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Fideiussione schema ABI: onere della prova in appello

Una garante contesta la validità di una fideiussione basata su uno schema ABI anticoncorrenziale. La Corte d’Appello respinge il ricorso, sottolineando che la nullità della Fideiussione schema ABI, pur rilevabile d’ufficio, richiede che l’appellante fornisca prove concrete, come il modello ABI stesso e la prova dell’intesa illecita al momento della firma. Mancando tali prove, la garanzia resta valida.

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Fideiussione Schema ABI: Quando la Nullità Resta Solo sulla Carta

La questione della nullità delle fideiussioni omnibus redatte su modello ABI anticoncorrenziale è da anni al centro del dibattito giurisprudenziale. Una recente sentenza della Corte di Appello di Roma offre un importante chiarimento sui limiti del potere del giudice di rilevarla d’ufficio e sull’imprescindibile onere della prova a carico di chi la eccepisce. Analizziamo come la corretta impostazione processuale e la produzione di prove adeguate siano determinanti per il successo di un’azione basata sulla nullità della fideiussione schema ABI.

Il Caso: Una Fideiussione Contestata in Appello

Il caso trae origine dall’opposizione a un decreto ingiuntivo da parte di una garante (fideiussore). Dopo la condanna in primo grado al pagamento di oltre 547.000 euro, la garante proponeva appello, sostenendo la nullità totale del contratto di fideiussione. Il motivo principale era la sua conformità al modello standard predisposto dall’ABI, oggetto di un provvedimento della Banca d’Italia (n. 55/05) che ne aveva accertato il carattere anticoncorrenziale per la presenza di specifiche clausole.

La tesi della parte appellante era che tale conformità rendesse l’intero contratto nullo, liberandola da ogni obbligo di pagamento. La questione, tuttavia, era stata sollevata in maniera specifica solo nel giudizio di secondo grado.

La Posizione della Corte sulla Fideiussione Schema ABI

La Corte di Appello di Roma, pur riconoscendo il principio consolidato secondo cui la nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ha respinto l’appello. La decisione si fonda su un punto cruciale: la rilevabilità d’ufficio non è un potere esercitabile nel vuoto, ma presuppone che i fatti su cui si basa la nullità siano già stati acquisiti agli atti del processo.

L’Onere della Prova a Carico del Garante

Il Collegio ha evidenziato come l’appellante avesse un preciso onere probatorio, che non è stato assolto. In particolare, la parte avrebbe dovuto:
1. Produrre lo schema ABI censurato: Per consentire al giudice di effettuare una comparazione diretta e verificare l’effettiva corrispondenza tra le clausole del contratto specifico e quelle del modello anticoncorrenziale.
2. Dimostrare l’esistenza dell’intesa illecita: Provare che l’intesa anticoncorrenziale tra istituti di credito fosse ancora operante al momento della sottoscrizione della fideiussione (nel 2011), un’epoca successiva al periodo esaminato dal provvedimento della Banca d’Italia.

Mancando questi elementi, il giudice non disponeva dei fatti necessari per poter esercitare il proprio potere di rilevare d’ufficio la nullità.

I Limiti alla Rilevabilità d’Ufficio

Richiamando un recente orientamento della Corte di Cassazione (sentenza n. 4867/2024), la Corte d’Appello ha ribadito che il rilievo d’ufficio della nullità è possibile solo “là dove siano acquisiti agli atti del giudizio tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza”. Sollevare la questione per la prima volta in appello senza allegare le prove necessarie si traduce in una richiesta inammissibile, poiché si chiede al giudice di compiere un’indagine fattuale che non gli compete in quella fase del giudizio.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte d’Appello sono lineari e rigorose. L’appello è stato respinto perché la parte appellante non ha soddisfatto l’onere della prova su di essa incombente. Non è stato prodotto in giudizio né lo schema ABI censurato, né alcuna prova che potesse dimostrare l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale tra banche al momento della sottoscrizione della garanzia nel 2011. Il giudice non può basare una declaratoria di nullità su una mera affermazione, per quanto fondata su principi giurisprudenziali noti. La decisione deve poggiare su elementi fattuali concreti e provati, che in questo caso erano totalmente assenti. Di conseguenza, non sussistendo i presupposti di fatto per un rilievo d’ufficio, la Corte ha confermato la validità dell’obbligazione della garante e la sentenza di primo grado.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre una lezione fondamentale: invocare la nullità di una fideiussione schema ABI non è un automatismo. È indispensabile che il garante, sin dal primo grado di giudizio, costruisca una difesa solida, producendo tutti i documenti necessari a dimostrare la corrispondenza del proprio contratto con il modello illecito e l’operatività dell’intesa anticoncorrenziale. Affidarsi alla sola rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, soprattutto in appello, è una strategia processuale rischiosa e, come dimostra questo caso, destinata all’insuccesso.

È sufficiente affermare in appello che una fideiussione è nulla perché conforme allo schema ABI anticoncorrenziale?
No. Secondo la sentenza, non è sufficiente. La parte che solleva la questione deve fornire prove concrete, come la copia del modello ABI censurato e la dimostrazione dell’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale al momento della stipula del contratto.

Il giudice può sempre dichiarare d’ufficio la nullità di una fideiussione basata sullo schema ABI?
No. Il giudice può farlo solo se “agli atti del giudizio sono stati acquisiti tutti gli elementi di fatto dai quali possa desumersene l’esistenza”. Se la parte non fornisce queste prove, il giudice non può operare d’ufficio, specialmente se la questione viene sollevata per la prima volta in appello.

Qual era l’onere della prova a carico della parte appellante in questo caso?
L’appellante aveva l’onere di fornire idonea allegazione e prova dell’intesa illecita, dimostrando che il suo contratto di fideiussione, stipulato nel 2011, riproduceva le clausole illecite e che l’intesa anticoncorrenziale era operante in quel periodo, ben oltre quello coperto dal provvedimento della Banca d’Italia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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