SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ANCONA N. 1288 2025 – N. R.G. 00000677 2024 DEPOSITO MINUTA 27 10 2025 PUBBLICAZIONE 27 10 2025
R.G. 677/2024
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ANCONA
PRIMA SEZIONE CIVILE II COLLEGIO
Riunita in camera di consiglio con l’intervento dei sigg. magistrati
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME
Presidente
Rel.
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile in grado di appella iscritta al n. NUMERO_DOCUMENTO del RAGIONE_SOCIALE generale per gli affari contenziosi dell’anno 2024 e promossa
DA
(C.F.
(C.F.
)
e
C.F.
), rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
C.F.
NOME COGNOME, come da procura in atti;
APPELLANTI
CONTRO
TABLE
rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, come da procura in atti;
APPELLATA
Oggetto: appello avverso la sentenza n. 1076 del Tribunale di Ancona pubblicata in data 24/5/2024 in materia di opposizione a decreto ingiuntivo/fideiussione.
Conclusioni: come da note scritte di pc.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale adito confermava la condanna come richiesta nel decreto ingiuntivo n. 661/2021 nei confronti di , in solido con i garanti e al pagamento della somma di € 1.962.169,18 in favore di ed € 1.964.539,53 a a titolo di canoni insoluti di n. 8 contratti di leasing (nn. 12698, 12699, 12700, 12741, 13557, 13170, 14052 e 14088) sottoscritti dalla debitrice principale, l’allora (divenuta poi , con
Il Tribunale, per quel che qui è di interesse, riteneva:
-la presenza di plurimi elementi (avviso in G.U., indicazione del numero identificativo contenuto nell’atto notarile, possesso della documentazione attinente i rapporti con gli ingiunti) dal quale ritenere che titolari del credito fossero le ingiungenti cessionarie e ;
-che a prescindere dalla declaratoria di nullità parziale delle fideiussioni oggetto di causa, la creditrice non sarebbe incorsa nella decadenza ex art. 1957, 1 comma, c.c., atteso che le diffide stragiudiziali del 19.9.2014, in ragione della clausola ‘a semplice richiesta scritta’ di cui all’art. 8 delle fideiussioni, erano idonee ad interrompere il termine decadenziale;
-l’infondatezza dell’eccezione di nullità totale delle fideiussioni;
-l’infondatezza dell’eccezione di liberazione di cui all’art. 1956 c.c. in quanto applicabile soltanto nell’ipotesi fideiussioni omnibus o generiche.
e impugnavano la predetta sentenza e prospettavano le doglianze in seguito indicate.
in qualità di mandataria di nonché in qualità di mandataria di si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza.
Con ordinanza comunicata alle parti in data 3.2.2025, il Collegio rigettava l’istanza di sospensione ex art. 283 c.p.c. della sentenza appellata e contestualmente formulava proposta conciliativa ai sensi dell’art. 185 bis c.p.c. nei termini di rinuncia all’appello e spese di lite compensate.
La proposta veniva rifiutata dalla sola parte appellante.
Con ordinanza del 21.10.2025 il Giudice istruttore tratteneva la causa in decisione per riferire al Collegio.
Con il primo motivo di appello, gli appellanti reiterano il difetto di legittimazione attiva delle creditrici sul rilievo che, a fronte delle operazioni di cessione in forza delle quali il credito di cui si discute sarebbe stato oggetto di cessioni a
, mancava la prova tanto del contratto di cessione dei crediti in blocco, quanto la prova circa l’inclusione tra i crediti ceduti di quelli oggetto del presente giudizio.
Assume altresì la carenza di legittimazione della ingiungente anche per violazione dell’art. 106 TUB, in quanto la stessa non sarebbe iscritta all’apposito albo degli intermediari finanziari per il recupero dei crediti cartolarizzati.
Il motivo è infondato.
In tema di prova della cessione di credito ai fini della titolarità, la giurisprudenza di legittimità – Cass. 22/06/2023, n. 17944; Cass. 5/04/2023, n. 9412; Cass. 22/03/2024, n. 7688 , ha precisato che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della cessione in blocco esonera la cessionaria dal notificare la cessione al titolare del
debito ceduto ed è un adempimento che si pone sullo stesso piano di quelli prescritti in via generale dall’art. 1264 cod. civ., ma non esonera la parte che agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 58, dall’onere di dimostrare l’inclusione del credito per cui agisce in detta operazione; dimostrazione che – quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé può dirsi soddisfatta tramite l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, là dove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete; con la conseguenza che ove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo.
Nella recente Cassazione civile sez. I, 29/02/2024 n.5478 si legge che: a) la prova della cessione di un credito non è, di regola, soggetta a particolari vincoli di forma; dunque, la sua esistenza è dimostrabile con qualunque mezzo di prova, anche indiziario, e il relativo accertamento è soggetto alla libera valutazione del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità; b) opera, poi, certamente, in proposito, il principio di non contestazione; c) va, comunque, sempre distinta la questione della prova dell’esistenza della cessione (e, più in generale, della fattispecie traslativa della titolarità del credito) dalla questione della prova dell’inclusione di un determinato credito nel novero di quelli oggetto di una operazione di cessione di crediti individuabili in blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B.. Sulla base di tali ultime puntualizzazioni, si può certamente confermare, in primo luogo, che, in caso di cessione di crediti individuabili blocco ai sensi dell’art. 58 T.U.B., quando non sia contestata l’esistenza del contratto di cessione in sé, ma solo l’inclusione dello specifico credito controverso nell’ambito di quelli rientranti nell’operazione conclusa dagli istituti bancari, l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale,
può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, laddove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete. In tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del cd. thema probandum; il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione (più precisamente, della esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito controverso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco) e, pertanto, sotto tale limitato aspetto, le indicazioni contenute nell’avviso di cessione dei crediti in blocco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in relazione ad una operazione da ritenersi certamente esistente in quanto non contestata, possono ben essere valutate al fine di verificare se esse consentono o meno di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte tra quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario (di modo che, solo laddove tale riconducibilità non sia desumibile con certezza dalle suddette indicazioni sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà necessario fornire la prova della cessione dello specifico credito oggetto di controversia in altro modo; cfr. sul punto, di recente, per un caso in cui tale riconducibilità è stata esclusa in concreto, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9412 del 05/04/2023 , ). Diverso è, però, il caso in cui (come certamente accaduto nella specie) sia oggetto di specifica contestazione da parte del debitore ceduto la stessa esistenza del contratto (ovvero dei vari contratti) di cessione: in questo caso, detto contratto deve essere certamente oggetto di prova e, a tal fine, come sopra chiarito, di regola non può ritenersi sufficiente una mera dichiarazione della parte cessionaria e, quindi, come tale, neanche la mera “notificazione” della cessione da questa effettuata al debitore ceduto, neanche se tale notificazione sia avvenuta mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., dalla società cessionaria di rapporti giuridici individuabili in blocco. D’altra parte, ciò non esclude che tale avviso, unitamente ad altri elementi, possa eventualmente essere valutato come indizio dal giudice del merito, sulla base di adeguata motivazione, al fine di pervenire alla prova presuntiva della cessione: ciò
potrebbe avvenire, ad esempio, nel caso in cui l’avviso risulti pubblicato su iniziativa della stessa banca cedente o di quest’ultima unitamente alla società cessionaria, ovvero quando vi siano altre particolari ragioni che inducano a ritenerlo un elemento che faccia effettivamente presumere l’effettiva esistenza della dedotta cessione. In tali casi, la questione si risolve in un accertamento di fatto da effettuare in base alla valutazione delle prove da parte del giudice del merito e detto accertamento, come è ovvio, se sostenuto da adeguata motivazione, non sarà sindacabile in sede di legittimità».
Occorre poi sempre ricordare che, la cessione del credito è un negozio consensuale privo di particolari stampi formali e non richiede il rispetto della forma scritta nemmeno ad probationem (in tal senso, Sentenza della Corte di Cassazione n. 7919 del 26/04/2024, Sentenza della Corte di Cassazione n. 1396 del 15/05/1974, Sentenza della Corte di Cassazione n. 18016 del 09/07/2017).
Nel caso di specie sussistono presunzioni gravi, precise e concordanti tali da ritenere che abbia ceduto il credito a e a
Innanzitutto, con riferimento a vi è l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 52 del 4 maggio 2017 prevede la cessione da a
di ‘ tutti i crediti per capitale, interessi (anche di mora), spese ed altri accessori derivanti da contratti di leasing risolti ovvero sciolti ex art. ex articolo 72 -quater del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, alla data del 31 marzo 2017 (i ‘Contratti Originari RAGIONE_SOCIALE‘), fatta eccezione per i crediti all’equo compenso ed al pagamento di indennizzi, penali e danni in caso di inadempimento o risoluzione dei Contratti Originari RAGIONE_SOCIALE che, alle ore 23.59 del 31 dicembre 2016 (la ‘Data di Valutazione’) ‘.
Per la creditrice , l’avviso in Gazzetta Ufficiale n. 54 del 9.5.2017 annunciava l’acquisto in blocco di da di ‘ un complesso di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco consistenti in tutti i beni, le passività (ad esclusione delle Passività Escluse, come di seguito definite) ed i rapporti giuridici relativi a contratti di leasing risolti ovvero sciolti ex articolo 72-
quater del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, alla data del 31 marzo 2017 (i ‘Contratti Originari RAGIONE_SOCIALE‘), diversi dai crediti pecuniari (ma con inclusione dei crediti all’equo compenso ed al pagamento di indennizzi penali e danni in caso di inadempimento o risoluzione dei Contratti Originari RAGIONE_SOCIALE) (i ‘Rapporti Giuridici RAGIONE_SOCIALE‘) che alle ore 23.59 del 31 dicembre 2016 (la ‘Data di Valutazione’) oppure alle ore 23.59 delle diverse date di seguito specificamente indicate, soddisfino cumulativamente i seguenti criteri ‘
Tutti i rapporti di leasing oggetto dell’asserito credito sono stati risolti con le raccomandate del 19.9.2014 (docc. nn. 21-22-23 del fascicolo monitorio).
A ciò si aggiunga che quale mandataria in primo grado delle due creditrici (oggi ha partecipato al giudizio producendo tutti i documenti relativi all’obbligazione principale e all’obbligazione di garanzia. La disponibilità di essi non può diversamente spiegarsi se non presupponendo l’avvenuta cessione e, dunque, la configurazione dello scenario prospettato dalla norma di cui all’art. 1264 c.c.
Infine, non si comprendono le ragioni di timore della difesa appellante atteso che, anche qualora per mera ipotesi il titolare del credito non fossero e ma un diverso soggetto, gli appellanti non sono esposti al rischio di eseguire un pagamento non liberatorio, giusto il principio generale di cui al primo comma dell’art. 1189 c.c.
Quanto alla contestazione sulla violazione dell’art. 2, comma 6, della L. n. 130/1999, ci si limita a richiamare il recente l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui: ‘ Il conferimento dell’incarico di recupero dei crediti cartolarizzati ad un soggetto non iscritto nell’albo di cui all’art. 106 T.U.B. e i conseguenti atti di riscossione da questo compiuti non sono affetti da invalidità, in quanto l’art. 2, comma 6, della l. n. 130 del 1999 non ha immediata valenza civilistica, ma attiene, piuttosto, alla regolamentazione amministrativa del settore bancario e finanziario, la cui rilevanza pubblicistica è specificamente RAGIONE_SOCIALEta dal sistema dei controlli e dei poteri, anche sanzionatori, facenti capo all’autorità di vigilanza e presidiati da norme penali,
con la conseguenza che l’omessa iscrizione nel menzionato albo può assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con la predetta autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici ‘. (Cassazione civile, sez. III, 18/03/2024, n. 7243; da ultimo confermata da Cassazione civile, sez. III, 03/05/2024, n. 12007 e Cassazione civile, sez. III 31/5/2025, n. 14693)
Con il secondo motivo di appello, gli appellanti impugnano la parte della sentenza in cui il Tribunale non ha dichiarato la nullità parziale delle fideiussioni con conseguente decadenza della creditrice ai sensi dell’art. 1957 c.c.
Parte appellante con il sotto motivo di cui alla lett. a) torna ad eccepire la decadenza della banca ai sensi dell’art. 1957 c.c. In particolare, gli appellanti sostengono che il Tribunale avrebbe errato laddove abbia riconosciuto che la richiesta di pagamento contestuale alla risoluzione dei rapporti di leasing avrebbe interrotto il termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c. quando invece per la giurisprudenza il concetto di istanza si riferirebbe esclusivamente ai mezzi di RAGIONE_SOCIALE giurisdizionali.
Gli appellanti assumono la violazione dell’art. 1957, comma 1 c.c. anche nella parte in cui il creditore, una volta intraprese le proprie istanze non ‘ le abbia con diligenza continuate ‘, essendo trascorso un periodo di circa sette anni fra la diffida ad adempiere e l’iniziativa di recupero del credito tramite decreto ingiuntivo.
Eccepiscono alla lett. b) del medesimo motivo la nullità parziale (artt. 2, 6 e 8) delle fideiussioni specifiche da essi sottoscritte negli anni 2009 e 2011 per violazione degli art. 2. c. 2 lett. c) L. 287/1990 in quanto riproducente lo schema predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE considerato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55/2005 lesivo dell’attività anticoncorrenziale.
Infine, alla lett. c) eccepiscono altresì la nullità dell’art. 7 delle fideiussioni quale clausola derogativa dei termini di cui all’art. 1957 c.c. per violazione dell’art. 33, comma 2, lett. t) Codice del Consumo poiché norma vessatoria in assenza di prova di specifica trattativa.
Il motivo è infondato.
Con la sentenza a Sezioni unite n. 41994 del 30.12.2021 la Corte di Cassazione ha espresso il principio di diritto secondo cui ‘ I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. ‘
Ebbene, nel caso di specie, deve escludersi che l’accertamento effettuato dall’RAGIONE_SOCIALE e conclusosi con il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, possa essere esteso alle fideiussioni specifiche, atteso che il predetto provvedimento è riferito alle sole fideiussioni omnibus .
Difatti, nell’ottobre del 2002, l’RAGIONE_SOCIALE concordò con alcune RAGIONE_SOCIALE, il contenuto del contratto di fideiussione ‘a garanzia delle operazioni bancarie’ ossia fideiussione omnibus e non già fideiussione specifica.
La stessa esponeva nelle proprie difese (pag. 5 punto 27 del provvedimento n. 55/2005) che proprio la natura di fideiussione omnibus concilierebbe con l’applicazione di quelle specifiche disposizioni (artt. 2, 6 e 8) e derogatorie al codice civile: ‘ la fideiussione omnibus è un istituto giuridico caratterizzato da una propria causa, consistente nella prestazione di una garanzia rivolta non ad assicurare l’adempimento di una determinata obbligazione altrui, bensì a tenere indenne la banca dal rischio dell’insolvenza del garantito in relazione al complesso dei rapporti che quest’ultimo ha o avrà con la banca medesima. Le disposizioni divergenti rispetto alle norme del codice civile rappresenterebbero proprio gli elementi che definiscono la specifica funzione di questa forma di garanzia, la cui legittimità andrebbe conseguentemente giudicata al di fuori dello schema legale costruito, in generale, per la fideiussione ‘. Parte
Tale ricostruzione è stata accolta anche dalla recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui ‘ la rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto “a valle”
dell’intesa anticoncorrenziale, nullità che nell’ottica della citata pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default, è agevole osservare che essa rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione ‘ che per quel che qui è di interesse: ‘ la natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus, non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’RAGIONE_SOCIALE, quale strumento di RAGIONE_SOCIALE macroprudenziale del sistema bancario (l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce ‘ (Cassazione civile, sez. I, 1/2/2025, n. 2432; Cassazione civile, sez. I, 11/12/2024, n. 31986; Cassazione civile, sez. III, 19/12/2024, n. 33472).
Pertanto, non assumono rilievo le innumerevoli fideiussioni specifiche depositate dagli opponenti in quanto la natura di fideiussione specifica esclude a priori detto accertamento operato da Banca d’Italia. (Corte di Appello di Ancona, 21.2.2025 n. 302).
Ad ogni modo, anche volendo valutare il rilievo degli odierni appellanti circa la decadenza ex art. 1957 c.c., l’eccezione è comunque infondata.
L’art. 1957, comma 1, c.c. pone in capo al creditore due obblighi: di proporre le proprie istanze nel termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale e di continuarle diligentemente.
Ratio di suddetta norma ‘ va individuata nell’esigenza di impedire che il fideiussore, per l’inerzia del creditore, resti incerto in ordine agli effetti ed alla sorte della sua obbligazione e possa essere pregiudicato per ciò che attiene al suo rapporto con il debitore principale, in spregio ad ogni regola di corretta esecuzione del rapporto obbligatorio ‘ (Cass. n. 13078/2008).
Senonché, le fideiussioni sottoscritte dagli opponenti odierni appellanti contengono all’art. 8 la già richiamata clausola non colpita da nullità parziale e ritenuta legittima dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005 che dispone l’impegno del
fideiussore al pagamento al creditore ‘ a semplice richiesta scritta ‘. Tale clausola riconosce il rispetto del termine semestrale di decadenza da parte del creditore qualora questi si attivi con la semplice richiesta di pagamento effettuata entro quel termine al garante, a prescindere dall’esercizio di un’azione giudiziaria.
Tale decisione è confermata dalla giurisprudenza di legittimità più recente secondo cui: ‘ Ebbene se è vero che, in linea generale, agli effetti dell’art. 1957, non è sufficiente un semplice atto stragiudiziale, occorrendo un’istanza giudiziale -intesa come concreto rimedio processuale volto ad ottenere, in via di cognizione o in executivis, l’accertamento e il soddisfacimento della pretesa creditrice (cfr. Cass. civ., Sez. I, 29 gennaio 2024, n. 2607; Cass. civ., Sez. III, Ord., 13 febbraio 2018, n. 3421; principio sancito da Cass. civ., Sez. I, 8 febbraio 2005, n. 2532) -è altrettanto vero che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ormai consolidata, in assenza di ragioni che persuadano del contrario, non può che essere confermato, ove il debitore si sia impegnato a soddisfare il credito garantito “a semplice richiesta”, tale previsione può essere interpretata come deroga pattizia al termine previsto da tale articolo. Dunque, in una tale ipotesi, “l’osservanza dell’onere di cui alla citata disposizione può essere considerata soddisfatta dalla stessa richiesta di pagamento formulata dal creditore al fideiussore, prescindendo dalla proposizione di un’azione giudiziaria” (principio affermato da Cass. civ., Sez. III, 21 maggio 2008, n. 13078; nelle successive pronunce, in motivazione, v. Cass. civ., Sez. I, Ord., 20 settembre 2024, n. 25344; Cass. civ. Sez. III, 14 ottobre 2022, n. 30185; Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 2017, n. 22346 ).’ (fra le più recenti: Cassazione civile, sez. III, 13.1.2025, n. 835)
Parimenti infondato è il secondo profilo relativo all’eccezione ex art. 1957 c.c. ossia quello che impone al creditore, una volta intraprese le proprie istanze, di coltivarle diligentemente.
Nel caso di specie non può dirsi che la creditrice non abbia coltivato le proprie istanze o sia, come contestato da parte appellante, rimasta totalmente inerte dalla risoluzione dei rapporti fino al ricorso per decreto ingiuntivo.
Ebbene, configura un comportamento volto a coltivare il proprio credito la vendita dei beni oggetto di leasing avvenuti rispettivamente nell’anno 2015 con riferimento ai beni oggetto dei contratti nn. 12699 e 12700 (doc. nn. 24 e 25) nonché nell’anno 2019 per i contratti 13557 e 14052 (doc. nn. 29 e 30).
Da ultimo, è altresì infondata l’eccezione di nullità dell’art. 7 della fideiussione derogativa del termine di cui all’art. 1957 c.c. per violazione dell’art. 33, comma 2, lett. t) Codice del Consumo posto che come già sopra illustrato, l’eventuale nullità di predetta clausola non comporterebbe l’accoglimento dell’eccezione ex art. 1957 c.c..
Ebbene, nello specifico i fideiussori non assumevano, al momento di assunzione delle obbligazioni, la qualifica di RAGIONE_SOCIALE.
Occorre muovere dalla premessa secondo cui il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato che la disciplina consumeristica possa applicarsi anche in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da una persona fisica in favore di una società ‘ il fideiussore, persona fisica, non è un professionista ‘di riflesso’, non essendo quindi tale solo perché lo sia il debitore garantito. è da escludere, dunque, la sussistenza di un automatismo, dovendosi stabilire, sulla base delle risultanze probatorie acquisite, se la prestazione della garanzia rientri nell’attività professionale del garante o se vi siano collegamenti funzionali che lo leghino alla garantita o se abbia agito per scopi di natura privata. ‘ (Cass. Sez. Un. n. 5868/2023) e prima ancora ‘ poiché i requisiti soggettivi di applicabilità della disciplina legislativa consumeristica, in relazione ad un contratto di fideiussione stipulato da un socio in favore della società, devono essere valutati con riferimento alle parti dello stesso (e non già del distinto contratto principale), assumono poi rilievo profili quali l’entità della partecipazione al capitale sociale, o la qualità di amministratore della società garantita assunta dal fideiussore ‘ (Cass. 13 dicembre 2018, n. 32225).
Muovendo da tali premesse, nel caso di specie non può qualificarsi la figura di RAGIONE_SOCIALE in capo ai fideiussori appellanti.
Invero, con riguardo alla persona di egli risulta innanzitutto firmatario delle fideiussioni nella qualità di legale rappresentante prima della (per i contratti n. 12698, 12699, 12700) e poi per la (per i contratti n. 12744, 13557, 13170, 13557, 14488). E, difatti, dalle visure camerali emerge che abbia assunto la carica di amministratore della poi in epoca coeva alla sottoscrizione dei contratti e delle fideiussioni.
Quanto alla garante sussistono nei suoi confronti plurimi elementi dal quale escludere la qualifica di consumatrice nei confronti delle fideiussioni assunte.
In primo luogo, gli opponenti odierni appellanti non hanno specificamente contestato la ricostruzione operata dalle creditrici nel ricorso per decreto ingiuntivo in merito alle varie vicende successorie della società debitrice principale
In particolare, nel predetto ricorso veniva affermato che i garanti e erano originari soci della ossia della RAGIONE_SOCIALE e che le predette quote societarie furono successivamente cedute a quale liquidatore.
Sempre nel ricorso per decreto ingiuntivo viene altresì affermato che i fideiussori sono soci al 50% della costituita nell’anno 2009 come da visura (doc. 35 fascicolo monitorio) società facente parte del gruppo
Orbene tali specifiche affermazioni, e segnatamente che era sia originariamente socia della RAGIONE_SOCIALE sia socia della quale società che cooperava con la debitrice principale non è stata oggetto di specifica contestazione ex art. 115 c.p.c. né di controprova.
Gli appellanti, ad esempio, avrebbero dovuto provare di non essere soci della RAGIONE_SOCIALE al momento di sottoscrizione delle fideiussioni ovvero che la operava in collaborazione con la debitrice principale.
Infine, il fatto che l’attività della di cui detiene una quota rilevante nella partecipazione societaria (50%) sia collegata alla società debitrice
principale, come pare desumersi sia dalla mancata contestazione sia dal fatto che operano nel medesimo settore, questo Collegio ritiene, che abbia rilasciato le fideiussioni per avvantaggiare, allorché in via indiretta, anche la collegata per l’appunto a quella garantita e, dunque, per soddisfare un proprio interesse imprenditoriale e rafforzare la loro posizione sul mercato.
Il terzo motivo di appello, con il quale parte appellante denuncia l’omesso rilievo d’ufficio delle nullità sopra descritte, è assorbito, stante il loro rigetto.
Con il quarto motivo di appello, parte appellante impugna la parte della sentenza in cui il Tribunale di Ancona ha rigettato l’eccezione di nullità totale delle fideiussioni.
Assumono gli appellanti che contrariamente da quanto deciso dal primo giudice, essi avrebbero dato prova in ordine al fatto che la banca, in assenza degli artt. 2, 6 e 8, non avrebbe sottoscritto le fideiussioni.
Con il medesimo motivo, gli appellanti si dolgono altresì che il Tribunale abbia escluso l’applicabilità dell’art. 1956 c.c. ritenendo erroneamente che la violazione della predetta norma sia limitata alle fideiussioni omnibus in ragione dell’espresso richiamo ad una ‘obbligazione futura’, in quanto il richiamo ad ‘obbligazione futura’ operato dalla norma comporta l’applicabilità della predetta alle sole fideiussioni omnibus o generiche.
Al contrario, essi affermano che l’espressione ‘fare nuovo credito’ di cui all’art. 1956 c.c. includerebbe anche il mantenimento del credito già concesso (Cass. 21730/2010), a meno che venga richiesta l’autorizzazione del fideiussore, ove le condizioni patrimoniali del debitore siano peggiorate e ciò in quanto la predetta norma costituirebbe una estensione dei più generali obblighi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..
Denunciano in particolar modo che la locatrice, consapevole del peggioramento delle condizioni patrimoniali della debitrice, stante i numerosi canoni insoluti, avrebbe dovuto dare comunicazione al fideiussore per ottenere l’autorizzazione richiesta dall’art. 1956 c.c..
Il motivo è infondato.
Il primo aspetto della censura, che torna sulla nullità delle fideiussioni, peraltro invocata come totale, è censura assorbita, considerato che nel caso di specie si verte di fideiussioni specifiche che sono escluse, come sopra si è detto, dall’ alveo del provvedimento n. NUMERO_DOCUMENTO della Banca d’Italia.
Sul secondo profilo di censura, parte appellante richiama l’orientamento secondo il quale nelle ipotesi ‘ di un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, la banca creditrice, che dispone sicuramente di strumenti di autoRAGIONE_SOCIALE che le consentono di porre termine al rapporto impedendo gli ulteriori atti di utilizzazione del credito, è tenuta ad avvalersi di quegli strumenti anche a RAGIONE_SOCIALE dell’interesse del fideiussore incolpevole, sì non vuole perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede e in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che – ovviamente – il fideiussore, ricevuta informazione dalla banca, manifesti espressamente la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia nonostante la conoscenza del peggioramento delle condizioni patrimoniali del soggetto garantito ‘ (Cassazione civile, sez. I, 22/10/2010, n. 21730 che richiama a sua volta Cassazione n. 4458/2005 e Cassazione n. 3525/2009).
Gli appellanti però non considerano che l’orientamento richiamato si fonda sull’esistenza dei seguenti presupposti: la conoscenza da parte del creditore del peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore e l’inconsapevolezza del fideiussore della predetta situazione patrimoniale.
Nel caso di specie, l’appellante non ha provato la conoscenza da parte del creditore del peggioramento dello stato patrimoniale e al contrario se ne deve presumere la conoscenza da parte dei fideiussori, in virtù della qualità di socie e del RAGIONE_SOCIALE da essi ricoperto nelle società garantite.
Difatti, si rammenta che, secondo quanto sancito dall’art. 2697 c.c. e quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto, ricade interamente sul
fideiussore l’onus probandi sia dell’elemento oggettivo, consistente nell’erogazione del nuovo credito a fronte del peggioramento delle stato economico-finanziario della società sia del profilo soggettivo ovverosia della conoscenza del creditore dell’irrimediabile situazione d’insolvenza: ‘ è onere della parte, che deduca la violazione del canone della buona fede dimostrare, non solo che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, ma anche che la banca abbia agito nella consapevolezza di una irreversibile situazione di insolvenza del debitore principale ‘ (Cass. civ. 05/10/2021, n. 26947)
Sul punto, questa Corte conferma quanto statuito dal primo giudice, in quanto nessuna prova documentale o storica è stata fornita dagli appellanti sulla conoscenza in capo alla banca delle difficoltà finanziarie irreversibili della società debitrice.
Al contrario, risulta in via presuntiva la conoscenza in capo ai garanti della situazione patrimoniale della società debitrice garantita; tali elementi presuntivi si ravvisano:
– nella qualità di soci dei fideiussori (circostanza che va ritenuta provata come sopra evidenziato) della società debitrice garantita ovvero di società della famiglia operanti nel medesimo mercato di riferimento, atteso che la posizione di socio ha sicuramento messo gli appellanti nella condizione di percepire i segnali del deterioramento delle condizioni economiche della società garantita e di adottare rimedi: Cassazione civile sez. I, 19/04/2021, n.10261 ha posto in rilievo che ‘La qualità di socio dà diritto all’ispezione dei libri sociali, all’esame dello stato patrimoniale e – nelle RAGIONE_SOCIALE – ad avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali. Pertanto, il socio fidejussore non ha diritto ad essere liberato in caso di crediti di difficile soddisfacimento giacchè avrebbe potuto intervenire per impedire eventi pregiudizievoli a sè ed alla società medesima ‘; secondo Corte appello Ancona sez. I, 11/10/2024, n.1472 Il socio che abbia prestato fideiussione per ogni obbligazione futura di una società a responsabilità limitata, esonerando l’istituto bancario creditore dall’osservanza dell’onere impostogli dall’art. 1956 c.c., non può invocare, per ottenere la propria liberazione nonostante la sottoscritta clausola di esonero, la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del creditore per avere quest’ultimo
concesso ulteriore credito alla società benché avvertito dallo stesso fideiussore della sopravvenuta inaffidabilità di quest’ultima a causa della condotta dell’amministratore. In tale situazione, infatti, per un verso, non è ipotizzabile alcun obbligo del creditore di informarsi a sua volta e di rendere edotto il fideiussore, già pienamente informato, delle peggiorate condizioni economiche del debitore e, per altro verso, la qualità di socio del fideiussore consente a quest’ultimo di attivarsi per impedire che continui la negativa gestione della società (mediante la revoca dell’amministratore) o per non aggravare ulteriormente i rischi assunti (mediante l’anticipata revoca della fideiussione ; nello stesso senso Cassazione civile sez. III, 17/06/2024, n.16822;
– nel RAGIONE_SOCIALE gestorio svolto dal in seno alle società garantite, atteso che dalle visure camerali emerge che egli ha assunto la carica di amministratore della poi in epoca coeva alla sottoscrizione dei contratti e delle fideiussioni.
Infine, circostanza dirimente è costituita fatto che i fideiussori erano onerati dell’obbligo di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali della società garantita in virtù dell’art. 6 delle fideiussioni sottoscritte ‘il fideiussore avrà cura di tenersi al corrente delle condizioni patrimoniali del debitore e, in particolare, di informarsi presso lo stesso dello svolgimento dei suoi rapporti con la Concedente ‘ (Cassazione civile, sez. III, 17/07/2023, n. 20713).
In siffatte ipotesi, la giurisprudenza fa gravare sul fideiussore l’onere di preventivo controllo delle condizioni patrimoniali del debitore, esonerando il creditore dal dovere di chiedere la preventiva autorizzazione, in quanto in presenza di un rapporto qualificato tra fideiussore e garantito, che ricorre quando il primo è socio della società debitrice principale, l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c. può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante. La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che nel caso in cui il fideiussore per obbligazione futura, che cumula la duplice qualità di socio e di garante della società debitrice principale, chieda di essere liberato dalle sue obbligazioni nei confronti del creditore, ai sensi dell’art. 1956 c.c., è legittima la presunzione operata dal giudice di merito che rigetti tale richiesta basando il proprio
accertamento sulla presunzione che il fideiussore era al corrente della situazione economica della società ed avrebbe potuto intervenire per impedire eventi pregiudizievoli a sé ed alla società medesima (Cass. Civ., Sez. I, 09.08.2016, n. 16827); in presenza di un rapporto qualificato tra fideiussore e garantito, che ricorre quando il primo è socio della società debitrice principale, l’autorizzazione può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante, in applicazione del principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti, laddove emerga, anche in via presuntiva, la conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito (Cass. Civ., Sez. I, 02-03-2016, n. 4112).
Con il motivo di cui al n. 6 ( rectius n. 5) dell’atto di citazione gli appellanti lamentano la nullità della sentenza impugnata nonché dell’intero giudizio dinnanzi il Tribunale, non avendo quest’ultimo esaminato le censure in ordine alla nullità delle fideiussioni per violazione della normativa dell’antitrust nonché Codice del Consumo, violazione dei canoni di buona fede, correttezza e diligenza e in ordine alla istanza istruttoria formulata nella memoria ex art. 183, c. 6 n. 2 c.p.c.
Il motivo è infondato.
La pretesa nullità della sentenza appellata per omessa pronuncia su una o più censure non configura causa di nullità della sentenza con rinvio della causa al primo giudice, ma, se sussistente, solo un vizio della medesima sentenza che il giudice di appello può eliminare integrando la motivazione carente o comunque decidendo sul merito della causa; nel caso di specie proprio la disamina delle censure ha rafforzato ed integrato la motivazione di prime cure.
L’appello va pertanto integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c.; va inoltre disposta la condanna degli appellanti ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. al pagamento di ulteriore somma pari ad un sottomultiplo delle spese liquidate in favore della appellata costituita, per immotivato rifiuto della proposta conciliativa formulata con l’ordinanza
del 3.2.2025 espressiva di un contegno dell’appellante intesa a resistere in ‘ giudizio con mala fede o colpa grave ‘.
Difatti indubbio è il contenuto manifestamente svantaggioso della presente pronuncia rispetto a quanto previsto dalla proposta conciliativa, (rinuncia all’appello e spese di lite compensate), il carattere pretestuoso della mancata adesione alla indicata proposta conciliativa, la negligenza nella ulteriore coltivazione del giudizio; quanto al pregiudizio, esso si riferisce a quello conseguente alla protrazione del processo, evitabile con la diligenza processuale imposta dall’art. 88 c.p.c., come tale non ristorato dalla mera ripetizione delle spese processuali, essendo state le altre parti costrette ad ulteriore attività processuale. La determinazione del danno, rimessa alla discrezionale liquidazione del giudice secondo il parametro dell’equità, dovrà avvenire tenendo conto del valore della causa, del tipo di condotta processuale adottata dal soccombente e dalla consistenza economica dei contendenti; con riferimento a tali criteri appare equo liquidare, ex art. 96, comma 3, c.p.c., un importo pari alla metà di quanto liquidato a titolo di compensi, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull’appello promosso da e contro in qualità di mandataria di nonché in qualità di mandataria di avverso la sentenza in epigrafe, così provvede:
-rigetta l’appello e conferma l’impugnata sentenza;
-condanna e in solido fra loro al pagamento a favore di in qualità di mandataria di
nonché in qualità di mandataria di delle spese di lite del presente grado di giudizio che si liquidano in € 9.643,00 + € 5.607,00 + € 16.033,00 rispettivamente per le fasi di studio, introduttiva e decisionale, oltre rimborso forfettario, IVA e CAP come per legge;
-condanna altresì gli appellanti e al pagamento in favore di in qualità di mandataria di nonché in qualità di mandataria di a titolo di risarcimento del danno ex art. 96, comma 3, c.p.c., di un importo pari alla metà delle spese di lite liquidate a titolo di compensi, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo
-sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
Ancona, così deciso in Camera di consiglio del 27.10.2025
Il Presidente est.
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME