Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14706 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 14706 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12784/2023 R.G. proposto da :
COGNOME COGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in TREVISO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2577/2022 depositata il 01/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 2 settembre 2015, NOME COGNOME ed NOME COGNOME proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, emesso dal Tribunale di Treviso in data 18 maggio 2015, nei loro confronti, in qualità di garanti, per il pagamento in favore di Veneto Banca S.p.A. della somma di euro 87.220, quale saldo addebito del conto corrente intestato alla debitrice principale, RAGIONE_SOCIALE
A sostegno dell’opposizione eccepivano l’incompetenza territoriale del Tribunale di Treviso, disconoscevano la conformità all’originale dei documenti prodotti in copia dalla banca, lamentavano l’incompletezza della documentazione prodotta dal creditore, la mancanza di forma scritta, la nullità delle commissioni applicate e della capitalizzazione trimestrale degli interessi, la illecita applicazione dei giorni di valuta e la nullità delle garanzie fideiussorie.
Si costituiva l’istituto di credito contestando le eccezioni in rito e le domande di merito.
Il giudizio veniva dichiarato interrotto a seguito della ammissione di Veneto Banca alla procedura di liquidazione coatta amministrativa e, in sede di riassunzione, l’istituto di credito deduceva di non essere
titolare della pretesa per aver ceduto il credito a RAGIONE_SOCIALE Quest’ultima interveniva nel giudizio aderendo alle difese della cedente.
Il Tribunale di Treviso, con sentenza del 22 maggio 2019 dichiarava la estromissione di Veneto Banca S.p.A., in liquidazione coatta amministrativa e rigettava l’opposizione, provvedendo sulle spese.
Avverso tale sentenza proponevano appello NOME COGNOME ed NOME COGNOME sulla base di sette motivi. Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE per il tramite della procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La Corte d’appello con ordinanza del 6 luglio 2021 disponeva consulenza contabile. Con comparsa di intervento del 16 settembre 2021 si costituiva RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE tramite la procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE.p.ARAGIONE_SOCIALE deducendo di essere la nuova cessionaria del credito.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 1° dicembre 2022, rigettava l’impugnazione condannando gli appellanti al pagamento delle spese di lite.
Contro tale decisione propongono ricorso per cassazione NOME COGNOME ed NOME COGNOME affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE tramite la nuova procuratrice speciale RAGIONE_SOCIALE
Le parti depositano memoria ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti denunziano , ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 120 TUB e degli articoli 1283 e 1284 c.c. e dell’articolo 6 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 in merito all’illegittimo anatocismo, omessa effettiva pattuizione, in violazione della legge, della capitalizza con pari periodicità degli interessi attivi in favore del correntista.
In particolare, secondo l’assunto della banca il tasso annuo nominale (TAN) e il tasso annuo effettivo (TAE) risulterebbero identici e questo lascerebbe intendere l’esistenza di una capitalizzazione degli interessi soltanto a debito del correntista e non a credito, con ciò violando il regime di reciprocità prescritto dal citato articolo 120TUB. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo, perché i ricorrenti lamentano la erronea valutazione, da parte del giudice di merito, della validità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi contenuta nel contratto di conto corrente, ma non provvedono alla riproduzione del relativo testo, omettendo di indicare il numero del rapporto di conto corrente e ciò in violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. (Cassazione, 19 gennaio 2023 n. 1677).
Parte ricorrente avrebbe dovuto indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte rinvenire il documento in questione, evidenziandone il contenuto, trascrivendolo o riportando i passaggi essenziali al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza procedere all’esame dei fascicoli di ufficio.
Il motivo è altresì inammissibile perché non i ricorrenti non si confrontano con l’argomentazione posta a sostegno della sentenza impugnata.
La corte di merito ha, al paragrafo 3.8, evidenziato che dalle risultanze processuali è emersa l’esistenza di una pari periodicità, attiva e passiva e tale profilo costituisce l’unico elemento rilevante al fine della periodicità tra i distinti tassi ‘mentre non risulta codificato alcun obbligo di contenere i tassi debitori entro certi limiti, rispetto al tasso creditore, sicché è irrilevante la circostanza che in concreto il conto non sia mai stato attivo’.
Sotto tale profilo la decisione della corte territoriale è in linea con il recente orientamento di legittimità secondo cui il requisito della reciprocità, quale presupposto per la liceità della capitalizzazione
trimestrale degli interessi, non viene meno ove il tasso pattuito per i saldi periodici debitori sia diverso da quello previsto per quelli creditori, perché l’effetto dell’anatocismo in favore del cliente non si annulla a causa della minor rilevanza del tasso percentuale e l’asimmetria dipende dall’incremento dell’indebitamento (Cass, 24 aprile 2024, n. 11014).
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano , ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 2, secondo comma della legge n. 287 del 1990, c.d. legge antitrust e la nullità o inefficacia delle fideiussioni azionate dalla banca. In particolare, la Corte non avrebbe fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità in materia, ritenendo erroneamente che gli appellanti non avrebbero ‘a llegato e provato che in assenza delle clausole frutto di intesa anticoncorrenziale il contratto di fideiussione non sarebbe stato concluso’. Al contrario secondo la Corte di cassazione al giudice di merito compete esclusivamente di valutare se le disposizioni contrattuali coincidano con quelle oggetto della intesa restrittiva, mentre sarebbe irrilevante il profilo evidenziato dalla Corte territoriale.
Il motivo è inammissibile per violazione l’articolo 366, n. 6 c.p.c. perché i ricorrenti, prospettando una questione relativa alla validità della clausola contrattuale avrebbero dovuto trascrivere, quantomeno, negli elementi essenziali, le clausole del contratto di fideiussione al fine di evidenziarne la totale sovrapponibilità a quelle oggetto della intesa restrittiva.
Sotto altro profilo i ricorrenti non si confrontano con la motivazione della Corte territoriale, la quale ha precisato che l’eventuale accertamento della illecita di alcune specifiche clausole dello schema ABI non determina automaticamente la nullità dell’intero contratto, trovando applicazione l’articolo 1419 c.c. che impone di verificare se, in concreto, il negozio non sarebbe stato concluso senza quella parte del contenuto negoziale colpita dalla nullità. Riguardo a tale specifico
profilo la Corte territoriale ha evidenziato che ‘le fideiussioni sottoscritte dagli odierni appellanti, contengono clausole ritenute illegittime dall’autorità garante’, aggiungendo che ‘non hanno chiarito perché la nullità delle tre clausole dovrebbe travolgere l’intera fideiussione e non hanno allegato e provato che in assenza delle clausole, frutto di intesa anticoncorrenziale, il contratto di fideiussione non sarebbe stato concluso’ e ciò sulla base dell’insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. n. 41994, del 30 dicembre 2021).
L ‘onere della prova grava, ai sensi dell’articolo 2967 c.c., sul contraente, sia con riferimento alla sussistenza di clausole che costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI dichiarato nullo dalla Banca d’Italia nel provvedimento n . 55 del 2005, sia riguardo alla estensione degli effetti all’intero contratto.
Pertanto, come correttamente evidenziato dalla corte territoriale l’onere probatorio coinvolge anche l’ulteriore elemento della concreta applicazione delle clausole (‘gli appellanti non hanno neppure precisato se le clausole che riproducono quelle predisposte dall’ABI ed oggetto del provvedimento dell’a utorità garante abbiano trovato effettiva applicazione’).
Tale aspetto, che riguarda la rilevanza delle clausole e le conseguenze effettive che determinerebbe l’accertamento incidentale della nullità delle stesse, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, è rimasto privo di supporto probatorio.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano , ai sensi dell’articolo 360, n. 3 c.p.c., la violazione di articoli 1936 e seguenti e 1370 c.c. La censura riguarderebbe il profilo dell’interpretazione contrattuale con riferimento all’affermazione della Corte secondo cui le fideiussioni azionate dalla b anca ‘sarebbero contratti autonomi di garanzia e, conseguentemente, sarebbero sottratte alle censure’ degli odierni ricorrenti in merito allo svolgimento del rapporto di conto corrente. Il motivo è infondato.
In tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. Sez. 3, n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161 – 01).
Il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mentre la seconda concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche – può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cas. Sez. 1 -, Ordinanza n. 29111 del 05/12/2017, Rv. 646340 – 01).
Poiché il sindacato di legittimità va limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è
tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata.
Sotto tale profilo non ricorre il vizio dedotto perché la Corte territoriale muovendo dalla considerazione secondo cui il contratto autonomo di garanzia si caratterizza, rispetto alla fideiussione, per l’assenza dell’accessorietà della garanzia, ha richiam ato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui l’inserimento nel contratto di una clausola di pagamento ‘a prima richiesta e senza eccezioni’ vale a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia trattandosi di un elemento incompatibile con il principio di accessorietà proprio della fideiussione.
Ha proceduto successivamente ad una interpretazione sistematica del contratto per verificare la presenza di ulteriori elementi tali da rendere non decisiva la clausola di pagamento a prima richiesta.
Sotto tale profilo ha evidenziato che la clausola n. 8 prevede il pagamento a semplice richiesta scritta, limitando la facoltà del garante di opporre eccezioni e la clausola n. 11 limita ulteriormente la posizione del garante riguardo alla sussistenza dei presupposti per il recesso della banca, escludendo altresì il beneficio di escussione e inserendo, al contrario, la solidarietà del fideiussore.
In questi termini il giudice di appello non ha violato i principi di interpretazione ermeneutica dettati dalla Corte di legittimità argomentando che sulla base di una valutazione complessiva delle clausole, le pattuizioni delineano una disciplina incompatibile con lo schema tipico della fideiussione e ponendo in evidenzia l’autonomia del contratto di garanzia, rispetto a quello garantito.
Alla luce di quanto precede il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte