Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33470 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33470 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7783/2024 R.G. proposto da:
COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicilio digitale: EMAIL
– ricorrenti –
contro
FINO RAGIONE_SOCIALE e, per essa, quale mandataria, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME, domicilio digitale: EMAIL
-controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Genova n. 57/2024,
pubblicata in data 15 gennaio 2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 ottobre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella qualità di fideiussori della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Genova aveva loro ingiunto, su istanza del Banco di Sicilia, il pagamento dell’importo di euro 42.352,76, oltre interessi di mora, dovuti quale saldo debitore di conto corrente intestato alla società garantita, eccependo, tra l’altro, la nullità totale della fideiussione omnibus sottoscritta in data 15 maggio 2007 per violazione della legge antitrust n. 287/1990, poiché conforme allo schema contrattuale predisposto dall’ABI nel 2003 e, in subordine, la nullità parziale della stessa fideiussione, con conseguente decadenza della Banca dalla garanzia per decorso del termine di sei mesi previsto dall’art. 1957 cod. civ.; in ulteriore subordine, deduce vano la nullità della sola clausola 6 della fideiussione, che derogava l’art. 1957 cod. civ., in quanto vessatoria e non oggetto di trattativa individuale.
Il Tribunale di Genova, in esito alla costituzione di RAGIONE_SOCIALE, dichiarava la nullità parziale della fideiussione limitatamente alle clausole nn. 2, 6 e 8 per violazione della disciplina antitrust di cui all’art. 2, comma 2, le tt. a) , della legge n. 287/90 e rigettava l’opposizione .
La sentenza, impugnata dai fideiussori, è stata confermata dalla Corte d’appello di Genova, la quale, dopo avere rilevato che la qualificazione del contratto come contratto autonomo di garanzia non era determinante ai fini della decisione, essendo rilevante che il
contratto contenesse la clausola di pagamento a prima richiesta, ha osservato che quando il fideiussore era tenuto al pagamento ‘a prima o a semplice richiesta’, il rispetto dell’art. 1957 cod. civ. da parte del creditore doveva ritenersi soddisfatto con la richiesta stragiudiziale rivolta al fideiussore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale; nella fattispecie, la Unicredit, dopo avere comunicato, in data 23 novembre 2010, alla debitrice principale la revoca degli affidamenti ed il recesso dal conto corrente, aveva intimato il pagamento ai fideiussori con raccomandate del 14 novembre 2010 e del 14 gennaio 2011, così impedendo la decadenza ai sensi dell’art. 1957 cod. civ.
NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per la cassazione della decisione d’appello, sulla base di quattro motivi, a cui RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo è dedotta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 2, lett. a) , della l. n. 287/1990.
Nel rilevare che il Tribunale di Genova aveva accertato, in motivazione, la nullità delle clausole del contratto di fideiussione contenute negli artt. 2, 6 e 8, pur se nel dispositivo non si rinveniva la relativa declaratoria, ed aveva qualificato il testo contrattuale alla stregua di un contratto autonomo di garanzia, in ragione dell’inserimento, nell’art. 7, dell’obbligo di pagamento a ca rico del fideiussore ‘a semplice richiesta scritta’ della banca, affermando, di conseguenza, che ‘ad evitare la decadenza è sufficiente la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento ‘ e che la
contro
parte aveva prestato acquiescenza in merito alla rilevata nullità parziale della clausola contenuta nell’art. 6 del contratto, sicché sul punto si era formato il giudicato, i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello, nel ritenere che la formulazione contenuta nell’art. 7 del contratto di fideiussione fosse idonea a salvare (o comunque a riproporre) la deroga all’art. 1957 cod. civ., avrebbe giudicato in senso difforme rispetto a quanto statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 41994 del 2021, incorrendo nella violazione denunciata.
1.1. La censura è inammissibile perché non si correla alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
1.2. La Corte d’appello, invero, ha fatto applicazione del termine di decadenza previsto dall’art. 1957 cod. civ., così disapplicando la clausola contenuta nell’art. 6 del contratto di fideiussione, ritenuta invalida perché volta a determinare effetti distorsivi della concorrenza, e, uniformandosi al costante orientamento di questa Corte, ha affermato che, in caso di impegno del fideiussore a pagare al creditore ‘a semplice richiesta scritta’, per impedire la decadenza di cui al richiamato art. 1957 cod. civ., è sufficiente la richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, non potendosi conside rare ‘a prima richiesta’ l’adempimento subordinato all’esercizio di una azione in giudizio (Cass., sez. 3, 26/09/2017, n. 22346).
Tanto evidenzia, diversamente da quanto asserito dai ricorrenti, che la Corte territoriale non ha derogato alla prescrizione contenuta nell’art. 1957 cod. civ., ma ha piuttosto accertato che, nel caso de quo, la Banca, esercitato il recesso dal conto corrente in data 23 novembre 2010, ha impedito il termine di decadenza con l’invio delle raccomandate del 14 novembre 2010 e del 14 gennaio 2011.
Con il secondo motivo i ricorrenti, prospettando la violazione e
falsa applicazione dell’art. 1363 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., addebitano ai giudici di appello di avere erroneamente interpretato l’art. 7 del contratto di fideiussione alla stregua di uno strumento idoneo a reintrodurre gli effetti della clausola n. 6 del medesimo contratto, ritenuta invalida.
Con il terzo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1367 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., i ricorrenti sostengono che la Corte d’appello ha fatto riferimento ad un inesistente ‘principio di conservazione del contratto’, tralasciando di considerare che il criterio ermeneutico di conservazione del contratto recede di fronte al criterio di interpretazione sistematica delle clausole contrattuali, stante il suo carattere sussidiario, e che se avesse fatto buon governo delle regole di interpretazione sistematica, non avrebbe sostanzialmente eluso l’invalidità della clausola contenuta nell’art. 6 della fideiussione.
3.1. Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere congiuntamente scrutinati vertendo sulla contestata violazione dei criteri ermeneutici di interpretazione del contratto, sono inammissibili.
3.2. Posto che l ‘ accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la
censura risolversi nella mera contrapposizione dell ‘ interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., sez. L, 30/04/2010, n. 10554; Cass., sez. 3, 28/11/2017, n. 28319; Cass., sez. 1, 09/04/2021, n. 9461).
I ricorrenti trascurano di indicare, nell’illustrazione de i motivi, per quale ragione il giudice di secondo grado non avrebbe fatto buon governo del canone ermeneutico invocato, cosicché la doglianza si risolve in una critica generica ed in una non consentita richiesta di riesame di un apprezzamento di fatto, precluso in questa sede.
Con il quarto motivo, censurando la decisione gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 34 d.lgs. n. 206/2005, i ricorrenti, limitatamente alla posizione di NOME COGNOME si dolgono che la Corte d’appello non avrebbe rilevato che la clausola contenuta nel l’art. 6 della fideiu ssione, che non è stata oggetto di trattativa individuale, sarebbe invalida anche perché vessatoria ‹‹ nei rapporti con i consumatori ›› .
La censura è inammissibile per difetto di interesse: la declaratoria di nullità della clausola ai sensi dell’art. 34 citato non potrebbe apportare ulteriori vantaggi agli odierni ricorrenti, essendo incontestato, per quanto emerge sia dal ricorso che dal controricorso, che il giudice di primo grado ha dichiarato la nullità di quella clausola per contrasto con l’art. 2, comma 2, lett. a) , legge 287/90 e che la relativa statuizione, sul punto, non è stata oggetto di impugnazione in secondo grado.
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di legittimità che liquida
in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge, in favore della controricorrente
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione