, la prova dell’intesa, cioè che la fideiussione sia l’oggetto di una concorrenza sleale tra banche, che avrebbero applicato uniformemente i modelli ABI. Ma anche volendo superare tale preliminare questione, nella difesa non è esplicitato di quale clausola abusiva
l’appellante lamenti l’applicazione (se in punto a reviviscenza della fideiussione, a ultrattività, a sopravvenienza, o a quale altra ipotesi), né per quale motivo l’applicazione di tale clausola renderebbe nullo l’intero contratto di garanzia. Pertanto, il mero richiamo alla sottoscrizione di moduli fidejussori, in ipotesi sottoposti dalla banca al sig. COGNOME non può condurre alla declaratoria di nullità richiesta dall’appellante. È altresì infondata la doglianza sotto l’altro aspetto, nel punto in cui la sentenza di primo grado avrebbe errato nel non liberare il fideiussore ai sensi dell’art. 1956 c.c., nonostante la condotta della Banca opposta, contraria ad obblighi di diligenza, correttezza e buona fede, cui invece si sarebbe dovuta conformare. Inna nzitutto, la lettera fideiussoria imponeva al garante l’obbligo di tenersi al corrente delle condizioni del debitore principale e dell’andamento del rapporto. In ogni caso, resta il fatto storico, già sopra esaminato, dimostrato dalla documentazione prodotta dalla Banca e accertato dal Tribunale, della preminenza e rilevanza della posizione ricoperta nell’ambito gestionale della società dal fideiussore, NOME COGNOMEsocio di controllo della stessa, nonché Amministratore Unico). Tale circostanza assume valore probatorio dirimente, atteso che quest’ultimo, proprio in forza del ruolo ricoperto, era in grado di conoscere ogni operazione bancaria compiuta dalla società e, quindi, di autorizzarla o, in ipotesi, di vietarla. Al punto che si può concludere che lo stesso non solo si trovava nelle condizioni di poter conoscere la situazione patrimoniale della società, debitrice principale, ma, di fatto, la conosceva in concreto, ad esempio partecipando alla redazione del bilancio quale A.U., nonché approvando lo stes so in occasione dell’assemblea sociale »; iii ) respinse tutte le contestazioni dell’appellante relative all’ an ed al quantum del credito monitoriamente azionato dalla banca. Precisò, in proposito, che « Le doglianze appaiono in larga parte generiche e, comunque, correttamente respinte dalla motivazione della sentenza de qua ; in particolare: a) risulta documentata la prova del credito azionato dalla Banca, la quale ha prodotto, a partire dal ricorso monitorio e poi nel corso del giudizio, copia dei contratti non disconosciuta, la documentazione ex artt. 118 e 119 TUB, nonché gli estratti del conto corrente ordinario in oggetto; b) gli interessi applicati dalla
banca risultano, quindi, dall’esame della documentazione contrattuale, in concreto espressamente determinati, sia per il c/c, sia per il mutuo; gli stessi non possono dirsi illeciti, sotto il profilo del lamentato anatocismo, atteso che il contratto di c/c ordinario, stipulato nel 2011, prevedeva clausola di pari periodicità della capitalizzazione degli interessi creditori e debitori, in conformità alla Delibera C.I.C.R. del 9.2.2000; quanto, poi, al conteggio successivo all’1.01.2014, la Banca aveva già pr ovveduto a scomputare dal totale richiesto in ricorso l’importo relativo (€ 287,00), come risultante dal ricalcolo effettuato su richiesta del Giudice del monitorio ; c) risulta corretto il richiamo, da parte del primo Giudice, alla pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 24675/2017, per negare la illiceità dell’ipotesi dell’usura sopravvenuta, invocata da parte appellante; ; e) la doglianza in base al quale il TAEG indicato dalla Banca sarebbe inferiore a quello reale è stata correttamente respinta dal primo Giudice, in quanto limitata ad affermazione generica, senza che l’eccezione abbia spiegato le ragioni della asserita differenza, dove registrabile; in ogni caso, va osservato che, come rilevato da condivisibile giurisprudenza, il TAEG/ISC non è un tasso di interesse o una specifica condizione economica e quindi un elemento del contratto in senso stretto, ma un’informazione fornita dalla Banca al cliente, cioè un semplice indicatore, su base annua, del costo del finanziamento nel suo complesso, destinato a porre il cliente nelle condizioni di meglio conoscere la singola offerta e i relativi costi e così di meglio valutare le diverse proposte del mercato. Sembra significativo, in proposito, che tale informazione sia basata su calcoli elaborati secondo le indicazioni della Banca d’Italia, indicazioni che comprendono anche imposte e tasse, cioè voci che, a differenza degli interessi, non costituiscono remunerazioni per la Banca e non compaiono nel TEG. Ne discende che eventuali difformità o indicazioni erronee del TAEG/ISC non potrebbero mai, nemmeno in linea teorica, comportare una nullità invalidante clausole contrattuali pattuite e applicate; f) infine, va respinta anche la censura, in base alla quale l’utilizzo dell’ Euribor dovrebbe considerarsi nullo, in violazione dell’art. 2 della L. n. 287/1990 nonché della decisione della Commissione Europea del dicembre 2013, poiché
violerebbe la normativa antitrust, in quanto frutto di un accordo di cartello tra un insieme di banche. Appare corretta, anche in questo caso, la decisione del Tribunale, di rigetto della tesi difensiva, perché non sostenuta da adeguati riscontri probatori, con riferimento innanzitutto alla condotta illecita dell’ipotizzato cartello bancario e alla sua influenza di alterazione del mercato; anche l’asserzione, secondo cui il detto tasso dovrebbe comunque ritenersi nullo per indeterminatezza, si scontra con la considerazione che il tasso Euribor è un indice fissato giornalmente dalla European Banking Federation (EBF) , come media dei tassi di deposito interbancario, e dunque determinabile in modo costante, in base a un articolato procedimento di rilevazione, in ogni caso sottratto al rischio di determinazione unilaterale da parte del singolo istituto di credito; la censura risulta, in ogni caso, proposta in modo generico, con riferimento a notizie di stampa circa illecite manipolazioni dei dati intervenute in un passato recente, attribuite agli operatori di talune banche, notizie che appaiono insufficienti a dar corpo alla proposta doglianza, quantomeno per la genericità dei riferimenti oggettivi e soggettivi, senza nemmeno la specifica allegazione, da parte dell ‘appellante, che, applicando una diversa modalità di calcolo del tasso corrispettivo, gli importi che la mutuante avrebbe dovuto rimborsare sarebbero stati inferiori »; iv ) disattese, infine, le istanze istruttorie su cui aveva insistito l’appellante, tra cui quella di ammissione di una consulenza contabile, che considerò, invece, « superflua ed esplorativa, come già condivisibilmente ritenute dal primo Giudice, atteso che, con la stessa, si vorrebbe demandare all’attività del consulente la prova di eventuali profili di illegittimità dei criteri contabili tenuti dalla Banca nell’imput azione degli interessi debitori, in violazione quindi del principio generale di distribuzione dell’onere della prova. È pacifico, infatti, che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, e va quindi negato qualora si tenda con esso a supplire a mancanze nelle allegazioni o deduzioni di prova, ovvero a compiere una indagine esplorativa, alla ricerca di elementi non provati, ma idonei, nell’intento dell’appellante, ad integrare nel senso voluto le pattuizioni contrattuali applicate nella fattispecie ».
Per la cassazione di questa sentenza, NOME COGNOME ha proposto un ricorso recante sei motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, illustrato da analoga memoria, RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice di Banco BPM s.p.a., promuovendo anche ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che il COGNOME, solo nella propria memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 7 marzo 2025, ha eccepito che RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE non sarebbe legittimata ad agre in giudizio quale procuratrice di Banco BPM s.p.a., con conseguente nullità della procura ad litem conferita per il presente giudizio di legittimità.
1.1. Tale eccezione, oltre ad essere stata tardivamente formulata (posto che il COGNOME, al fine di resistere al controricorso, recante ricorso incidentale condizionato, di quella società avrebbe dovuto notificare e depositare, nei termini di legge, un proprio controricorso ex art. 371, comma 4, cod. proc. civ., ma non l’ha fatto. Nella motivazione di Cass. n. 15177 del 2024, del resto, si è affermato che, « nel rito camerale del processo di cassazione , la contestazione relativamente alla legittimazione processuale del rappresentante del ricorrente deve essere proposta con il controricorso e non può essere sollevata solo con la memoria ex art. 380bis. 1 c.p.c., come conferma decisivamente anche il fatto che lo sfalsamento del termine per il deposito ex art. 372 c.p.c. non consente alla controparte, destinataria del rilievo, di replicare attivamente »), è comunque infondata.
Invero, come spiegato, affatto condivisibilmente, dalla medesima società nella propria memoria del 17 marzo 2025, Banco BPM s.p.a. si è qui costituita tramite la propria procuratrice RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE in forza di procura del 21 giugno 2019, conferita con atto per Notar C. Marchetti di Milano, n. 15052 rep. e n. 8049 racc., con la quale sono stati conferiti a quest’ultima i poteri affinché ‘ ponga
in essere, in nome e per conto della mandante, in qualità di Mandataria tutto quanto necessario, utile e/od opportuno ai fini della gestione stragiudiziale e giudiziale dei crediti affidati in gestione alla Mandataria ‘.
RAGIONE_SOCIALE dunque, non ha operato per conto di Banco BPM s.p.a. ai sensi dell’art. 115 TULPS, ma in forza di una procura speciale notarile che le attribuisce poteri di recupero coattivo e giudiziale dei crediti affidatigli in gestione.
Essendo una persona giuridica, poi, la stessa ha agito tramite una sua procuratrice speciale, la dott.ssa NOME COGNOME alla quale i poteri sono stati conferiti con la procura rilasciata a mezzo atto per Notar S. de Franchis di Roma, del 3 novembre 2020, n. 14316 rep. e n. 7004 racc., registrata alla Agenzia delle Entrate -Ufficio di Roma 4, in data 4 novembre 2020, al n. 30620, serie 1/T, e ciò vale anche per l’irrilevante e d infondata contestazione di mancanza, in capo alla dott.ssa COGNOME dell’autoriz zazione ex art. 119 TULPS, che, ex lege , viene rilasciata alla persona giuridica e di certo non ai procuratori per mezzo dei quali essa agisce.
2. Fermo quanto precede, il primo motivo del ricorso principale del COGNOME è così rubricato: « Violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) degli artt. 18 e 28 c.p.c. e dell’art. 33, comma 2, lettera u), del d.lgs. n. 206/2005. Esistenza di un contrasto su questione di particolare rilevanza. Istanza di trasmissione degli atti al Primo Presidente per la eventuale rimessione alle Sezioni Unite della Corte ». Esso, da un lato, contesta la sentenza impugnata nella parte in cui, confermando la decisione di primo grado, ha negato la qualifica di consumatore in capo all’appellante avendo ritenuto provata l’esistenza di un collegamento funzionale tra quest’ultimo e la debitrice principale RAGIONE_SOCIALE tale da rendere professionale la presta zione da parte di quest’ultimo. Dall’altro, lamenta l’esistenza di un preteso contrasto, nella giurisprudenza di legittimità, che renderebbe necessaria la rimessione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte al fine di stabilire ‘ se la disciplina di protezione in favore del consumatore, che individua, quale foro esclusivo, il luogo di domicilio di quest’ultimo, sia applicabile, in ogni caso e per evidenti ragioni di ordine
pubblico economico e di tutela del consumatore debole, al contratto di fideiussione, sottoscritto da una persona fisica, ancorché a beneficio di una società, nell’ambito della quale la stessa persona rivesta o abbia rivestito la qualità di socio ovvero di amministratore; o se, viceversa, la suddetta disciplina sia applicabile solo nel caso in cui il fideiussore abbia agito per scopi estranei alla propria attività professionale e non abbia alcun collegamento di natura funzionale con la società garantita ‘.
2.1. Questa doglianza si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento.
Invero, pur volendo sottacersi l’assoluta genericità della contestazione concernente la ratio decidendi della qualità di professionista del fideiussore per il suo incarico nella società RAGIONE_SOCIALE è doveroso rimarcare che la Corte di giustizia UE, intervenuta sulla nozione di consumatore ai fini dell’applicazione della direttiva 93/13/CEE sulle clau sole abusive nei contratti con i consumatori, ha esaminato la qualifica del fideiussore.
Superando l’automatismo precedentemente affermato fra qualifica del debitore principale e qualifica del garante, quella Corte ha affermato che, « nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata». Pertanto, alla luce di tali premessa, la stessa ha stabilito che «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento
di natura funzionale con la suddetta società » ( cfr. Corte di giustizia UE 9 novembre 2015, C-74/15, Tarcau ; 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitras ).
Proprio muovendo da tali assunti, dunque, le Sezioni Unite di questa Corte, con l’ordinanza del 27 febbraio 2023, n. 5868, hanno chiarito che « il fideiussore, persona fisica, non è un professionista ‘di riflesso’, non essendo quindi tale solo perché lo sia il debitore garantito ».
La giurisprudenza di legittimità, peraltro, già in varie occasioni ha preso atto delle citate decisioni della Corte di giustizia europea ( cfr ., oltre all’appena menzionata Cass., SU, n. 5868 del 2023, Cass. n. 742 del 2020; Cass. n. 32225 del 2018), sicché nemmeno si ravvisano concrete ragioni per investire nuovamente le Sezioni Unite della questione.
Il Collegio condivide tale orientamento, in quanto le finalità della disciplina consumeristica sarebbero frustrate ove dovesse ritenersi in sé che il garante di un professionista sia, per definizione, a sua volta qualificabile come non consumatore.
Ma appunto tali decisioni, certamente da condividere e da applicare per il principio della primazia degli orientamenti della giurisprudenza eurounitaria, conducono a confermare, nella specie, la conclusione del giudice di merito che ha negato la qualifica di consumatore al COGNOME
Invero, nella vicenda in esame, sussistono elementi positivi e concreti, accertati dalla corte distrettuale, per ritenere che l’odierno ricorrente principale ebbe a sottoscrivere le fideiussioni di cui si discute per scopi chiaramente estranei alla sua sfe ra privata, perché, invece, nell’interesse di una società commerciale (la RAGIONE_SOCIALE di cui lo stesso COGNOME, come verificato dalla corte suddetta, è stato per lungo tempo socio di maggioranza, di cui detiene il 95% del capitale sociale e di cui ha ricoperto, fin dal 1993, la carica di amministratore unico.
Da tali elementi emerge, in modo inequivoco, la sussistenza dello strettissimo collegamento delle garanzie alla stessa attività della menzionata società, così dovendosi escludere che trattavasi di contratti a fini privati.
I requisiti soggettivi per l’applicazione della disciplina consumeristica al Boldrini (e, conseguentemente della norma processuale di individuazione,
quale foro esclusivo, del luogo di domicilio del debitore), quindi, vanno esclusi, per la sua peculiare posizione nella vicenda all’attenzione di questa Corte, dovendo negarsi che egli abbia stipulato le garanzie predette in qualità di consumatore, al cont rario avendolo fatto nell’interesse della società in precedenza indicata, all’evidente scopo di agevolarne l’operatività favorendone l’accesso al credito erogato da Banco BPM s.p.a. Tali fideiussioni, pertanto, si presentavano come ad essa società strettamente funzionali.
Il secondo motivo del ricorso principale in esame denuncia la « Violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), degli artt. 1418, 1419, 1421, 1939, 1957 c.c. e dell’art. 2 della legge n. 280/1997 ». Si ascrive alla corte distrettuale di non avere accertato che nulla Banco BPM s.p.a. avrebbe potuto richiedere in pagamento al COGNOME, in qualità di fideiussore, da un lato, in ragione della nullità delle fideiussioni da lui rilasciate, in quanto asseritamente contrarie alla normativa antitrust; dall’altro, per violazione del disposto dell’art. 1957 cod. civ., avendo la banca agito contro il fideiussore senza aver prima proposto le proprie istanze contro il debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione e senza averla diligentemente continuate.
3.1. Anche questa censura non merita accoglimento.
Invero, giova sottolineare che, come recentemente chiarito da questa Corte ( cfr . in motivazione, Cass. n. 30383 del 2024), i contratti di fideiussione ‘ a valle ‘ dell’intesa sanzionata dall’allora Autorità Garante, con il provvedimento n. 55 del 2005, sono stati ritenuti parzialmente nulli, nel quadro di applicazione dell’articolo 1419 cod. civ., dalla pronuncia resa da Cass., SU, n. 41994 del 2021, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti: salvo che, in altri termini, non risulti che senza le tre clausole i contraenti non avrebbero concluso il contratto di fideiussione. Ma -come si legge nella menzionata Cass. n. 30383 del 2024 -« a tal riguardo, è sufficiente evidenziare che, come è del resto intuitivo, spetta ‘a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al
giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto’ (Cass. n. 18794 del 2023). Sicché è destituita di qualunque fondamento la pretesa di veder rilevata d’ufficio dal giudice la totale nullità della fideiussione perché le parti non avrebbero concluso il contratto in mancanza delle tre clausole, laddove le parti stesse non abbiano dedotto e provato siffatto assetto della loro volontà. Passando alla questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contrat to ‘a valle’ dell’intesa anticoncorrenziale, nullità che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default , è agevole osservare che essa rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè: i) l’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia; ii) la natura della fideiussione, giacché il provved imento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus , non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’Associazione Bancaria Italiana, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce; iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere st ata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova; iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere
lesiva della concorrenza; v) la concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata ».
Ebbene, nella specie, è decisivo rilevare che, come si legge nella sentenza impugnata ( cfr . pag. 7), le fideiussioni omnibus rilasciate dal COGNOME risalivano, rispettivamente, all’8 settembre 2006 ed al 24 febbraio 2015. Pertanto, ove pure alcune delle clausole in esse contenute (peraltro da lui nemmeno puntualmente individuate) fossero state corrispondenti a quelle di cui ai nn. 2, 6 e 8 dello schema ABI ritenuto contrario alla cd. legge antitrust dal provvedimento della Banca d’Italia n. 55 del 2005, sa rebbe stato onere del COGNOME dimostrare che, alle date suddette, ancora persisteva una intesa anticoncorrenziale come quella sanzionata dalla Banca d’Italia per il periodo 20002-2005 e che le sue fideiussioni omnibus fossero effetto proprio di detta persistenza: onere rimasto, nella specie, totalmente inadempiuto.
In altri termini, deve ritenersi che l’accertamento della Banca d’Italia, effettuato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, sicché sarebbe stato onere del l’appellante dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale predetta ancora ci fosse nel settembre 2006 e nel luglio 2015, ma non certo in base al menzionato provvedimento precedente della Banca d’Italia, bensì offrendone altra e specifica prova. Con clusione, questa, assolutamente coerente con la riportata pronuncia di questa Corte n. 30383 del 2024, né le odierne argomentazioni del ricorrente principale offrono elementi realmente significativi per rimeditarla.
A tanto deve soltanto aggiungersi che: i ) come ripetutamente sancito dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità, « L’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa; ne consegue che la pretesa sua estinzione, per decorso del termine semestrale di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c., deve essere tempestivamente sollevata nel giudizio di primo grado, incidendo sul merito della titolarità dell’obbligazione dal lato passivo e non sulla legittimazione passiva » ( cfr . Cass. n. 3284 del 2025; Cass. n. 8023 del 2024). Di questo,
tuttavia, non vi è la minima evidenza nella decisione impugnata, né il ricorrente principale -gravato del corrispondente onere in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso -ha specificamente allegato di aver tempestivamente formulato, già in primo grado, una siffatta eccezione; ii ) la corte distrettuale ha rilevato pure che, nel motivo di appello del COGNOME, « non è esplicitato di quale clausola abusiva l’appellante lamenti l’applicazione (se in punto a reviviscenza della fideiussione, a ultrattività, a sopravvenienza, o a quale altra ipotesi), né per quale motivo l’applicazione di tale clausola renderebbe nullo l’intero contratto di garanzia » ( cfr . pag. 7 della sentenza impugnata). Così opinando, dunque, la stessa, evidentemente, ha ritenuto inammissibile quel motivo per difetto di specificità (art. 342 cod. proc. civ.) e tale ratio decidendi non è stata impugnata in questa sede; iii ) quanto, infine, all’asserita omessa pronuncia, ascritta dal COGNOME alla medesima corte, con riguardo all’eccepita inesistenza dell’obbligazione principale (a causa della nullità dei contratti, delle relative clausole, degli interessi, delle spese e delle commissioni), è sufficiente rimarcare, da un lato, che la doglianza nemmeno reca la specifica indicazione del contenuto del corrispondente motivo di gravame, in palese violazione dei quanto sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.); dall’altro, che la corte distrettuale ha pronunciato sulla validità dell’obbligazione principale ( cfr . pag. 8 e ss. della citata sentenza), da tanto dovendo desumersi una pronuncia implicita (di rigetto) di quella eccezione, come tale idonea ad escludere qualsivoglia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ( cfr . Cass. n. 4024 del 2024; Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 1798 del 2024; Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020).
4. Il terzo motivo di questo ricorso, rubricato, « Violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) degli artt. 61, 187, 191 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. », censura la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto corretta la decisione del giudice di prime cure di non ammettere la consulenza tecnico contabile richiesta dal COGNOME, giudicata dalla corte territoriale ‘ superflua ed esplorativa ‘.
4.1. Questa doglianza si rivela inammissibile.
Va ricordato, infatti, che, giusta quanto ribadito da Cass. n. 25281 del 2023, « il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è censurabile per cassazione solo ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 7472 del 2017), e dunque, se del caso, scontando le preclusioni derivanti dalla doppia conforme in fatto previste dapprima dall’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c. e , adesso, dall’art. 360, comma 4, c.p.c., per come introdotto dall’art. 3, comma 27, lett. a), d.lgs. n. 149/2022 ». Peraltro, il vizio di motivazione per omessa ammissione di mezzo istruttorio può essere denunciato per cassazione solo laddove investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento ( cfr . Cass. n. 18072 del 2024; Cass. n. 16214 del 2019).
Posto, allora, che la fattispecie di doppia conforme in punto di fatto ricorre non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice ( cfr., ex aliis , Cass. n. 7724 del 2022 e Cass. n. 25281 del 2023), ne consegue che, nella specie, stante il concreto tenore delle argomentazioni dei giudici di primo e secondo grado sul punto, ogni censura al riguardo risulta in questa sede irrimediabilmente preclusa.
Né giova, in contrario, la censura di violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 187, 191 e 61 c.p.c., argomentata dal COGNOME anche sull’assunto che la corte di appello, pur avendo dato atto, in sentenza, della documentazione contrattuale prodotta dalla banca, tuttavia non ne aveva accertato la completezza. È sufficiente rilevare, al riguardo, che i giudici territoriali, nel confermare la statuizione di prime cure circa l’entità del credito
monitoriamente azionato dalla banca ( cfr., amplius , pag. 8-10 della sentenza oggi impugnata), hanno affermato, tra l’altro, che « risulta documentata la prova del credito azionato dalla Banca, la quale ha prodotto, a partire dal ricorso monitorio e poi nel corso del giudizio, copia dei contratti non disconosciuta, la documentazione ex artt. 118 e 119 TUB, nonché gli estratti del conto corrente ordinario in oggetto »: trattasi, come è evidente, di un accertamento fattuale non ulteriormente sindacabile in questa sede, se non sotto il profilo del vizio motivazionale (qui non proposto e comunque, nemmeno concretamente proponibile stante la doppia conforme in facto di cui si è detto in precedenza).
Infine, neppure può condividersi la latitudine con cui Cass. n. 37022 del 2022, in una fattispecie -come la presente -di doppia conforme di merito, ha ammesso la sindacabilità in questa sede di legittimità della decisione di ricorrere, o meno, ad una consulenza tecnica d’ufficio: è evidente, infatti, che i precedenti richiamati dall’appena menzionata pronuncia a supporto della conclusione secondo cui il rigetto dell’istanza di c.t.u. richiederebbe sempre una ‘ adeguata motivazione ‘ (e, precisamente, Cass. n. 72 del 2011 e Cass. n. 17399 del 2015) riguardavano fattispecie anteriori alla modifica apportata all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134/2012), che -come chiarito da Cass. S.U. n. 8053 del 2014 -ha privato di qualsiasi rilevanza la mera insufficienza della motivazione; né giova, in contrario, opinare che costituirebbe ‘ un’aporia logica ‘ rifiutare l’ammissione di una consulenza richiesta dalla parte onerata dell’on ere probatorio di fatti che possono essere provati solo con il concorso di determinate cognizioni tecniche (così, in motivazione, la già citata Cass. n. 37022 del 2022): infatti, una volta acclarato che il giudizio sulla rilevanza e conducenza di un qualunque mezzo istruttorio richiesto dalle parti è istituzionalmente devoluto al giudice di merito ed è sindacabile in questa sede di legittimità solo per il tramite dell’ar t. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (giurisprudenza consolidata fin da Cass. n. 3393 del 1956), bisogna ammettere che la censura in questione costituisce l’unico strumento mercé il quale questa Corte di legittimità può controllare la
‘ logica ‘ del giudice di merito, con conseguente inammissibilità di ogni deduzione sul punto qualora ricorra un caso di doppia conforme sul punto.
Il quarto motivo di ricorso del COGNOME, recante, « Violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) dell’art. 1815 c.c., dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1 della Legge 7 marzo 1996, n. 108, in relazione ai rapporti di conto corrente », imputa alla corte distrettuale di non avere assunto alcuna posizione in merito alle contestazioni in tema di usura mosse dall’appellante, né esplicitato il motivo in ragione del quale ci si troverebbe di fronte, nel caso di specie, ad un’ipotesi di usur a sopravvenuta, anziché originaria.
5.1. Esso si rivela complessivamente inammissibile.
Invero, giova premettere che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 24675 del 2017, hanno stabilito che il superamento del tasso soglia è rilevante se avviene al momento della pattuizione, mentre resta irrilevante l’eventuale superamento nel corso del rapporto.
Tali principi, tuttavia, sono stati espressi solo con riferimento al contratto di mutuo, e non anche a quello di conto corrente (fattispecie cui si riferisce, invece, la doglianza in esame). Posto che l’applicazione della normativa antiusura riguarda anche il conto corrente, è necessario calibrare, allora, su tale dinamica contrattuale i principi della rilevanza della sola usura originaria e della irrilevanza dell’usura sopravvenuta.
Nella dinamica del conto corrente, il cliente correntista può sia versare che prelevare somme di denaro, laddove, nella prima ipotesi, avrà un credito verso la banca e, nella seconda, un debito, con conseguente compensazione delle partite. Da questa struttura deriva la presenza di un interesse attivo per le operazioni che generano un credito del cliente e di uno passivo per quelle speculari ( cfr . Cass. n. 29576/2020).
Al momento della stipula del contratto, le parti pattuiscono i rispettivi tassi di interesse. Tale accordo, come ogni negozio privato, è soggetto alla possibilità di successive pattuizioni modificative ad opera delle parti. La disciplina dei contratti bancari, prevede una particolare forma di conclusione delle successive pattuizioni modificative, per cui non è richiesto il consenso espresso del cliente, essendo sufficiente, a tal fine, a fronte della
comunicazione da parte della banca di una modificazione unilaterale delle clausole contrattuali, il mancato recesso del cliente stesso ( cfr . art. 118 TUB).
Tale particolare modalità di conclusione di negozi modificativi del contratto non fa venire meno la sua natura di pattuizione contrattuale.
Lo scrutinio sull’usura – rilevante al momento della pattuizione – va condotto in primo luogo sul tasso originariamente convenuto.
Nell’ipotesi in cui questo tasso sia inferiore al tasso soglia, ciò non esclude che, nel corso del rapporto, possa comunque verificarsi un superamento. Sono però differenti le modalità con cui si può verificare tale superamento, nonché le relative conseguenze.
La prima ipotesi è che il tasso di interesse pattuito nel contratto, sia inferiore al tasso soglia stabilito dal d.m. applicabile in quel momento, ma che poi, a fronte delle rilevazioni dei d.m. successivi, che abbiano abbassato il tasso soglia, quel tasso, originariamente inferiore, risulti superiore ai d.m. applicabili in trimestri successivi.
Questa è l’ipotesi considerata dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 24675/2017, che configura la cd. usura sopravvenuta. La Suprema Corte ha esaminato l’ipotesi del mutuo, ma i principi sono perfettamente adattabili al conto corrente, poiché la dinamica considerata è la medesima.
Si deve concludere, quindi, che, quando il tasso di interesse originariamente pattuito nel contratto di conto corrente, che al momento della pattuizione era inferiore al tasso soglia applicabile, risulti superiore al tasso soglia stabilito in successive rilevazioni, ciò non rileva ai fini della normativa antiusura.
Questi principi valgono sia nell’ipotesi di tasso fisso, sia in quella di tasso variabile. Rispetto al primo, la ragione è resa evidente dalla semplicità di raffronto tra il tasso originariamente pattuito e quello via via vigente; quanto al secondo, i principi sanciti dalle Sezioni Unite sono analogamente applicabili poiché, sebbene il tasso muti nel corso del tempo, poiché agganciato a parametri variabili nel tempo, la variazione del tasso non dipende da una nuova pattuizione, ma trova fonte nella pattuizione originaria. Dunque, l’unica pattuizione resta quella originaria, mentre le successive variazioni dipendono
dalle variazioni del parametro assunto a base di riferimento nella suddetta pattuizione originaria. Poiché l’usura va esaminata con riferimento al tempo della pattuizione, ne consegue che una tale variazione del tasso, non comportando una nuova pattuizione, non rileverà ai fini del superamento del tasso soglia applicabile nel momento in cui il tasso varia.
L’ulteriore ipotesi da considerare è quella in cui il tasso di interesse inizialmente pattuito, ed originariamente inferiore al tasso soglia, venga poi modificato ex art. 118 TUB.
È evidente la differenza dall’ipotesi, precedentemente considerata, di tasso variabile originariamente pattuito come tale. Infatti, nel caso in cui le parti pattuiscano un tasso variabile, le variazioni dipendono da quella originaria pattuizione; diversamente, nel caso in cui la banca comunichi una variazione del tasso ex art. 118 TUB, quella variazione non troverà più la fonte nell’originaria pattuizione, bensì nella successiva.
Ne consegue che dovrà svolgersi un nuovo esame della natura usuraria del tasso così pattuito, con riferimento al tasso soglia applicabile nel momento in cui avviene tale pattuizione.
Le conseguenze in punto di disciplina sono assai differenti.
Nell’ipotesi in cui il tasso originariamente pattuito, fisso o variabile, sia inferiore al tasso soglia al momento della stipula ma risulti superiore al tasso soglia applicabile in un momento successivo, la banca potrà comunque pretenderne la corresponsione, non rilevando l’usura sopravvenuta.
Ove, invece, il tasso originariamente pattuito sia inferiore al tasso soglia al momento della stipula ma, nel momento in cui sia modificato ex art. 118 TUB, risulti superiore al tasso soglia in quel momento applicabile, allora troverà applicazione la normativa antiusura, e dunque l’art. 1815, comma 2, cod. civ., con conseguente azzeramento degli interessi fino a che le parti non abbiano nuovamente pattuito, espressamente o ex art. 118 TUB, un tasso inferiore al tasso soglia.
Le differenti discipline trovano applicazione in base al concreto svolgimento del rapporto e, dunque, dipendono da questioni di fatto. A
seconda della dinamica contrattuale effettivamente verificatasi, cambia la disciplina applicabile.
Questa precipua rilevanza del fatto concreto postula, nel giudizio di merito, il corretto adempimento dell’onere di allegazione della parte interessata a far valere la specifica disciplina e, in sede di legittimità, -in ossequio al principio di autosuffic ienza del ricorso desumibile dall’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, cod. proc. civ. -la puntuale indicazione non solo di come e quando la relativa censura sia stata formulata innanzi al giudice a quo ma anche di tutti quegli elementi (periodi delle variazioni effettuate dalla banca; tassi soglia vigenti, nei medesimi periodi, per la tipologia di contratto bancario interessato, etc.) utili per consentire alla Corte di ponderare la effettiva decisività della censura. La parte, quindi, dovrà indicare sia lo specifico tasso ritenuto usurario sia la data della pattuizione di quel tasso e specificare, dunque, se debba aversi riguardo alla pattuizione originaria o ad una successiva ex art. 118 TUB.
Solo tale specifica allegazione rende possibile il rispetto: i ) in primo luogo ed innanzi al giudice di merito, del principio dispositivo e del diritto di difesa della controparte. Infatti, se fosse sufficiente per la parte interessata addurre la natura usuraria degli interessi, manifestatasi durante lo svolgimento del rapporto, senza nulla argomentare su quale sia, e quando sia intervenuta, la specifica pattuizione che sorreggeva quel tasso, sarebbe, da un lato, impossibile per il giudice individuare gli esatti contorni della domanda ed il decreto ministeriale concretamente applicabile ratione temporis , e, d’altro lato, sarebbe impossibile per la controparte difendersi adeguatamente sulla natura usuraria di uno specifico tasso. Inoltre, l’assenza di una specifica allegazione sulla specifica pattuizione usuraria renderebbe impossibile valutare l’estensione temporale dell’eventuale azzeramento degli interessi, poiché ne resterebbero ignoti i parametri temporali di inizio e fine; ii ) in secondo luogo, nel giudizio di legittimità, del già menzionato principio di autosufficienza del ricorso.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza n. 19597 del 2020, relativa alla rilevanza dell’usura rispetto agli interessi moratori, ha enunciato
il seguente principio di diritto: ‘ L’onere probatorio nelle controversie sulla debenza e sulla misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 c.c., si atteggia nel senso che, da un lato, il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento; dall’altro lato, è onere della controparte allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto ‘. Tale principio, sebbene affermato in relazione all’usura rispetto agli interessi moratori, è perfettamente applicabile anche nella fattispecie in esame.
L’onere di allegazione, peraltro, non può ritenersi neutralizzato dalla rilevabilità d’ufficio dell’usura, poiché il rilievo d’ufficio costituisce una valutazione di diritto, operata dal giudice ed ulteriore rispetto a quella delle parti, che tuttavia può trovare applicazione solo in relazione ad un fatto già compiutamente allegato, e non consente in alcun modo, in forza del principio dispositivo, di rilevare fatti non allegati dalle parti ( cfr . Cass., SU, n. 26242 del 2014). La ragione di ciò è evidente: in mancanza di uno specifico parametro di fatto, è impossibile qualunque valutazione di diritto.
Applicando, allora, i principi interpretativi sopra esposti alla fattispecie in esame, rileva il Collegio che l’odierno ricorso del COGNOME non rispetta, sul punto, il principio di autosufficienza nei termini spiegati in precedenza. L’odierna censura, inf atti, non solo non riporta lo specifico contenuto della corrispondente doglianza formulata innanzi alla corte di appello, ma nemmeno indica puntualmente tutti gli elementi -tasso di interesse originariamente pattuito; periodi delle variazioni unilateralmente effettuate dalla banca; tassi soglia vigenti originariamente e nei periodi predetti, per la tipologia di contratto di conto corrente bancario -necessari per consentire a questa Corte di ponderare la effettiva decisività della censura (del tutto insufficiente dovendosi considerare la generica affermazione del COGNOME di aver indicato, in appello, « un TEG travalicante il tasso soglia, per effetto dell’esercizio dello ius variandi, nei seguenti trimestri : IV TRIM. 2011, I
TRIM. 2012, II TRIM. 2012, IV TRIM. 2012, I TRIM. 2013, III TRIM. 2014, III TRIM. 2015, IV TRIM. 2015, I TRIM. 2016 ». Cfr . pag. 13 del suo ricorso). Essa, dunque, risulta carente del requisito di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione), da Cass. n. 25495 del 2024 ( cfr . pag. 7-8 della motivazione), da Cass. n. 26871 del 2024 ( cfr . pag. 11-12 della motivazione), da Cass. n. 35012 del 2024 ( cfr . pag. 9-10 della motivazione) e da Cass. n. 3284 del 2025 ( cfr . pag. 13-15 della motivazione), « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente
sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
6. Il quinto motivo di questo ricorso prospetta la « Violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) degli artt. 117 e 125 -bis del d.lgs. n. 385 del 1993l, in relazione al contratto di finanziamento ». Viene contestato alla corte d’appello di avere ritenuto che ‘ eventuali difformità o indicazioni erronee del TAEG non possano comportare una nullità invalidante clausole contrattuali pattuite ed applicate ‘.
6.1. Questa doglianza è inammissibile ex art. 360bis .1 cod. proc. civ.
Questa Corte, invero, ha già ripetutamente chiarito -né le odierne argomentazioni del Boldrini si rivelano realmente significative al fine di indurre ad una rimeditazione sul punto -che, in tema di contratti bancari, l’indice sintetico di costo (ISC), altrimenti detto tasso annuo effettivo globale (TAEG), è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione di finanziamento, che comprende anche gli oneri amministrativi di gestione e, come tale, non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui mancata indicazione nella forma scritta è sanzionata con la nullità, seguita dalla sostituzione automatica ex art. 117 d.lgs. n. 385 del 1993, tenuto conto che essa, di per sé, non determina una maggiore onerosità del finanziamento, ma solo l’erronea rappresentazione del suo costo globale, pur sempre ricavabile dalla sommatoria degli oneri e delle singole voci di costo elencati in contratto ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 6210 e 4379 del 2025, Cass. n. 4597 del 2023; Cass. n. 39169 del 2021 Sez. 1, Sentenza n. 39169 del 09/12/2021). L’applicazione di condizioni più sfavorevoli di quelle pubblicizzate, pertanto, determinando la violazione di regole di condotta della banca, può dar luogo, se del caso, a responsabilità contrattuale o precontrattuale di quest’ultima, ma nessuna domanda in tal senso risulta essere stata specificamente formulata dal COGNOME.
7. Il sesto motivo di questo ricorso, infine, rubricato « Violazione e falsa applicazione (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) degli artt. 1346, 1418 c.c. e degli artt. 2 della legge n. 287/1990, 101 TFUE e 53 dell’Accordo EEA », censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda del COGNOME volta a sentire dichiarare la nullità della clausola relativa alla determinazione del tasso di interesse del contratto di finanziamento chirografario con utilizzo dell’ indice Euribor .
7.1. Esso si rivela inammissibile.
Invero, oltre ad avere disatteso, nel merito, la corrispondente censura sollevata dal COGNOME in sede di appello (« anche l’asserzione, secondo cui il detto tasso dovrebbe comunque ritenersi nullo per indeterminatezza, si scontra con la considerazione che il tasso Euribor è un indice fissato giornalmente dalla European Banking Federation , come media dei tassi di deposito interbancario, e dunque determinabile in modo costante, in base a un articolato procedimento di rilevazione, in ogni caso sottratto al rischio di determinazione unilaterale da parte del singolo istituto di credito ». Cfr . pag. 10 della sentenza impugnata), la corte distrettuale ha affermato pure che « la censura risulta, in ogni caso, proposta in modo generico, con riferimento a notizie di stampa circa illecite manipolazioni dei dati intervenute in un passato recente, attribuite agli operatori di talune banche, notizie che appaiono insufficienti a dar corpo alla proposta doglianza, quantomeno per la genericità dei riferimenti oggettivi e soggettivi, senza nemmeno la specifica allegazione, da parte dell’appellante, che, applicando una diversa modali tà di calcolo del tasso corrispettivo, gli importi che la mutuante avrebbe dovuto rimborsare sarebbero stati inferiori » ( cfr . ancora pag. 10 della medesima sentenza). Così opinando, dunque, detta corte ha chiaramente voluto intendere che il motivo di gravame non era stato formulato in modo specifico, con conseguente violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e difetto di potestas iudicandi quanto all’esame nel merito ( cfr., ex aliis , Cass. n. 32092 del 2024; Cass. nn. 29529, 27388 e 7995 del 2022; Cass., SU, n. 2155 del 2021; Cass. n. 11675 del 2020; Cass. n. 30393 del 2017; Cass. n. 17004 del 2015; Cass., SU, n. 3840 del 2007).
Questa ratio decidendi non è stata impugnata, dovendosi ritenere, pertanto, in sostanziale coerenza con quanto già sancito da Cass. n. 24550 del 2023, che, nel giudizio di cassazione, la censura che, a fronte della inammissibilità del corrispondente motivo di gravame, attinga direttamente l’apprezzamento di merito operato dal giudice d’appello, senza censurare l’ error in procedendo in cui questi è incorso, così da rimuovere la ragione in rito impedienti la valutazione nel merito delle censure mosse con l’atto di appello, determina l’inammissibilità del motivo di ricorso, derivando da tale omissione il passaggio in giudicato della inammissibilità del motivo di gravame ed il conseguente venir meno dell’interesse della parte a far valere, in sede di legittimità, l’erroneità della ulteriore statuizione di merito, sul medesimo punto, della decisione impugnata.
Nessuna concreta incidenza assumono, dunque, nella specie, -stante quanto si è riferito circa la ragione di inammissibilità di questo motivo -le questioni (« Se il contratto di mutuo contenente la clausola di determinazione degli interessi parametrata all’indice Euribor costituisca un negozio ‘ a valle ‘ rispetto all’intesa restrittiva della concorrenza accertata, per il periodo dal 29 settembre 2005 al 30 maggio 2008, dalla Commissione dell’Unione Europea con decisioni del 4 dicembre 2013 e del 7 dicembre 2016, o se, invece, indipendentemente dalla partecipazione del mutuante a siffatta intesa o dalla sua conoscenza dell’esistenza di tale intesa e dell’intenzione di avvalersi del relativo risultato, tale non sia, mancando il collegamento funzionale tra i due atti, necessario per poter ritenere che il contratto di mutuo costituisca lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti; se la alterazione dell’ Euribor a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi rappresenti una causa di nullità della clausola di determinazione degli interessi di un contratto di mutuo parametrata su tale indice per indeterminabilità dell’oggetto o piuttosto costituisca un elemento astrattamente idoneo ad assumere rilevanza solo nell’ambito del pro cesso di formazione della volontà delle parti, laddove idoneo a determinare nei contraenti una falsa rappresentazione della realtà, ovvero quale fatto produttivo di danni »), rimesse alle Sezioni Unite di questa Corte
dall’ordinanza interlocutoria resa da Cass. n. 19900 del 2024 e tuttora pendenti innanzi a queste ultime ( cfr . Cass., SU, 6943 del 2025).
Il mancato accoglimento del ricorso principale consente di considerare assorbito l’esame del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE, nella indicata qualità, -i cui due motivi recano, rispettivamente: « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33 della legge n. 287/1990 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) », per avere la corte di appello violato la disciplina in tema di competenza funzionale a decidere le azioni di nullità delle fideiussioni frut to di un’intesa anticoncorrenziale; « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) », per essere la corte distrettuale entrata nel merito di questioni in ordine alle quali si era già formato il giudicato nella sentenza di primo grado -perché espressamente condizionato all’avvenuto accoglimento della impugnazione del Boldrini.
In definitiva, quindi, l’odierno ricorso principale di NOME COGNOME deve essere respinto, restando assorbito quello incidentale condizionato promosso da RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE), quale procuratrice di Banco BPM s.p.a.
Le spese di questo giudizio di legittimità restano a carico del Boldrini, altresì dandosi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., SU, n. 24245 del 2015; Cass., SU, n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso principale di NOME COGNOME.
Dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato promosso da RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE), quale procuratrice di Banco BPM s.p.a.
Condanna il COGNOME al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente, liquidate in complessivi € 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera solo del medesimo ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile