Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18851 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18851 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7948 R.G. anno 2022 proposto da:
Patimisco NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
doNext, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
contro
ricorrente e ricorrente incidentale nonché contro
NOMECOGNOME NOME, Padova NOME e COGNOME NOME ;
intimati avverso la sentenza n. 148/2022 depositata il 4 marzo 2022 della Corte di appello di Potenza.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025
dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Il Tribunale di Matera ha accolto parzialmente l’opposizione proposta da NOME COGNOME oltre che da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali fideiussori di RAGIONE_SOCIALE, avverso il decreto ingiuntivo richiesto e ottenuto in loro danno da Intesa Gestione Crediti s.p.a., nella cui posizione creditoria è succeduta RAGIONE_SOCIALE: in conseguenza, ha revocato il decreto ingiuntivo opposto e pronunciato condanna per la minor somma di euro 49.928,84, oltre a interessi.
2 . ─ La Corte di appello di Potenza, in parziale accoglimento dei gravami proposti, principale ed incidentale, ha condannato in solido NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento della somma di euro 37.928,84, oltre interessi, dichiarando NOME COGNOME tenuto a manlevare NOME COGNOME di quanto ella dovesse pagare a RAGIONE_SOCIALE anche a titolo di spese processuali.
Per quanto qui rileva, il Giudice distrettuale ha accolto l’eccezione di nullità delle clausole del contratto di fideiussione identificate con i nn. 2, 6 e 8 che i garanti avevano sollevato in comparsa conclusionale. Pur riconoscendo che le predette clausole coincidevano con quelle prese in considerazione da Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994, investita della questione circa i rimedi operanti nei confronti dei contratti conclusi «a valle» di un’intesa restrittiva della concorrenza, ha evidenziato che le fideiussioni oggetto di causa erano state rilasciate nell’anno 1993, e cioè ben prima che la Banca d’Italia dichiarasse parzialmente nullo, col provvedimento n. 55 del 2005, lo schema negoziale standard predisposto dall’ABI . Ha spiegato la Corte di appello che l’indagine svolta dall’autorità di vigilanza copriva l’arco temporale ricompreso tra gli anni 2002 e 2005 e che solo con riferimento a tale periodo il provvedimento pronunciato dalla Banca d’Italia aveva il valore di prova
privilegiata: per periodi diversi, estranei all’indagine, la parte che intendeva far valere la nullità per violazione della disciplina antitrust era onerata della prova ulteriore, avente ad oggetto l’esistenza dell’intesa atta a impedire o restringere la concorrenza al momento della stipulazione del contratto.
La Corte di merito ha poi riconosciuto fondata la doglianza dei fideiussori circa l’omessa considerazione della riduzione della loro esposizione debitoria determinata da una transazione che era intercorsa tra Lippolis e la banca opposta: per modo che dalla somma oggetto della condanna doveva essere stornato l’importo di euro 12.000,00 corrisposta da Lippolis in forza del detto accordo transattivo.
– Patimisco ricorre per cassazione facendo valere un unico motivo. Resiste con controricorso doNext, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, la quale svolge un ‘ impugnazione incidentale fondata su due motivi. Il Procuratore generale ha chiesto respingersi il ricorso principale. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
–NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 2, lett. a), l. n. 287/1990 e dell’art. 101 TFUE. Deduce che la Corte di appello avrebbe errato nell’escludere la nullità delle fideiussioni per il sol fatto che esse furono stipulate in un periodo anteriore rispetto a quello in cui si collocava l’indagine disposta dalla Banca d’Italia.
Col primo motivo di ricorso incidentale doNext oppone la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 345 c.p.c., 1421 e 2697 c.c.. Osserva che i fatti sui quali si fondava l’eccezione degli appellanti erano stati tardivamente dedotti e non risultavano comunque provati, essendo stati esposti in un atto, la comparsa conclusionale, che era deputata ad illustrare le domande e le eccezioni proposte, oltre che le ragioni di fatto e di diritto su cui le stesse si fondavano.
Col secondo motivo del ricorso incidentale si lamenta la violazione
dell ‘art. 112 c.p.c. . La Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di condanna al pagamento di NOME COGNOME
2 . -Il ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale investono la decisione della Corte di merito nella parte in cui si la stessa è occupata dell’eccepita nullità delle fideiussioni prestate per violazione della disciplina antitrust: questione che, come si è detto, fu proposta nella comparsa conclusionale di appello.
– E’ opportuno accordare precedenza di trattazione al primo motivo del ricorso incidentale, con cui si è messa in dubbio l’ammissibilità della proposta eccezione di nullità.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che in tema di intese restrittive della concorrenza, la nullità parziale del contratto di fideiussione «a valle» dipendente da intesa restrittiva «a monte», in quanto eccezione in senso lato, è deducibile e rilevabile d’ufficio in grado di appello a prescindere dalla relativa allegazione di parte (Cass. 8 gennaio 2025, n. 416; Cass. 13 gennaio 2025, n. 863). Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente incidentale, dunque, non era necessario che i fatti costitutivi della nullità fossero allegati in un momento anteriore: men che meno nel rispetto dei termini preclusivi operanti per le eccezioni in senso stretto (Cass. Sez. U. 7 maggio 2013, n. 10531, secondo cui il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis , in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione).
doBank, col primo motivo del ricorso incidentale, fa anche questione della mancata prova della nullità: e quindi proprio della possibilità di ricavare ex actis gli elementi di riscontro della detta invalidità. Ma sul punto il motivo si mostra privo di aderenza alla sentenza impugnata, dal momento che la Corte di appello ha dato atto
del mancato riscontro della prova dell’intesa restrittiva a monte: e cioè di quell’elemento che, in base alla ricostruzione di Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. n. 41994, è idoneo a determinare la nullità parziale del contratto «a valle».
– Con ciò si viene all’esame del ricorso principale, con cui si censura la sentenza su questo preciso versante.
– Occorre premettere che in materia di nullità contrattuale per violazione della normativa antitrust vale il principio generale per cui il rilievo d’ufficio della nullità del contratto è subordinato alla condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l’impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (Cass. 23 febbraio 2024, n. 4867): in appello, quindi, non è consentita, in deroga all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012), la produzione di nuovi documenti, come anche l’ammissione di nuove prove, diretti a dare dimostrazione della nullità per la contrarietà del contratto alla disciplina anticoncorrenziale (Cass. 8 gennaio 2025, n. 416, cit.; in tema cfr. pure Cass. 13 gennaio 2025, n. 863, cit., e Cass. 25 gennaio 2025, n. 1851).
C ol provvedimento n. 55 del 2005 la Banca d’Italia ha accertato che alcune clausole dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione omnibus contenevano disposizioni che, nella misura in erano applicate in modo uniforme, risultavano in contrasto con l’art . 2, comma 2, lett. a), l. n. 287/1990. Come ricordato nella cit. Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994, nell’ottobre del 2002 l’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ebbe a predisporre uno schema negoziale-tipo per la fideiussione a garanzia di operazioni bancarie, che, prima della diffusione tra gli istituti di credito, fu comunicato alla Banca d’Italia, all’epoca autorità garante della concorrenza tra gli istituti di
credito; questa, nel novembre 2003, avviò un’istruttoria finalizzata a verificare la compatibilità dello schema contrattuale di «fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie», predisposto dall’ABI, con la disciplina dettata in materia di intese restrittive della concorrenza. La Banca d’Italia interpellò, in via consultiva, l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), la quale rilevò come la disciplina della fideiussione omnibus, di cui allo schema predisposto dall’ABI, presentava clausole idonee a restringere la concorrenza, poiché suscettibili in linea generale « di determinare un aggravio economico indiretto, in termini di minore facilità di accesso al credito », nonché, nei casi di fideiussioni a pagamento, « di accrescere il costo complessivo del finanziamento per il debitore, che dovrebbe anche remunerare il maggior rischio assunto dal fideiussore ». Posto che dall’istruttoria espletata era emerso che diverse banche avevano ormai adottato lo schema predisposto dall’ABI, la Banca d’Italia emise il provvedimento n. 55, di cui si è detto.
9. Ora, si reputa che il detto provvedimento della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione possieda, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, dovendo poi il giudice del merito valutare se le disposizioni convenute contrattualmente (quindi, può qui aggiungersi, «a valle» dell’illecito antritrust) coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva (Cass. 22 maggio 2019, n. 13846; cfr. pure la cit. Cass. Sez. U. 30 dicembre 2021, n. 41994, in motivazione). In proposito va osservato che l’evocazione, operata dal ricorrente, dell ‘art. 7 del d.lgs. n. 3/2017, recante attuazione della direttiva 2014/104/UE si mostra non pertinente, dal momento che la detta disposizione non è retroattiva e non risulta quindi applicabile ratione temporis all’illecito concorrenziale per cui è causa.
In base alla giurisprudenza appena richiamata il fideiussore gode
dunque di un’agevolazione probatoria. Per invocare efficacemente la nullità egli potrà limitarsi a documentare il provvedimento della Banca d’Italia che ha accertato l’illecito concorrenziale, il quale è un atto amministrativo, rispetto al quale evidentemente non opera il principio iura novit curia , e le clausole contrattuali asseritamente invalide, in modo da rendere possibile la positiva verifica della corrispondenza di esse con quelle oggetto di esame da parte della Banca d’Italia nel suddetto provvedimento: esatta corrispondenza che, come è stato opportunamente precisato, è da riguardare in termini di compresenza, giacché, nella prospettiva seguita dal provvedimento n. 55, è la compresenza delle clausole ad essere lesiva della concorrenza (cfr., in motivazione, la cit. Cass. 25 gennaio 2025, n. 1851). Sarà poi la banca a dover fornire gli elementi di prova da cui desumere che lo schema contrattuale predisposto e adottato nella negoziazione «a valle» non costituiva sbocco dell ‘intesa restrittiva : elementi di prova consistenti, ad esempio, nell’assenza , da parte della banca, di una standardizzazione dei propri contratti secondo lo schema dell’ABI, o nell ‘adozione di una prassi consistente nella sottoposizione agli interessati di moduli contrattuali alternativi, non recanti le clausole riconosciute contrastanti con la disciplina antitrust.
10. L ‘antigiuridicità determinata dalla stipulazione «a valle» di contratti che costituiscano l’applicazione di intese illecite concluse «a monte», stante il recepimento di schemi elaborati dall’ ABI in materia di contratti di fideiussione contenenti clausole che possano dirsi attuazione di tali intese, è suscettibile di essere affermata con riguardo ai negozi stipulati anteriormente al richiamato accertamento dell a Banca d’Italia laddove l’intesa restrittiva sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato di cui si denuncia la nullità, considerato che rientrano nella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che integrino la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza (così Cass. 12 dicembre 2017, n. 29810,
in motivazione): infatti, la nullità del contratto «a valle» presuppone sul piano logico-giuridico la nullità dell’intesa restrittiva «a monte» e quindi l’anteri orità temporale di questa intesa rispetto a quel contratto.
11. Ciò posto, la Corte di appello ha affermato che il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia risultava idoneo a dimostrare l’esistenza dell’in tesa restrittiv a solo nell’arco di tempo tra il 2002 e il 2005, cui era riferibile l’accertamento operato dalla Banca d’Italia , non potendo quindi riguardare i contratti oggetto di causa, che erano stati stipulati molto tempo prima, nel 1993.
La possibilità di smentire questo assunto e di invocare, per conseguenza, la prova privilegiata desumibile dal più volte richiamato provvedimento della Banca d’Italia dipende dal contenuto dell’accertamento operato dalla predetta autorità di vigilanza: e poiché il detto accertamento è contenuto proprio nel provvedimento n. 55 del 2005, il quale non costituisce un atto normativo soggetto al controllo di legittimità della S.C., la censura sollevata dal ricorrente principale finisce per investire un profilo di fatto che è per sua natura estraneo al giudizio di cassazione.
In conclusione, è per certo astrattamente ipotizzabile che un contratto di fideiussione omnibus conformato a un modello contrattuale predisposto dall’ABI in epoca anteriore all’ottobre 2002 costituisca sbocco, «a valle», di un’intesa restrittiva «a monte». Il relativo accertamento, ove sia invocato il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia, implica però anzitutto la ricognizione di detto provvedimento, al fine di verificare se esso possa integrare una prova privilegiata anche con riguardo a ll’esistenza di una intesa anticoncorrenziale esistente all’epoca e, in difetto di un positivo riscontro in tal senso, il compimento di un’ indagine, da condursi sulla scorta di altri mezzi di prova, circa l’esistenza dell’ intesa restrittiva che abbia trovato espressione in una o più clausole del contratto di garanzia. Sia la ricognizione del provvedimento della Banca d’It alia che
l’indagine di cui si è appena detto si risolvono, poi, in accertamenti di natura fattuale, preclusi, come tali, in sede di legittimità.
– Il ricorso principale è dunque da dichiarare inammissibile .
– Il primo motivo dell’impugnazione incidentale è invece da respingere, alla stregua di quanto si è detto. Per un verso, il rilievo d’ufficio della nullità contrattuale determinata dall ‘intesa restrittiva «a monte» non era precluso dall’assenza di una corrispondente tempestiva allegazione nel senso indicato da parte di NOME COGNOME e la Corte di appello avrebbe potuto dare atto della detta nullità solo ove essa fosse emersa ex actis sulla base di elementi di riscontro che erano entrati a far parte del thema probandum mediante attività processuali svolte tempestivamente; per altro verso, la ricorrente incidentale non può dolersi della valorizzazione di documenti prodotti o di prove dedotte tardivamente, e ciò per il semplice fatto che la sentenza impugnata non ha deciso sulla base di tali evidenze.
Il secondo motivo del ricorso incidentale è invece da accogliere, in quanto la Corte di appello ha effettivamente mancato di estendere la pronuncia di condanna all’o dierno ricorrente.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al secondo motivo del ricorso incidentale. Non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, può rendersi decisione nel merito e disporsi che la condanna il solido di cui al capo II a dispositivo è riferita anche a NOME COGNOME
Nella memoria la ricorrente incidentale ha domandato, in alternativa, la correzione dell’errore materiale in cui sarebbe incorsa la Corte di appello: istanza chiaramente inammissibile, visto che nel caso in esame si configura, come correttamente dedotto in ricorso, il vizio di omessa pronuncia e visto che la norma invocata dall’istante (l’art. 391 -bis c.p.c.) si riferisce, comunque, alla correzione dei provvedimenti di questa Corte.
– Quanto alle spese del giudizio di merito tra RAGIONE_SOCIALE
e tutti gli opponenti, esse possono compensarsi per metà, riversandosi il residuo sugli opponenti stessi, seguendo il medesimo criterio adottato dalla Corte di appello. Stessa soluzione può seguirsi per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso principale; rigetta il primo motivo del ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale e, decidendo nel merito, condanna NOME COGNOME al pagamento, in solido con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME della somma di euro 37.928,84, oltre interessi come indicati nella sentenza di appello; compensa per metà le spese dei due gradi del giudizio di merito, liquidandole in euro 6.500,00,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, per il giudizio di primo grado, e in euro 9.500,00,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, per il giudizio di appello; condanna il ricorrente e gli intimati al pagamento della metà dei detti importi; compensa per metà le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge, e condanna il ricorrente al pagamento della metà del detto importo; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione