Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1635 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1635 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
Oggetto: fideiussione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37075/2019 R.G. proposto da NOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE
– intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1527/2019, depositata il 19 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
–NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Torino, depositata il 19 settembre 2019, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che, pronunciandosi sulla opposizione a un decreto ingiuntivo con cui era stato loro intimato di pagare in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. la somma di euro 374.811,68, oltre interessi e spese del procedimento monitoro, quale saldo di un conto corrente, di un conto anticipi fatture e di un conto anticipi fatture estero intestati alla RAGIONE_SOCIALE, aveva revocato il decreto ingiuntivo opposto e condannato gli odierni ricorrenti, quale fideiussori della società debitrice, al pagamento della minor somma di euro 184.459,02, oltre interessi convenzionali;
il ricorso è affidato a cinque motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE;
la RAGIONE_SOCIALE non spiega alcuna attività difensiva;
-le parti costituite depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 2946 cod. civ., per aver la Corte di appello disatteso il motivo di appello vertente sulla ritenuta prescrizione delle rimesse antecedenti il decennio dalla notifica dell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo;
censurano, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non rilevanti le risultanze della tabella allegata alla relazione del consulente tecnico d’ufficio da cui emergeva la natura ripristinatoria delle rimesse in oggetto;
il motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha, sul punto, osservato che la tabella richiamata dai ricorrenti non fosse pertinente, in quanto espressiva
dell’elaborazione e del risultato finale della rideterminazione del saldo operata dal consulente tecnico d’ufficio, mentre, ai fini dell ‘individuazione delle rimesse solutorie e di quelle ripristinatorie, strumentale per l’accertamento del decorso dell’eccepito termine prescrizionale, doveva farsi riferimento ad altra sezione della relazione consulenziale;
la doglianza, dunque, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, si risolve, in realtà, in una critica della valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di merito che non può essere sindacata in questa sede (cfr. Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476);
con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 1945, 2934 e 2935 cod. civ., per aver la sentenza di appello ritenuto che il termine di prescrizione relativo al diritto a far valere la non debenza delle rimesse solutorie indebitamente annotate in conto corrente decorresse, anche per il fideiussore, dal momento dell’annotazione in conto e non gi à dal momento in cui veniva escussa la garanzia;
il motivo è infondato;
il carattere accessorio dell’obbligazione fideiussoria, desumibile dagli artt. 1939 e 1945 cod. civ., consente al fideiussore di opporre al creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, in quanto l’obbligazione garantita è il presupposto dell’obbligazione di quella di garanzia;
a tali fini, dunque, il fideiussore è posto, rispetto al creditore, in una posizione identica a quella del debitore principale, con la conseguenza che può far valere fatti estintivi della pretesa creditoria negli stessi termini quest’ultimo può (o avrebbe potuto) farli valere;
da ciò consegue che il fideiussore può far valere -in via di eccezione e non come domanda autonoma (cfr. Cass. 4 dicembre 2019, n. 31653)
-diritti che il debitore garantito vanta nei confronti del creditore, nei
limiti ovviamente che tali diritti siano tuttora esistenti nel patrimonio del debitore garantito medesimo;
pertanto, qualora, come nel caso in esame, il fideiussore eccepisca il diritto del debitore garantito alla restituzione delle somme indebitamente versate e annotate nel conto corrente dalla banca creditrice, il giudice dovrà verificare se un siffatto diritto di credito sussista, anche valutando l’eventuale e ccezione di estinzione per prescrizione che il creditore sollevi;
orbene, la Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tale principio, per cui la censura di presenta priva di pregio;
con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che fosse stata raggiunta la prova del credito della banca relativamente al conto anticipo fatture e al conto anticipo fatture estero pur in mancanza della produzione dei relativi estratti conto;
il motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha rilevato che la banca non aveva prodotto in giudizio i singoli estratti conto relativi ai rapporti in oggetto, ma ha ritenuto che l’esame dei contratti di concessione di linee di credito a fronte della presentazione di portafoglio e/o di anticipi di documenti, delle richieste di «anticipo fatture estero» e del l’elenco delle fatture nazionali ed estere presentate per le operazioni di anticipo/sconto, con i relativi saldi, offrivano evidenza del credito vantato dalla banca, osservando che il funzionamento del rapporto di anticipo fatture è tale da ribaltare sul conto corrente solo gli esiti delle operazioni, autonomamente regolate;
in proposito, si osserva, da un lato, che nelle cause promosse dalla banca per il pagamento del saldo, la stessa può assolvere all’onere probatorio sulla stessa gravante mediante la produzione in giudizio, oltre che del contratto, sia dei relativi estratti conto, sia attraverso mezzi di prova idonei a fornire indicazioni certe che diano
giustificazione del credito vantato (cfr. Cass. 25 luglio 2023, n. 22290; Cass. 2 maggio 2019, n. 11543);
-da ciò consegue che l’accertamento del giudice di merito in ordine all’idoneità della documentazione prodotta a dimostrare l’entità del saldo è a questi riservata e, pertanto, si sottrae al sindacato di questa Corte;
-dall’altro lato, si evidenzia che la doglianza si fonda sulla mancata produzione degli estratti conto, ma è priva di qualsiasi specifica deduzione in ordine alle ragioni per cui il saldo accertato dal giudice di merito non sarebbe corretto, non venendo, in particolare, allegata né l’annotazione di poste a debito non dovute, né l’omessa annotazione di posta a credito;
con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello ritenuto che sul conto corrente veniva «ribaltato» il risultato finale dell’operazione relativo al rapporto di anticipo fatture;
evidenziano, sul punto, che nessuna operazione relativa ai conti anticipi era mai transitata sul conto corrente ordinario e che tutte le operazioni di tale natura trovavano la loro regolazione negli specifici conti correnti a ciò dedicati;
-il motivo è inammissibile, in quanto muove da un’errata interpretazione della sentenza la quale, lungi dal ritenere che le operazioni di anticipo fatture venivano regolate nel conto corrente ordinario, ha inteso affermare che tali operazioni venivano annotate in un apposito elenco e che la loro regolazione avveniva mediante successiva annotazione nello specifico conto corrente dedicato a tali operazioni;
la doglianza, dunque, non coglie la ratio decidendi ;
pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si
liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 7.500,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 20 dicembre 2023.