Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2406 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2406 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16808/2021 R.G. proposto da
– ricorrenti –
contro
Cassa RAGIONE_SOCIALE Binasco RAGIONE_SOCIALE e per essa la cessionaria RAGIONE_SOCIALE rappresentata da RAGIONE_SOCIALE.p.A.
– intimata – avverso la sentenza n. 3251/2020 della Corte d’Appello di Milano, depositata il 10.12.2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti -attinti da decreto ingiuntivo in forza di fideiussioni rilasciate in favore della Cassa Rurale ed Artigiana di Binasco RAGIONE_SOCIALE, a garanzia del debito di altra società, dichiarata fallita -proposero opposizione, contestando, sotto vari profili, il debito principale garantito, nonché eccependo l’annullabilità delle fideiussioni per vizio del consenso e la liberazione del fideiusso re ai sensi dell’art. 1956 c.c.
Il Tribunale di Pavia rigettò l’opposizione.
Impugnata dai ricorrenti, la sentenza del Tribunale venne confermata dalla Corte d’Appello di Milano, che ritenne infondato il gravame, anche con riferimento alla prospettata nullità delle fideiussioni per violazione della normativa antitrust .
Contro la sentenza di primo grado i fideiussori hanno proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
L’intimata non ha svolto difese .
Il ricorso è trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: «violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 c.c., in relazione all’ art. 360, n. 3, c.p.c., per errata qualificazione della fattispecie avente ad oggetto la violazione dell’art. 1957 c.c., quale conseguenza della nullità parziale delle fideiussioni, clausole n. 2, n. 6 e n. 8 e, in particolare, dell’art. 6, che esonerava la banca creditrice dall’escussione avverso il debitore, o il fideiussore, o altro coobbligato, alla scadenza dell’obbligazione garantita, entro il termine stabilito dall’art. 1957 c.c., da pronunc iarsi, se del caso,
anche ex officio , sussistendone i presupposti di fatto e di diritto».
Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi che sostiene la sentenza impugnata.
2.1. La Corte territoriale -posta di fronte alla questione, sollevata per la prima volta in appello, della nullità delle fideiussioni, in quanto mutuate dal modello uniforme A.B.I. che Banca d’Italia ha ritenuto frutto di un’intesa anticoncorrenziale -ha innanzitutto osservato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, ciò determina la nullità parziale delle fideiussioni, limitata alle clausole censurate (viene citata in motivazione Cass. nn. 24044/2019, cui sono poi succedute Cass. n. 3556/2020 e Cass. S.U. n. 41994/2021). Tale premessa non viene messa in discussione nel ricorso, in cui si prospetta, appunto, la nullità solo parziale delle fideiussioni.
2.2. Il giudice d’appello ha quindi osservato che, delle tre clausole illegittime, due non avevano alcuna attinenza con i fatti allegati in causa (garanzia per le somme prima incassate dalla banca, ma poi restituite per qualsiasi motivo; vincolo del fideiu ssore anche in caso di accertata invalidità dell’obbligazione principale).
Ma anche con riguardo alla terza clausola censurata dalla Banca d’Italia (patto in deroga alla decadenza del creditore dalla garanzia per non essersi tempestivamente attivato nei confronti del debitore principale) la Corte d’Appello ha osservato che «non … vi sono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1957 c.c., la cui violazione non è stata comunque tempestivamente eccepita».
2.3. Nonostante il motivo di ricorso per cassazione prospetti la «violazione e falsa applicazione dell’art. 1957 c.c.», non si pone in realtà, nel caso di specie, alcuna questione inerente all’interpretazione o all’applicazione di tale disposizione del codice.
E neppure si pone, a ben vedere, la questione della rilevabilità d’ufficio, per la prima volta in appello, della nullità parziale della fideiussione.
Quella di cui si è rilevata la mancanza è l’allegazione del fatto che la banca non si fosse attivata nei confronti della debitrice principale entro i sei mesi dalla scadenza della obbligazione principale. Circostanza di fatto che, invece, avrebbe dovuto essere allegata in primo grado, entro il termine di maturazione delle preclusioni assertorie. In questo senso la Corte d’Appello ha rilevato che la violazione dell’art. 1957 c.c. «non è stata comunque nemmeno tempestivamente eccepita».
E i ricorrenti lo confermano, laddove precisano di avere «dedotto» solo nella comparsa conclusionale d’appello «che la nullità dell’art. 6 delle fideiussioni in causa aveva come immediata conseguenza concreta l’applicazione dell’art. 1957 c.c. in sostituzione della clausola nulla» e che, «nel caso di specie, ne conseguiva la decadenza del creditore dal diritto di chiedere il pagamento al fideiussore» (pag. 18 del ricorso per cassazione).
2.4. Dalla nullità della clausola di deroga non discendono l’invalidità o l’inefficacia della fideiussione, ma semplicemente l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. L’applicazione in concreto di tale disposizione presuppone, però, in fatto, l’allegazione dell a mancata o tardiva attivazione del creditore nei confronti del
debitore principale, allegazione che in questo caso non era stata fatta in primo grado e nemmeno venne fatta in grado d’appello, se non, per la prima volta, nella comparsa conclusionale.
2.5. Il primo motivo di ricorso, incentrato sul rilievo che la nullità della clausola della fideiussione «emerge dagli atti di causa», non incide dunque sulla ratio decidendi , che è invece focalizzata sulla mancata tempestiva allegazione del fatto concreto corrispondente all’astratta previsione normativa, pur ripristinata nel contenuto del contratto (art. 1374 c.c.) per l’accertata nullità della clausola derogatoria.
Con il secondo motivo di ricorso si censura «violazione e falsa applicazione dell’art. 55, comma 2, in combinato disposto con l’art. 169 r.d. 267/1942, in relazione all’ art. 360, n. 3, c.p.c., nell’avere errato nel determinare il momento di decorrenza del termine semestrale di decadenza stabilito dall’art. 1957 c.c. dalla data di fallimento della debitrice principale (15.1.2014) e non dalla data di presentazione del concordato preventivo iscritto il 17.6.2013».
La Corte milanese ha evidenziato che, dagli atti di causa, risultava che la banca si era insinuata al passivo della debitrice principale entro sei mesi dalla dichiarazione di fallimento che determina la scadenza dell’obbligazione (art. 55, comma 2, legge fall.), sicché la decadenza ex art. 1957 c.c. non si sarebbe comunque verificata. I ricorrenti affermano che, prima della dichiarazione di fallimento, la debitrice principale aveva chiesto l’ammissione al concordato preventivo e rilevano che anche tale domanda determina la scadenza delle obbligazioni pecuniarie, in virtù del rinvio all’art. 55 operato dall’art 169, comma 1, legge fall.
Sennonché anche questo motivo -a prescindere da qualsiasi considerazione sulla sua fondatezza -è inammissibile, perché è volto a censurare un’autonoma ratio decidendi che la Corte d’Appello ha esplicitamente aggiunto soltanto « ad abundantiam », dopo la già sufficiente constatazione della mancata tempestiva allegazione del presupposto di fatto per l’applicazione dell’art. 1957 c.c.
Dichiarato inammissibile il ricorso, non occorre provvedere sulle spese legali del presente giudizio di legittimità, in mancanza di difese della parte intimata.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima