Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15150 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15150 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14332/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 193/2020 depositata il 23/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME, fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso per cassazione in sei motivi, contro la sentenza della corte d’appello di Venezia in data 23-1-2020, che ne ha respinto l’impugnazione nei confronti della sentenza (del tribunale di Padova) di rigetto (a sua volta) di un’opposizione a decreto ingiuntivo per saldi passivi di conto corrente.
RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti della banca Monte dei Paschi di Siena, già RAGIONE_SOCIALE, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e dei fideiussori, ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria.
Ragioni della decisione
I. – Per quanto ancora interessa, risulta dalla sentenza (i) che il tribunale aveva giudicato sulla scorta d ell’avvenuta presentazione, da parte della debitrice principale, di un piano di ristrutturazione ex art. 182-bis legge fall., nel quale il credito della banca era stato riconosciuto per oltre 11.000.000,00 EUR e (ii) che la c.t.u., eseguita in primo grado, aveva depurato i rapporti dagli interessi passivi e dalle competenze e
oneri addebitati, accertando infine un residuo a credito della banca di 11.549.902,04 EUR, pari al doppio delle somme richieste in monitorio.
Premesso che la COGNOME aveva impugnato la sentenza di primo grado dolendosi della ritenuta esistenza e consistenza dei crediti azionati pur in difetto di prove intrinseche al giudizio, attesa la mancanza di valore probatorio delle risultanze del procedimento concorsuale e delle ammissioni da esso desumibili, e che la stessa aveva in comparsa conclusionale introdotto la questione della nullità delle fideiussioni in quanto riproducenti lo schema contrattuale dell’A .b.i. dell’11 -7-2003, espressione di intese restrittive della concorrenza; ciò premesso, la corte d’appello ha respinto ogni prospettazione per le sintetiche ragioni che seguono:
perché le fideiussioni erano state sottoscritte nel 1997, in epoca anter iore al rilascio del modello dell’A .b.i.;
perché non era stato provato né allegato che in epoca anteriore esistesse un’intesa restrittiva della concorrenza analoga a quella concretizzata dalla predisposizione (nel 2002) del modulo suddetto;
perché infine non sussisteva riscontro circa i parametri di riferimento, e cioè che i testi dei contratti fossero stati in effetti predisposti in termini identici da tutte le banche operanti in Italia o comunque dalla maggior parte di esse;
perché in ogni caso non erano stati prodotti né il provvedimento della B anca d’Italia teso a considerare illegittimo lo schema contrattuale in relazione all’art. 2, secondo comma, lett. a), della l. n. 287 del 1990, né il modello dell’A .b.i. con cui confrontare i contratti in esame per stabilirne l’esatta coincidenza ;
perché infine era da considerare errata la tesi dell’appellante secondo la quale la sola presenza nel corpo del testo delle fideiussioni di clausole sovrapponibili a quelle ritenute abusive fosse tale da compo rtare a nullità dell’intero contratto , anziché delle singole clausole trasfuse.
Quanto ai motivi d’appello, esclusa la nullità dei contratti, la corte territoriale ha confermato la decisione di primo grado in ragione delle evidenze contabili degli estratti non contestati e delle prove documentali ulteriori, ivi compreso il piano di ristrutturazione presentato dalla debitrice principale.
II. – La ricorrente prioritariamente chiede che sia sollevata una questione di costituzionalità dell’ art. 50 del d.lgs. n. 385 del 1993 (cd. T.u.b.), che illegittimamente avrebbe (a suo dire) introdotto una fattispecie speciale di prova scritta ex art. 633 cod. proc. civ.
La questione è inammissibile per difetto di rilevanza, non avendo l’impugnata sentenza deciso la causa in base a lla norma evocata.
III. – I motivi di ricorso sono i seguenti:
(i) violazione o falsa applicazione degli artt. 2, 14, 20 e 33 della l. n. 287 del 1990, 41 cost. 101 del TFUE: si censura la sentenza perché le banche avrebbero in generale utilizzato il medesimo “schema tipo” contrattuale già all’indomani della pubblicazione della legge cd. antitrust; il fatto che la Banca d’Italia solo nel 2005 abbia emesso un “provvedimento di censura” nei confronti di tale generalizzato utilizzo di non ne renderebbe legittimo il pregresso, essendo comunque la prassi da considerare come ‘sbocco dell’intesa vietata’ ; quindi, ogni qual volta il contratto di fideiussione costituisca applicazione del suddetto schema dell’A .b.i., esso, ancorché anteriore al 2-5-2005, sarebbe da considerare nullo;
(ii) violazione o falsa applicazione degli artt. 2, 14, 20 e 33 della l. n. 287 del 1990, 1956 e 1957 cod. civ., perché l’esame della fideiussione avrebbe dovuto essere condotto anche in relazione alla effettiva prevista derogabilità dell’art. 1957 cod. civ.: la corte veneta avrebbe da questo punto di vista omesso di esaminare la nullità delle fideiussioni in ordine alla deroga all’art. 1957 (norma di carattere imperativo), che aveva consentito alla banca di agire nonostante la decadenza semestrale, essendo stata fatta la prima richiesta di rientro
a febbraio 2008 e depositato il ricorso per ingiunzione contro la RAGIONE_SOCIALE ad aprile 2010;
(iii) v iolazione dell’art. 1322 cod. civ., in quanto sarebbe stata comunque omessa ogni indagine in ordine alla meritevolezza degli interessi sottesi a fideiussioni in deroga alle citate norme codicistiche;
(iv) violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., essendo stata ritenuta la prova dell’esistenza del credito della banca sulla scorta di elementi in realtà inconferenti, e in base agli esiti raggiunti con l’espletamento di una c.t.u. viziata tanto nei presupposti quanto nelle conclusioni: nella tesi della ricorrente, la banca aveva ‘depositato esclusivamente la documentazione, peraltro incompleta, relativa ai contratti di conto corrente’, non invece quella relativa ‘ ai contratti ‘ e ‘alle annotazioni apposte nei predetti conti ‘ quanto alla genesi degli addebiti, quasi esclusivamente correlati all’estinzione di prestiti d’uso dell’oro ;
(v) violazione o falsa applicazione degli artt. 182-bis legge fall. e 1988 cod. civ., perché nessuna rilevanza probatoria poteva attribuirsi ‘alle risultanze del fallimento’ , visto che secondo la giurisprudenza il piano di rientro, quale in senso lato è anche l’accordo di ristrutturazione, con contestuale riconoscimento del saldo debitore indicato dalla banca, non preclude al correntista il diritto di eccepire le invalidità del rapporto sottostante e gli illeciti addebiti pregressi; invero l’art. 1988 cod. civ. attribuisce alla promessa di pagamento e alla ricognizione di debito solo l’effetto di invertire l’onere della prova circa l’esistenza di una legittima causa petendi e consente, dunque, alla parte che ha effettuato tali dichiarazioni, di provare che il rapporto posto a fondamento del negozio non è sorto o è invalido;
(vi) v iolazione dell’art. 2697 cod. civ. e omesso esame di fatto decisivo costituito dall’allegazione pe cui la c.t.u. nell’effettuazione del calcolo del capitale utilizzato dalla società obbligata principale aveva omesso di considerare, e quindi di scomputare, la somma di 1.600.000,00 EUR versata dalla ulteriore RAGIONE_SOCIALE: la
corte d’appello, nel dire irrilevante tale circostanza in base al computo ampiamente superiore del credito della banca nonostante la detta detrazione, avrebbe fatto proprio il concetto errato della sentenza di primo grado e dell’afferente c.t.u., in forza del quale l’esistenza di un credito della banca largamente superiore a quello richiesto in via monitoria sarebbe condizione sufficiente al rigetto dell’opposizione; quando invece vi era stata la determinazione ‘de l cd. capitale puro ‘ a credito della predetta banca a mezzo di una consulenza palesemente inattendibile, in quanto basata su criteri errati siccome prescindenti dall’esame di tut ti i rapporti incidenti sull’andamento del saldo .
IV. – I primi due motivi -tra loro connessi – sono inammissibili.
I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle clausole contrastanti con gli artt. 2, secondo comma, della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, terzo comma, della legge citata e dell’art. 1419 cod. civ.
Lo sono in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti (Cass. Sez. U n. 41994-21).
In linea generale è vero che la nullità parziale potrebbe esser correlata all’esistenza di una pattuizione di clausole di deroga all’art. 1957 cod. civ. riproduttive di quelle dello schema ABI del 2003.
Tuttavia in questa eventualità la nullità delle clausole del contratto di fideiussione contrastanti con le citate norme si estenderebbe all’intero contratto solo nel caso di interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla.
Questa Corte ha già affermato che è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità, essendo onere della parte che ha interesse alla totale caducazione provare tale interdipendenza (Cass. Sez. 3 n. 6685-24).
V. – Ciò stante, il punto essenziale è che, nell’uno come nell’altro senso, e cioè della nullità parziale e dell’ipote tica estensione, l ‘impugnata sentenza ha rilevato che non erano stati prodotti dall’impugnante né il provvedimento della Banca d’Italia teso a considerare illegittimo lo schema contrattuale in relazione all’art. 2, secondo comma, lett. a), della l. n. 287 del 1990, né il modello dell’A .b.i. con cui confrontare i contratti in esame per stabilirne l’esatta coincidenza. Sicché in definitiva era rimasta assertiva l’affermazione di esatta coincidenza, anche considerando che la fideiussione era stata stipulata anni prima dell’intesa vietata.
Tale motivazione non è adeguatamente avversata e da sola è sufficiente a giustificare la decisione di rigetto della questione d’invalidità contrattuale .
VI. – Il terzo motivo è inammissibile.
La sentenza non ha affrontato , sotto il profilo dell’art. 1322 cod. civ., la questione della meritevolezza degli interessi sottesi a fideiussioni in deroga alle previsioni codicistiche, e dal ricorso non risulta se quando e come essa sia stata sollevata in appello.
VII. – I restanti motivi, tra loro connessi, sono egualmente inammissibili.
La critica complessivamente svolta dalla ricorrente è che la corte d’appello abbia applicato le norme di riferimento (e in particolare l’art. 2697 cod. civ., per il tramite degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.) sostanzialmente invertendo la regola di ripartizione dell’ onere della prova, tanto in ordine all’entità del credito, quanto in ordine alla illecita capitalizzazione di interessi e spese. N ell’incompletezza degli estratti dei conti, ciò sarebbe stato fatto mediante indebita valorizzazione di risultanze di un diverso procedimento (quello concorsuale) e previa adesione a una c.t.u. errata nel metodo.
Sennonché è decisivo considerare che la causa non è stata decisa sulla base del criterio di riparto di cui all’art. 2697 cod. civ. , ma in base alla condivisione delle risultanze e delle conclusioni della c.t.u., valutate
alla luce della documentazione acquisita e confermate per mancanza di specifiche e motivate critiche.
In particolare, la corte d’appello ha condiviso quanto già osservato dal tribunale, e cioè che la c.t.u. aveva riconosciuto un debito per l’ammontare ‘del capitale puro dovuto dalla correntista (..) avvalendosi degli estratti conto prodotti dalla banca’, ammontare se mplicemente riscontrato dalle risultanze del procedimento concorsuale nel quale la società si era riconosciuta debitrice di quanto emergente dai saldi passivi.
In questa prospettiva la sentenza ha sottolineato esser dirimente il fatto che l’incompletezza degli estratti conto non aveva assunto un concreto rilievo, perché alle date considerate negli estratti disponibili il saldo era risultato positivo per la società correntista in relazione a tutti i conti; e in quel momento, per ammissione della stessa impugnante, ‘ non erano stati ancora eseguiti dalla banca i rilevanti addebiti negativi che si assume sarebbero stati la causa dell’ingente passivo maturatosi a carico della RAGIONE_SOCIALE ‘.
L’affermazione costituisce ragione logica giustificativa della conclusione sostenuta, in vista della ricostruzione del saldo passivo in base agli estratti conseguenti e alla documentazione ulteriormente vagliata dal c.t.u.
Come tale, integra una valutazione di pieno merito, della quale la ricorrente pretende una inammissibile revisione critica.
VIII. – In conclusione, il ricorso è inammissibile come conseguenza dell’inammissibilità di tutti i motivi.
Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali che liquida in 20.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione