Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11060 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11060 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME E COGNOME NOME , rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e Prof. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa quale mandataria RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ Avv. NOME COGNOME del foro di Verona
-controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia n. 1952/2020, pubblicata il 28.7.2020, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.4.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Oggetto:
conto
corrente. Fideiussione
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione del 25.10.2011 COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio, avanti il tribunale di Verona, RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE quale procuratore di Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a. proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 3308/11 ottenuto dalla convenuta per il pagamento della somma di € 178.691,76 quale residuo saldo debitore del conto corrente n. 160163001-08, acceso in data 7/8/96 ed intestato a RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE (poi cancellata dal Registro delle Imprese) presso Banca Commerciale di Verona Ag.2 (ora Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a.) di cui COGNOME NOME e COGNOME NOME si erano costituiti fideiussori con atto del 23.1.2001 per £ 60.000.000. A fondamento dell’opposizione sostenevano di non aver mai prestato il consenso alla estensione della fideiussione fino a £ 400.000.000 e di aver versato delle somme personali nonché affermavano la nullità di determinate clausole con conseguente incidenza sull’ammontare della esposizione.
─ Il tribunale di Verona revocava il d.i. opposto.
3 .─ RAGIONE_SOCIALE proponeva gravame e COGNOME NOME e COGNOME NOME proponevano appello incidentale dinanzi alla Corte di appello di Venezia che, con la sentenza qui impugnata, rigettava l’appello incidentale e accoglieva parzialmente l’appello principale e per l’effe tto condannava gli appellati al pagamento della somma di € 33.838,81 a favore di RAGIONE_SOCIALE
─ Per quanto qui di interesse la Corte di merito precisava quanto segue:
La somma di € 11.000,00 è stata effettivamente già contabilizzata in detrazione del debito, come emerge dagli estratti conto e dalla consulenza tecnica. Gli stessi fideiussori riconoscono
l’errore riportato in sentenza, pur ritenendolo irrilevante per aver pagato somme ben maggiori ossia: i ) € 38.700 in data 29.1.2003; ii) € 11.500 in data 21.10.2004; iii ) € 56.420,88 per riscossione polizze INA in data 26.9.2013; su detto importo va rilevato che la missiva dell’assicurazione non contiene gli importi che la banca avrebbe riscosso, ma risulta provato che la liquidazione delle somme dovute sia avvenuta in data 19-22.3.2004 secondo l’apposito prospetto esibito dai garanti;
ne consegue che dal saldo a debito di € 65.535,32 deve essere detratta la somma di € 31.696,51 e non di € 67.450,88 ;
c) ai fini dell’applicazione dell’art. 7 della delibera CICR 9.2.2000 è preliminare definire il criterio per la valutazione del carattere peggiorativo delle condizioni praticate in precedenza con le nuove praticate al fine di stabilire se è sufficiente una modifica unilaterale debitamente comunicata oppur no;
la mancanza di specifica approvazione delle clausole anatocistiche dopo l’entrata in vigore della delibera CICR, comporta l’esclusione della legittimità della capitalizzazione successiva a quel momento;
poichè il saldo iniziale del rapporto presenta poste illegittime e la banca non ha fornito elementi certi da cui desumere il fondamento del saldo iniziale a debito deve essere applicato il c.d. saldo zero;
l’appello incidentale non è fondato poiché le condizioni contrattuali prevedono la percentuale di CMS e l’ammontare delle spese;
l’estinzione della società RAGIONE_SOCIALE non ha prodotto l’azzeramento del rapporto di debito in essere con la Banca;
h ) la norma dell’art. 2948, n. 4, c.c. non si applica nel caso di conto corrente nel quale gli interessi vengono annotati a debito ma il relativo pagamento avviene alla chiusura del conto ed è da tale momento che inizia a decorrere l’ordinaria prescrizione decennale; ) l’art. 9 del contratto bancario non è applicabile al caso di specie
i perché il conto non era attivo;
l ) il contratto contiene una deroga all’art. 1957 c.c. e quindi le fideiussioni sono valide ed efficaci.
─ COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno presentato ricorso per cassazione con sette motivi ed anche memoria.
RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di Intesa San Paolo s.p.a., a sua volta incorporante la Cassa di Risparmio del Veneto s.p.a. anch’essa succeduta nei rapporti oggetto del giudizio, ha presentato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti deducono:
5. ─ Con il primo motivo: Violazione de ll’art . 356, 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art.360, comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. I garanti non erano più soci e non potevano conoscere l’esposizione debitoria della società. Gli estratti conto non riportavano alcune rimesse e l’eccezione di inadempimento può essere sollevata anche in appello ed è rilevabile d’ufficio. La Corte non ha rimesso la causa in istruttoria per il contraddittorio sui documenti allegati alla memoria conclusionale e non ha tenuto conto di un pagamento provvedendo a decurtarlo.
5.1La censura è inammissibile per diversi motivi. Ed, infatti, da un lato non è autosufficiente poichè si limita a mere enunciazioni sui documenti non valutati non indicando il loro analitico contenuto o trascrivendo lo stesso ed, inoltre, non riporta il contenuto della sentenza censurato sul punto. Perché il principio di autosufficienza, con la «specifica indicazione» richiesta dall’articolo 366, n. 6, c.p.c., possa dirsi osservato, occorre, secondo la giurisprudenza di questa Corte che sul piano contenutistico, che il ricorso per cassazione esponga tutto quanto necessario a porre il giudice di legittimità in condizione di avere completa cognizione della controversia e del suo oggetto, nonché di cogliere il significato e la portata delle censure contrapposte alle argomentazioni della
sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti edotti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass., n. 31082/2017; Cass., n. 1926/2015; Cass., n. 7825/2006; da ult. tra le tante Cass., n. 12191/2020; Cass., n. 10143/2020; Cass., n. 12481/2022), sicché il ricorrente per cassazione deve esplicitare quale sia, per la parte rilevante, il contenuto degli atti o dei documenti che pone a fondamento del ricorso, riassumendoli o trascrivendoli a seconda di quanto di volta in volta occorra.
Da altro lato, occorre rammentare che in tema di ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., n. 28541/2024; Cass., n. 3397/2024; Cass., n. 11222/2018; Cass., n. 2954/2018). Una tale impostazione, che assegna al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse, è inammissibile, perché sovverte i ruoli dei diversi soggetti del processo, e rende il contraddittorio aperto a conclusioni imprevedibili, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria. Nel caso di specie si versa in ipotesi di motivo composito, nel quale è incomprensibile delimitare l’area concernente ciascuna censura, con conseguente inammissibilità delle medesime.
-Con il secondo motivo: Violazione dell’art. 112, 115 e 183 c.p.c. e art. 1346, 1325 e 1418 c.c. e artt. 2 bis, comma 1, d.l. n. 185/2008 conv., in l. n. 2/2009 in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c. Nullità della CMS per tardività dell’allegazione dei relativi documenti probatori, avvenuta soltanto durante l’espletamento della CTU, e per indeterminatezza dell’indicazione del tasso concordato.
6.1 ─ La censura è infondata nella parte in cui sostiene che la produzione del foglio delle condizioni non è stato prodotto, poiché la Corte di Appello ha esplicitamente affermato che tale documento era allegato al contratto di conto corrente, esibito sin dal procedimento monitorio.
Per altro verso contesta che l’indicazione della percentuale del costo della CMS con l’uso della dizione non superiore allo 0,75% sia nulla per l’indeterminatezza del suo contenuto. La censura è generica poiché, premesso che questa Corte ha recentemente ribadito che la commissione di massimo scoperto (c.m.s.) non è nulla per indeterminatezza qualora, nonostante le parti non abbiano esplicitamente individuato gli elementi relativi alle modalità di calcolo, questi siano ricavabili dalla regolamentazione complessiva del rapporto in ossequio al principio di interpretazione secondo buona fede (art 1366 c.c.), ed in applicazione di quello per cui deve essere dato alla clausola il senso in cui può avere un effetto (art. 1367) (Cass., n. 1373/2024), sicché la c.m.s. può ritenersi nulla solo nel caso di indeterminatezza «effettiva e radicale», non riscontrabile ove i canoni ermeneutici consentano all’interprete di individuare la complessiva regolamentazione della stessa (Cass., n. 19825/2022), va evidenziato che la censura e le sue allegazioni non consentono in alcun modo una valutazione complessiva e che, in ogni caso la CTU ha ricostruito gli importi addebitati dando atto che dalla documentazione acquisita emerge
la pattuizione della clausola, la misura in percentuale e la base di calcolo.
─ Con il terzo motivo: Violazione degli artt. 1833, comma 3, 2312, 2495 c.c. in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c. La società h a cessato l’attività ed è stata cancellata e , quindi, il contratto di conto corrente si è risolto l’11.3.2003 e il debito dei garanti va quantificato a tale data.
7.1. -La censura si fonda su affermazioni incompatibili con quanto più volte statuito da questa Corte che ha costantemente ritenuto che dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate , fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali (Cass. Sez. U., n. 6070/2013; Cass., n. 11411/2024; Cass., n. 23341/2024).
-Con il quarto motivo: Violazione dell’art. 2948 c.c. in relazione all’art.360, comma 1, nn. 3, c.p.c.
– Con il quinto motivo: Violazione dell’art. 132 c.p.c. e degli artt. 1362, 1363, 1364,1369, 1370 e 1371 e 1418 c.c. in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c.
9.1. -Il quarto e il quinto motivo sono correlati e possono essere trattati unitariamente.
Anche queste censure sono infondate. Questa Corte ha statuito che in tema di diritti e azioni del creditore garantito nei confronti del fideiussore, si applica il termine di prescrizione decennale, previsto dall’art. 2946 c.c. La prescrizione quinquennale, prevista dall’art 2948, n. 4 c.c., opera con riguardo ai debiti che devono essere soddisfatti periodicamente ad anno, od in termini più brevi, e, pertanto, non è applicabile nei confronti di rapporti obbligatori per i quali le parti abbiano previsto l’indicata periodicità con esclusivo riferimento alla presentazione di rendiconti, non anche al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi (anche se con riferimento alla fattispecie di mutuo Cass., n. 18951/2013).
10. -Con il sesto motivo: Violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e dell’art. 1957 c.c. e art. 2 l. n. 287/1990 in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c. omessa pronuncia sulla eccezione di nullità della fideiussione.
10.1 -La censura è inammissibile.
Sul tema la Corte di cassazione ha osservato: « Passando alla questione della rilevazione officiosa della nullità parziale del contratto ‘a valle’ dell’intesa anticoncorrenziale, nullità che, nell’ottica della pronuncia delle Sezioni Unite, si produce di default , è agevole osservare che essa rilevazione richiede che risultino dagli atti tutte le circostanze fattuali necessarie alla sua integrazione, e cioè: i) l’esistenza del provvedimento della Banca d’Italia; ii) la natura della fideiussione, giacché il provvedimento della Banca d’Italia è riferito solo ed esclusivamente alle fideiussioni omnibus , non a quelle prestate per un affare particolare, fideiussioni omnibus le quali vengono specificamente prese in considerazione per la loro attitudine, evidenziata dall’Associazione Bancaria Italiana, quale strumento di tutela macroprudenziale del sistema bancario, sicché l’accertamento effettuato dall’allora Autorità Garante è stato
limitato a tale tipologia di fideiussione, e solo rispetto ad essa può possedere l’efficacia probatoria privilegiata che l’ordinamento gli riconosce; iii) l’epoca di stipulazione della fideiussione, che deve essere stata stipulata entro l’ambito temporale al quale può essere riferito l’accertamento della Banca d’Italia, evidente essendo che detto accertamento, operato nel 2005, non può affatto consentire di reputare esistente, e cioè persistente, in epoca successiva il pregresso accordo anticoncorrenziale, di guisa che, in caso di compresenza delle tre clausole successivamente al 2005, l’interessato ben può dedurre e comprovare che l’intesa anticoncorrenziale c’è, ma non certo in base al provvedimento precedente, bensì offrendone altra e specifica prova; iv) il contenuto delle clausole contrattuali di cui si invoca la nullità e la loro esatta corrispondenza con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel provvedimento in precedenza richiamato, esatta corrispondenza da riguardare, beninteso, in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza; v) la concreta ricaduta della nullità delle clausole contrattuali sulla sussistenza, in tutto o in parte, del debito gravante sul fideiussore, sempre che tale ricaduta possa ancora essere invocata, il che impone di rammentare, quanto alla rinuncia ai termini di cui all’articolo 1957 c.c., che, come questa Corte ha ribadito numerosissime volte, l’eccezione di estinzione della garanzia fideiussoria ha natura di eccezione propria e non di mera difesa (a mero titolo di esempio Cass. n. 8023/2024), di guisa che il rilievo officioso della nullità della clausola non interferisce con la eventualmente ormai consumata preclusione dell’eccezione fondata sulla stessa » (Cass. n. 30383/2024).
Pertanto, va precisato che, nonostante tale nullità, non rilevata in primo grado, sia suscettibile di tale rilievo in grado di appello o in cassazione, la rilevabilità è, però, inderogabilmente condizionata alla circostanza che i relativi fatti costitutivi siano stati ritualmente
allegati (tra le tante Cass., n. 20713/23). L’esame degli atti consentito in base a tale giurisprudenza è esclusivamente quello necessario al fine di verificare la sussistenza dell’errore processuale denunciato e, pertanto, la censura è prospettabile soltanto se non richieda accertamenti fattuali preclusi nel giudizio di legittimità. Nella censura non si riporta il contenuto delle clausole del contratto originario, né lo schema ABI, e non è possibile riscontrare in alcun modo l’effettivo contenuto contrattuale per verificare l’assunto del ricorrente.
Né la parte può dolersi della mancata rilevazione d’ufficio in sede di appello poiché non allega alcunché sulla avvenuta documentazione relativa al contenuto della clausola contestata né sull’avvenuta esibizione del provvedimento Abi nell’ambito dei medesimi giudizi. In violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c. non risulta assolto l’onere di specifica indicazione della tempestiva allegazione delle circostanze di fatto relative alla nullità.
I ricorrenti, inoltre, fraintendono il senso della giurisprudenza di questa Corte circa i suoi poteri di esame diretto degli atti di causa allorché venga denunciato un error in procedendo , giacché anche in tal caso occorre rispettare il principio di autosufficienza (cfr., per tutte, Sez. Un., n. 8077/2012).
– Con il settimo motivo: Violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art.360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte avrebbe duplicato un pagamento parziale con una valutazione delle prove documentali errata.
11.1. -La censura è inammissibile perché non autosufficiente e si traduce in una richiesta di rivalutazione degli esiti istruttori non consentita in sede di legittimità.
-Per quanto esposto, il ricorso va rigettato con condanna dei ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 5.000 per compensi e € 200 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima