SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 3569 2025 – N. R.G. 00002005 2024 DEPOSITO MINUTA 07 06 2025 PUBBLICAZIONE 08 06 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE SECONDA CIVILE
così composta:
NOME COGNOME de RAGIONE_SOCIALE
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere rel.
riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 2005 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2024, decisa ai sensi degli artt. 281sexies e 350-bis c.p.c. all’udienza del giorno 19.5.2025
tra
(cod. fisc. ), elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME (cod. fisc. ), che la rappresenta e difende per procura alle liti allegata all’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo;
-appellante-
e
(cod. fisc. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, dott. elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
49, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende per procura alle liti in calce al ricorso ex art. 633 c.p.c.; P.
-appellata-
OGGETTO: fideiussione.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
per : ‘Piaccia alla adìta Corte, ‘contraiis reiectis’, in accoglimento del presente gravame ed in completa riforma della sentenza impugnata, revocare e caducare in ogni sua parte il decreto ingiuntivo a carico della opponente n. 9608/2023 Rg 18984/2023 emesso il 23-24 maggio 2023 e notificato il 19 giugno 2023 dichiarando per l’effetto che la
opponente nulla deve all’Istituto Bancario opposto in ragione dei titoli dedotti nel ricorso monitorio per i motivi esposti in narrativa, ed in particolare:
Previa declaratoria di invalidità ed inefficacia della clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c. contenuta nell’art. 6 del contratto di fideiussione, per contrarietà alle norme del Codice del Consumo dlgs 206/2005 ex artt. 32 e ss.. rivestendo la opponente la qualità di ‘consumatore’ ai sensi di legge, e stante la violazione del disposto di cui all’ art. 1957 co 1 c.c. e dell’obbligo ivi contenuto a carico del creditore Istituto Bancario opposto, obbligo da ritenersi pienamente sussistente nella fattispecie e violato dall’Istituto medesimo;
In via alternativa e concorrente, previa dichiarazione della nullità parziale della clausola derogativa dell’art. 1957 c.c. contenuta all’art. 6 della fideiussione impugnata per violazione dell’art. 2 comma 2 L. 287/1990, clausola riproducente alla lettera (così come la fideiussione impugnata, nella sua totalità) il noto schema predisposto da ABI nel 2003 oggetto dell’altrettanto noto provvedimento Banca d’Italia n. 55 del 2/5/2005. (…)
Con vittoria di spese ed onorari di entrambi i gradi giudizio da distrarsi in favore del sottoscritto difensore antistatario’;
per ‘Piaccia alla Corte di Appello adìta, contrariis rejectis, rigettare l’appello proposto dalla signora avverso la sentenza inter partes resa dal Tribunale di Roma, perché infondato in fatto e in diritto.
Con vittoria di spese e compensi’.
FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione notificato il 19.7.2023 ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 968/2023 emesso dal Tribunale di Roma in data 24.5.2023, con cui è stata condannata a pagare, quale garante di e in solido con questi, alla
la somma di € 113.910,07, oltre interessi moratori convenzionali e spese della procedura monitoria, a titolo di saldo debitore di un rapporto di conto corrente n. 064791 assistito da apertura di credito. In particolare, l’opponente ha dedotto che la Banca ingiungente sarebbe decaduta dalla garanzia, non avendo agito in sede giudiziale per il recupero del credito entro i termini previsti dall’art. 1957 c.c., a nulla rilevando la
clausola di deroga a tale disposizione di legge contenuta nel contratto di fideiussione del 29.3.2019 in quanto nulla per contrasto con l’art. 33, co. 2, lett. t), d.lgs. n. 206/2005, applicabile al caso di specie avendo ella agito in qualità di consumatrice.
Si è costituita nel giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c. la
che ha dedotto l’infondatezza delle deduzioni dell’opponente e ha concluso per il rigetto dell’opposizione.
Con le proprie memorie ex art. 171-ter n. 3) c.p.c. l’opponente ha eccepito la nullità della clausola dell’art. 6 della fideiussione sottoscritta dall’opponente per violazione dell’art. 2, co. 2, della legge n. 287/1990 in quanto riproduce lo schema predisposto da ABI nel 2003, il quale ha anche allegato. sizione monocratica, ha ‘1. – rigetta l’opposizione; 2. – dichiara l’ese-
Con sentenza n. 5631/2024 del 28.3.2024 il Tribunale di Roma, in compocutorietà del decreto ingiuntivo opposto; 3. – condanna al pagamento, in favore della
delle spese del giudizio che liquida in complessivi €5.100,00# per compensi professionali, oltre oneri di legge’.
Avverso la suddetta decisione ha proposto ritualmente appello , che ha svolto le censure riportate di seguito e ha concluso come in epigrafe.
Nel presente grado di giudizio si è costituita la
che dedotto come le censure svolte siano infondate e ha concluso per il rigetto dell’appello.
Con il terzo motivo di appello – da esaminare per primo nell’ordine logico delle questioni – si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di nullità parziale del contratto di fideiussione sottoscritto da . In particolare, l’appellante deduce che il giudice di primo grado ‘ha omesso di leggere gli atti processuali nella loro integrità e dunque di pronunciare su un capo di domanda rilevante e pregiudiziale, siccome volto a far dichiarare la nullità della clausola come richiesta (cfr Sezioni Unite Cass. 41994/2021), e dunque la revoca del decreto ingiuntivo’.
Il motivo non merita accoglimento.
2.1. Quella proposta da non è un’azione follow-on, vale a dire fondata su di una violazione delle regole antitrust già accertata dall’Autorità di concorrenza (sia essa nazionale o comunitaria) con un provvedimento definitivo. Queste azioni prendono le mosse, dunque, dal provvedimento di detta Autorità e ne richiamano, in tutto o in parte, il contenuto, e soprattutto consentono di ritenere provata sulla scorta di tale provvedimento, in virtù della presunzione probatoria (cfr. Cass. civ., Sez. I, 22.5.2019, n. 13846), uno dei presupposti dell’azione, vale a dire la sussistenza della condotta violativa della normativa antitrust. Di contro, quella in esame costituisce un’azione stand-alone, vale a dire quella incardinata in giudizio dall’attore in assenza di un precedente accertamento della violazione delle regole antitrust da parte dell’Autorità amministrativa. In questo caso, spetta al giudice nazionale adito accertare, sulla base delle allegazioni delle parti, l’asserita violazione delle regole antitrust nel periodo dedotto.
L’odierna appellante ha sottoscritto la fideiussione omnibus in favore della sino al limite di € 144.000,00, a garanzia delle obbligazioni assunte nei confronti di quest’ultima dal marito, in data 29.3.2019, vale a dire a distanza di circa quattordici anni dal provvedimento n. 55/2005 assunto dalla Banca d’Italia il 2.5.2005, che costituisce prova privilegiata soltanto con riguardo alla sussistenza del comportamento anticoncorrenziale accertato dallo stesso o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso con riguardo al periodo esaminato da tale Autorità, vale a dire quello compreso tra il 2002 e il maggio 2005. In particolare, il provvedimento anzidetto non costituisce prova dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza con riguardo a un periodo rispetto al quale nessuna indagine risulta essere stata svolta dall’Autorità di vigilanza, qual è quello in cui hanno sottoscritto le fideiussioni per cui è causa i due originari attori.
Poiché il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia vale quale prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame, l’opponente (odierna appellate) era onerata dell’allegazione e della prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di illecito concorrenziale di cui all’art. 2 della legge n. 287/1990, dedotta nell’introdurre il giudizio di primo grado. Di contro, non ha allegato la sussistenza di tali presupposti e non ha dato prova alcuna in tale
senso, non avendo neppure articolato mezzi di prova volti a dimostrare che nel marzo del 2019 un numero significativo di istituti di credito, all’interno del medesimo mercato, avrebbe coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela dei modelli uniformi di fideiussione per operazioni specifiche in modo da privare quella stessa clientela del diritto a una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza.
Neanche è sufficiente che lo schema contrattuale delle due fideiussioni sottoposte all’attenzione del giudice risulti speculare rispetto a quello stigmatizzato dalla Banca d’Italia con il suddetto provvedimento, come pure deduce parte appellante. In effetti, se si considera che il provvedimento della Banca d’Italia ha sanzionato, nel maggio 2005, con la nullità la clausola contrattuale indicata dall’appellante dello schema A.B.I. nella misura in cui veniva applicata in modo uniforme, in quanto restrittiva della concorrenza e della libertà contrattuale dei clienti delle banche, è di tutta evidenza come chi deduca la nullità di una fideiussione sotto tale profilo, ma con riguardo a un periodo di tempo distante di molti anni (quasi tre lustri), deve dimostrare che lo stesso schema, utilizzato – almeno con riguardo alla clausola dell’art. 6 ‘incriminata’ – per il contratto di fideiussione sottoscritto da in data 29.3.2019 sia espressione di una perdurante intesa anticoncorrenziale, perché le clausole in questione venivano applicate in modo uniforme o perché l’approvazione di detto schema risultava imposto dalla Banca quale condizione necessaria per l’erogazione dei finanziamenti (cfr. Cass. civ., Sez. I, ord. 13.11.2024, n. 30383).
In particolare, al fine di dimostrare il perdurare dell’intesa anticoncorrenziale tra le banche, e tra queste anche la
(con cui sono state sottoscritte le fideiussioni per cui è causa), ancora nell’anno 2019, parte attrice avrebbe dovuto allegare e provare che anche le altre banche italiane, o quantomeno quelle aderenti all’A.B.I., in detto periodo (marzo 2019), utilizzavano uniformemente lo schema di fideiussione omnibus contenente le tre clausole sanzionate con il provvedimento della Banca d’Italia e che non fosse consentito alcun margine di trattativa in ordine alle suddette clausole, penalizzanti per il cliente.
2.2. Né tale impostazione risulta contrastare con la pronuncia n. 41994/2021 emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione in data 30.12.2021, secondo cui ‘I contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della i. n. 287 del 1990 e 101 del T.F.U.E., sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti’.
Nella motivazione della suddetta sentenza le Sezioni Unite riconoscono che le clausole sanzionate dalla Banca d’Italia, singolarmente considerate, non sono illegittime, ma lo diventano nel momento in cui siano compresenti in uno schema contrattuale unilateralmente predisposto e uniformemente adottato da tutte le banche, in modo che non vi sia modo per il cliente di sottrarsi a uno schema contrattuale relativo alla fideiussione omnibus eccessivamente penalizzante per chi assume la veste di fideiussore. Al contempo, il caso esaminato dalle Sezioni Unite con la suddetta pronuncia riguardava una fideiussione omnibus stipulata nel 2006, vale a dire l’anno successivo al provvedimento sanzionatorio dell’attività anticoncorrenziale adottato (nel maggio 2005) dalla Banca d’Italia, quando le banche non avevano ancora predisposto modelli contrattuali diversi e utilizzavano ancora quello sanzionato dalla Banca d’Italia con il più volte richiamato provvedimento n. 55/2005.
In altri termini, la decisione in questione si fonda sulla presunzione che, a quell’epoca, le banche ancora utilizzassero il modello sanzionato e non avessero adattato la modulistica in ragione del provvedimento sanzionatorio sopra richiamato. A prescindere dalla condivisibilità di tale impostazione, in ogni caso la sentenza delle Sezioni Unite sopra richiamata non è in contrasto con la stessa quanto sopra ritenuto da questo giudicante, vale a dire che nei giudizi aventi ad oggetto la dichiarazione di nullità dei contratti o delle clausole sanzionate dalla Banca d’Italia con il provvedimento n. 55/2005 (ed eventualmente il risarcimento del danno per violazione della legge n. 287/1990), occorra verificare se, avuto riguardo anche al profilo temporale, la fideiussione contestata sia riconducibile a un’intesa anticoncorrenziale sanzionata con il provvedimento in questione o se detta intesa perduri a
distanza di anni dal suddetto provvedimento, in quanto riproducente uno schema uniformemente adottato dalle banche per la stipulazione dei contratti di fideiussione omnibus, senza che residui alcuno spazio di libertà contrattuale per il singolo cliente di accordarsi con la banca a condizioni contrattuali meno penalizzanti, stante appunto l’adozione generalizzata del suddetto schema da parte degli istituti di credito, alla cui approvazione incondizionata sia subordinata la concessione di un finanziamento.
Esclusa la nullità della clausola di cui all’art. 6 del contratto di fideiussione sottoscritto in data 29.3.2019 per violazione della disciplina antitrust, deve essere esaminata la nullità della stessa previsione alla luce della disciplina consumeristica. Infatti, censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ‘la contestata clausola derogatoria dell’art. 1957 c.c. non si pone affatto in contrasto con il citato art. 33 dlgs 206/2005’.
In particolare, l’appellante ha dedotto che ‘il parametro di valutazione della vessatorietà di una clausola nell’alveo del codice del consumo non può essere il medesimo di quello riferito a clausole contenute in condizioni generali, così come la ‘doppia sottoscrizione’ salva e rende valida la clausola vessatoria apposta in condizioni generali di contratti conclusi mediante moduli e/o formulari ma non quella nel rapporto professionista/consumatore poiché non assolve all’onere della prova della ‘specifica trattativa’ normativamente richiesta’. E che, invece, la clausola derogativa dell’art. 1957 c.c. sarebbe secondo l’orientamento della giurisprudenza di merito – abusiva in quanto in contrasto con l’art. 33 del d.lgs. n. 206/2005.
Il motivo deve essere accolto.
3.1. Questo giudicante presta adesione all’orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 28.9.2023, n. 27558) motivato come di seguito riportato:
‘nel derogare in termini più ampi il termine di 6 mesi successivo alla scadenza dell’obbligazione principale previsto all’art. 1957 c.c. viene prolungato il tempo in cui la Banca può agire non solo verso l’obbligato principale ma anche nei confronti del fideiussore, titolare di obbligazione accessoria a quella dell’obbligato principale, il quale rimane anch’esso obbligato verso la garantita Banca. Una siffatta clausola si appalesa allora senz’altro deponente per l’assoggettamento del fideiussore ad una disciplina astrattamente idonea a configurare il significativo squilibrio a danno del
consumatore di cui all’art. 1469 bis c.c., spettando peraltro al giudice di merito verificarne l’effettiva integrazione nel caso concreto avuto riguardo al tenore dello stipulato contratto, allorquando come nella specie tale clausola risulti non essere stata oggetto di specifica trattativa comportante l’esclusione dell’applicazione della disciplina di tutela in argomento, successivamente rifluita nel Codice del consumo ( d. lgs 6 settembre 2005, n. 206) (v. Cass., 15/10/2019, n. 25914; Cass., 8/7/2015, n. 14288; Cass., 17 20/3/2010, n. 6802; Cass., 26/9/2008, n. 24262. Cfr. altresì Cass., 28/6/2005, n. 13890). Disciplina che come questa Corte ha già avuto più volte modo di sottolineare si affianca a quella -altra e diversa ma concorrente – ex artt. 1341, 2° co., 1342 c.c. in tema di clausole onerose nelle condizioni generali di contratto, relativa a contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti (v. Cass., 15/10/2019, n. 25914; Cass., 8/7/2015, n. 14288; Cass., 20/3/2010, n. 6802).
La disciplina di tutela del consumatore posta dal d.lgs. n. 206 del 2005 – c.d. Codice del consumo – (e già agli artt. 1469 bis ss. c.c.), che può invero riguardare anche il singolo rapporto, è funzionalmente volta a tutelare il consumatore a fronte della unilaterale predisposizione ed imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso, sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, nella sua fondamentale espressione rappresentata dalla libertà di determinazione del contenuto del contratto. Con conseguente alterazione, su un piano non già solamente economico, della posizione paritaria delle parti contrattuali idoneo a ridondare, mediante l’imposizione del regolamento negoziale unilateralmente predisposto, sul piano dell’abusivo assoggettamento di una di esse (l’aderente) al potere (anche solo di mero fatto) dell’altra (il predisponente) (v. Cass., 26/9/2008, n. 24262). Evidente è pertanto come, sia mediante la unilaterale predisposizione di moduli o formulari in vista dell’utilizzazione per una serie indefinita di rapporti (artt. 1341, 2° co., 1342 c.c.) sia in occasione della stipulazione di un singolo contratto redatto per uno specifico affare, mediante l’unilaterale predisposizione ed imposizione del relativo contenuto negoziale, il professionista può invero affermare la propria autorità (di fatto) contrattuale sul consumatore. La lesione dell’autonomia privata del consumatore, riguardata sotto il segnalato particolare aspetto della libertà di determinazione del contenuto dell’accordo, fonda allora sia nell’una che nell’altra
ipotesi l’applicazione della disciplina di protezione in argomento (v. Cass., 20/3/2010, n. 6802)’.
3.2. rivestiva la qualità di consumatore al momento della sottoscrizione del contratto di fideiussione in data 29.3.2019.
La nozione di ‘consumatore’ contenuta nell’art. 3, co. 1, lett. a), del d.lgs. 6.9.2006, n. 206 (‘Codice del consumo’) si incentra sulla finalità dell’azione del soggetto, la quale deve essere indirizzata verso scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale, con l’eliminazione dell’originaria previsione (inserita nell’art. 6 della legge 27.1.2012, n. 6 dal d.l. 28.10.2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18.12.2020, n. 176) secondo la quale i debiti devono avere fonte esclusivamente in finalità estranee a dette attività.
Con riguardo al riconoscimento della qualifica di ‘consumatore’ alla persona fisica che si sia indebitata per avere prestato garanzia a favore di una società commerciale, dopo un iniziale orientamento della giurisprudenza di legittimità contrario sul presupposto che ‘è all’obbligazione garantita che deve riferirsi il requisito soggettivo della qualità di consumatore, ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore (…), attesa l’accessorietà dell’obbligazione del fideiussore rispetto all’obbligazione garantita’ (cfr. Cass. civ., Sez. III, 29.11.2011, n. 25212; Cass. civ., Sez. I, 9.8.2016, n. 16827), quello attuale ritiene come il giudice debba determinare se una persona fisica abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale nell’ambito della sua attività professionale, e quindi non quale consumatore, o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima, o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, ovvero se abbia agito per scopi di natura privata, con il corollario che solo in tale ultimo caso gli può essere riconosciuta la qualifica di ‘consumatore’ (cfr. Cass. civ., SS.UU., ord. 27.2.2023, n. 5868; Cass. civ., Sez VI-1, ord. 24.1.2020, n. 1666; Cass. civ., Sez. VI-1, ord. 16.1.2020, n. 742; Cass. civ., Sez. III, ord. 13.12.2018, n. 32225).
Con tale più recente orientamento, la giurisprudenza di legittimità si è conformata alla giurisprudenza della C.G.U.E., la quale dapprima ha riconosciuto l’applicabilità della Direttiva del Consiglio CEE n. 93/13 (concernente le
clausole abusive nei contratti stipulati con il consumatore) al contratto di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha assunto nei confronti della banca, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la società garantita (cfr. C.G.U.E. 19.11.2005, causa C-74/15 Tarcau contro ); e, successivamente, ha statuito che la nozione di ‘consumatore’ contenuta nell’art. 2, lett. b), della Direttiva n. 93/13 ha carattere oggettivo e deve essere valutata tuale rientri nell’ambito delle attività estranee all’esercizio di una professione
alla luce di un criterio funzionale volto ad analizzare se il rapporto contrat(cfr. sentenza , C0110/14, EU:C:2015:538, punto 21).
Secondo la Banca appellata, l’originaria parte opponente, per dimostrare di rivestire la qualifica di consumatore, assume soltanto di essere sposata in regime di separazione dei beni con il debitore principale – pacificamente imprenditore commerciale – e di avere concesso la garanzia per la sola ragione del rapporto di coniugio, restando estranea all’attività del marito.
Se è vero che la prova della qualità di consumatore spetta a chi la allega (cfr. Cass. civ., S.U., 18.9.2020, n. 19597; Cass. civ., Sez. III, 11.10.2024, n. 26525), nel caso in esame la moglie dell’imprenditore individuale, sposata in regime di separazione dei beni, non aveva altro onere di allegazione e prova. Non si è in presenza di un socio che presti la propria garanzia in favore della società commerciale alla cui compagine sociale appartiene: in questo caso, infatti, l’onere di allegazione, ancora prima che di prova, si atteggia inevitabilmente in modo differente.
In particolare, non assume alcuna rilevanza la circostanza – che pure l’odierna appellante ha chiesto e chiede di poter provare per testimoni – per cui la stessa ‘nel periodo dal 2017 ad oggi la signora ha svolto e svolge unicamente attività professionale di donna delle pulizie a chiamata, nonché venditrice di prodotti marchio RAGIONE_SOCIALE. A fronte della mancata allegazione – il cui onere gravava sulla Banca opposta – dell’esistenza di una partecipazione di all’attività di impresa svolta dal marito, partecipazione che non è possibile evincere da alcuno degli elementi in atti, alcun
onere della prova ulteriore, a fronte dell’allegazione della qualità di consumatore, gravava sull’odierna appellante.
4. Con il terzo motivo di appello si deduce, poi, che il giudice di primo grado ha errato nel non pronunciarsi (in quanto ritenuti motivi assorbiti) sull’avvenuta decorrenza del termine previsto dall’art. 1957 c.c. In particolare, parte appellante deduce che tra la data di intimazione al rientro totale (1°.2.2022) dell’obbligazione garantita, che sarebbe scaduta il 1°.9.2020 e poi prorogata al 31.12.2021, e quella della introduzione del ricorso monitorio (6.4.2023), fossero decorsi ben quindici mesi.
Il motivo deve essere esaminato, essendo stata accertata la nullità della previsione di cui all’art. 6 del contratto di fideiussione sottoscritto da , ed è fondato.
4.1. Anche qualora non si volesse ritenere nulla la previsione suddetta in applicazione della normativa in materia consumeristica, e sull’assunto che
abbia agito quale consumatrice nel garantire le obbligazioni contratte dal marito nei confronti della
nell’esercizio della sua attività di impresa (gestione pompe di benzina in Roma, INDIRIZZO, merita censura la statuizione da parte del giudice di primo grado in ordine al non superamento del termine di sei mesi per l’esercizio delle azioni giudiziali.
Come ha eccepito l’odierna appellante nel proporre opposizione ex art. 645 c.p.c., il termine semestrale imposto dall’art. 1957 c.c. è decorso considerata la data della richiesta di rientro inviata dalla Banca al proprio correntista (1°.2.2022). Infatti, il ricorso introduttivo del procedimento monitorio è stato depositato il 6.4.2023.
La Banca appellata deduce che, in realtà, nell’apertura di credito o nel conto corrente il dies a quo ‘inizierà dalla chiusura del conto’ (citando Trib. Lecce, sent. 20.1.2022, n. 156) o, in altri termini, ‘quando la banca ha comunicato, sia pure implicitamente il suo recesso dal rapporto’ (citando Corte di Appello Milano, sent. 18.3.2021, n. 890). E rileva che, nel caso di specie, la
non ha mai compiuto tale attività, come si evince anche dall’estratto conto depositato nella fase monitoria, che ancora riporta il saldo del rapporto al 31.12.2022 (v. doc. n. 3 del fascicolo di parte appellata – procedimento monitorio – primo grado di giudizio).
In verità, tale deduzione di parte appellante si fonda sull’equivoco tra permanere del rapporto di conto corrente bancario, che effettivamente non risultava chiuso al momento dell’esercizio dell’azione giudiziale (come dimostra l’estratto conto in data 31.12.2022), e la scadenza dell’obbligazione derivante dall’apertura di credito in conto corrente, il titolo azionato in sede monitoria: è in ragione dell’esistenza di un apertura di credito che sussisteva lo scoperto di conto corrente, e quindi il debito, dell’obbligato principale. Come si evince chiaramente dalla raccomanda a.r. in data 1°.2.2022, che la Banca appellata dichiara di avere inviato al debitore principale indicato come primo destinatario in calce alla stessa, l’apertura di credito concessa a valere sul rapporto di conto corrente n. 19898 intestato ad era temporanea ed è venuta a scadere il 1°.9.2020, quindi prorogata al 31.12.2021 ai sensi dell’art. 56 del c.d. d.l. Cura Italia.
In altri termini, se è vero che il rapporto di conto corrente non era cessato, ed era dunque ancora in essere almeno al 31.12.2022, e quindi nei sei mesi prima dell’avvio dell’azione giudiziale di recupero del credito, non lo era più il rapporto di apertura di credito, che era invece scaduto. Ne consegue che il credito per scoperto di conto corrente, fino al 31.12.2021 fondato su un contratto di apertura di credito (seppure soggetto a disciplina speciale, come si è detto), a partire dal 1°.1.2022 era sicuramente scaduto e, da quella data, la aveva diritto di richiedere
l’integrale rientro del proprio credito al creditore principale ed anche al fideiussore di questo.
4.2. L’odierna appellata ha agito nei confronti dei suoi debitori – sia del debitore principale sia della garante dello stesso – soltanto in data 6.4.2023, con il deposito del ricorso ex art. 633 c.p.c. con cui è stata chiesta l’emissione dell’ingiunzione di pagamento opposta. Secondo l’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità – necessariamente ‘giudiziale’, vale a dire con il ricorso a un mezzo di tutela processuale, volto ad ottenere, in via di cognizione o esecutivamente, secondo le forme e nei modi di legge, l’accertamento ed il soddisfacimento delle pretese del creditore (cfr. Cass. civ., Sez. I, 22.7.1976, n. 2898; Cass. civ., Sez. III, 14.7.1994, n. 6604; Cass. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6823; Cass. civ., Sez. II, 29.1.2016, n. 1724), indipendentemente dal loro esito e dalla loro concreta idoneità a sortire il risultato sperato (cfr. Cass. civ., Sez. II, 29.9.2016, n. 1724; Cass. civ., Sez. III, 18.5.2001,
n. 6823; Cass. civ., Sez. L, 11.1.1997, n. 203; Cass. civ., Sez. III, 14.7.1994, n. 6604).
Si deve ritenere, allora, che la
avendo agito a tutela del proprio credito oltre il termine di sei mesi previsto dall’art. 1957 c.c., sia decaduta dal far valere il proprio diritto nei confronti dell’odierna appellante, che ha prestato fideiussione a garanzia delle obbligazioni assunte dal marito con il contratto di apertura di credito in conto corrente.
5. In conclusione, l’appello proposto da avverso la sentenza n. 5631/2024 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, il 28.3.2024 deve essere accolto e, per l’effetto, in integrale riforma di tale decisione deve essere revocato nei confronti della sola odierna appellante il decreto ingiuntivo opposto e deve essere rigettata la domanda di condanna proposta nei suoi confronti dalla
con il ricorso ex art. 633 c.p.c. del 30.3.2013.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo, e devono essere distratte in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosene antistatario ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra difesa, eccezione e istanza, anche istruttoria, disattesa, così provvede:
accoglie l’appello proposto da avverso la sentenza n. 5631/2024 emessa dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, il 28.3.2024 e, per l’effetto, in integrale riforma di tale decisione:
o revoca il decreto ingiuntivo n. 968/2023 emesso dal Tribunale di Roma in data 24.5.2023 esclusivamente nei confronti di ;
o rigetta la domanda di condanna proposta dalla
nei confronti di
633 c.p.c. depositato in data 30.3.2023;
o condanna la
a rimborsare a le spese del primo grado di giudizio, che liquida in € 14.103,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m.
con il ricorso ex art.
10.3.2014, n. 55), I.V.A. (qualora dovuta) e C.P.A. nella misura di legge, da distrarre in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosene antistatario;
condanna la a rimborsare
a le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 9.991,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. (qualora dovuta) e C.P.A. nella misura di legge, da distrarre in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosene antistatario.
Roma, 19.5.2025
IL GIUDICE EST. NOME COGNOME
IL PRESIDENTE NOME COGNOME