Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20029 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20029 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
Affitto d’azienda Mancato pagamento del canone -Inadempimento -Rilascio tardivo -Indennità di occupazione -Risarcimento danni
ad. 17.4.2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13793/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME , la prima in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrenti -ricorrenti incidentali –
per la cassazione della sentenza n. 1563/2021 della CORTE d’APPELLO di Salerno pubblicata l’1.12.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
la Società RAGIONE_SOCIALE (in seguito indicata come RAGIONE_SOCIALE) evocava dinanzi al Tribunale di Vallo della Lucania la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE) e NOME COGNOME.
Esponeva la ricorrente che aveva concesso in affitto a RAGIONE_SOCIALE il complesso aziendale comprensivo di capannone e attrezzature per il canone annuo di euro 100.000,00 da pagarsi in rate semestrali posticipate e che a garanzia di tutte le obbligazioni si era costituito fideiussore NOME COGNOME. A causa dell’omesso pagamento del canone per il primo semestre del secondo anno, a eccezione del versamento di euro 20.000,00, e di ulteriori inadempimenti, aveva ottenuto in data 24.09.2012 un provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ. di rilascio immediato del complesso aziendale, eseguito coattivamente solo in data 21.12.2012. Successivamente, aveva proposto un procedimento ex art. 696bis cod. proc. civ. per la quantificazione dei danni riscontrati al complesso aziendale, provvedendo, poi, a lo care l’azienda ad altra società, seppur per il minor canone di euro. 55.000.00 annui;
Tanto premesso la ricorrente chiedeva la condanna di RAGIONE_SOCIALE e del De Feo al pagamento solidale di euro 58.111,95 a titolo di canoni non pagati al 17.04.2012; di euro 67.945,21 a titolo di risarcimento dei danni da illegittima detenzione dell’azienda dopo l’ordinanza di rilascio e per il mancato utilizzo della stessa nella stagione castanicola del 2012; di euro 44.860,00 per i danni all’azienda come accertati in sede di ATP, nonché alle spese del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. e della fase di rilascio, nonché di quelle del giudizio.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME nel costituirsi eccepivano l ‘ inoperatività della fideiussione azionata e chiedevano il rigetto delle domande svolte.
Con sentenza n. 72/2020 il Tribunale di Vallo della Lucania accoglieva parzialmente le domande e condannava RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, in solido fra loro, al pagamento di euro 126.057,16 oltre gli interessi dalla domanda, e la sola RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro
44.886,00, oltre interessi e rivalutazione, nonché i convenuti in solido fra loro al pagamento dei due terzi delle spese di giudizio, del procedimento ex art. 696bis cod. proc. civ. e della consulenza tecnica d’ufficio ivi espletata.
La Corte d’Appello di Salerno con sentenza n. 1563/2021, pubblicata l’1.12.2021, rigettato l’appello svolto da RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE.: a) rideterminava g li interessi moratori ex art. 5 D.lgs. n. 231/2002 sull’importo di euro 58.111,95 (canoni non pagati) dal 17.04.2012 al soddisfo, e sulla somma di euro 67.945,21 (danni per illegittima detenzione) gli interessi moratori dal 20.09.2012 al soddisfo; b) disponeva, quanto a ll’importo di euro 44.860,00 (danni all’azienda), la rivalutazione da l 16.07.2013 al deposito della sentenza di primo grado e la maggiorazione per gli interessi legali sulla somma via via rivalutata sino al soddisfo; c) compensava per 1/3 le spese del grado per l’accoglimento solo parziale dell’appello incidentale e condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei residui 2/3, liquidati per l’intero in euro 777 per esborsi ed euro 3.235,00 per compenso professionale.
Notava la Corte d’appello, quanto all’impugnazione principale, che RAGIONE_SOCIALE aveva provato la fonte contrattuale del credito e senza che fosse mai stato contestato il regolare adempimento del contratto, avendo addotto i convenuti difficoltà produttive legate al clima e l’esistenza di uno stato di crisi aziendale, sì che correttamente il Tribunale aveva provveduto al computo dei canoni dovuti e dell’ammontare dei danni conseguenti al tardivo rilascio dell’azienda e al mancato utilizzo per la stagione castanicola 2012.
Quanto alle doglianze sollevate dal fideiussore, osservava la Corte d’appello che :
-non ricorreva la nullità per violazione dell’art. 1938 cod. civ. per la mancata predeterminazione dell’importo massimo garantito, allorquando, come nel caso trattato, nel testo contrattuale siano presenti ‘indici certi e non opinabili’ con i quali è possibile precisare esattamente
la prestazione dedotta, per essere predeterminati l’importo dei canoni e la durata del contratto; pertanto, l’oggetto della garanzia era determinabile per relationem ;
-la preventiva escussione del debitore principale non era condizione necessaria, perché non prevista in contratto;
-era infondata l’eccezione di estinzione ex art. 1956 cod. civ., perché non provata la consapevolezza da parte dell’affittante del peggioramento delle condizioni economiche dell’affittuario e la prima aveva tempestivamente azionato il rilascio a seguito del mancato pagamento del semestre anticipato;
-la condanna del garante alla rifusione delle spese del procedimento ex art. 696bis cod. proc. civ., non regolabili in quella sede, era stata disposta correttamente all’esito del giudizio di merito .
La Corte d’appello accoglieva l’impugnazione incidentale proposta da RAGIONE_SOCIALE:
-quanto alla decorrenza degli interessi moratori sui canoni e sull’indennità per ritardata restituzione, riconosceva dovuti quelli ex art 5 D.Lgs. 231/2002 dal 17.4.2012 per il canone non pagato e dal 20.9.2012 (data fissata per il rilascio) quanto all’indennità per ritardato rilascio;
-riguardo all’analoga doglianza su quanto riconosciuto a titolo di risarcimento del danno, la somma indicata dal C.T.U. al 16.7.2013 doveva essere rivalutata sino alla data del deposito della sentenza di primo grado e maggiorata degli interessi sulla somma via via rivalutata. L a Corte d’appello rigettava i restanti motivi dell’appello incidentale sulla base dei seguenti rilievi:
-l’ esclusione della garanzia del fideiussore per i danni procurati al complesso aziendale era stata determinata dal fatto che la fideiussione era stata prestata per il solo pagamento dei canoni;
-la garanzia prestata non avrebbe potuto includere il risarcimento dei danni, trattandosi di eventi incerti, futuri e imprevedibili;
-l’ esclusione della condanna del garante alle spese del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. e della procedura esecutiva era derivata dalla non riconducibilità di esse alla fideiussione e alla circostanza che la loro liquidazione, già effettuata nei relativi giudizi, avrebbe comportato una illegittima duplicazione di titoli.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre RAGIONE_SOCIALE, sulla base di cinque motivi. RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno risposto con controricorso ed hanno svolto ricorso incidentale, sulla base di due motivi. RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ‘P arziale omessa pronuncia sul terzo motivo di appello incidentale ‘ .
La ricorrente rileva che con il terzo motivo d’appello incidentale aveva censurato la sentenza del primo grado sia in ordine alla decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi e relativa misura, sia quanto all’importo riconosciuto a titolo di risarcimento danni. La Corte d’appello , pur accogliendo il motivo, ha statuito che la somma indicata dal C.T.U. al 16.7.2013 doveva essere rivalutata sino alla data del deposito della sentenza di primo grado, maggiorata degli interessi sulla somma via via rivalutata. Tuttavia, la Corte d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla misura degli interessi, che a far data dalla domanda vanno riconosciuti nella misura stabilita dall’art. 1284 , quarto comma, cod. civ. e non dell’1,5% come sostenuto dal Tribunale.
1.1. Il motivo è infondato.
Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., Sez. I, 13 giugno 1972, n. 1853; Cass., Sez. V, 16 maggio 2012, n. 7653; Cass., Sez. VI-5, 27 novembre 2017, n. 28308; sez. 6-I, 16 luglio 2018, n. 18797), mentre, nel caso del motivo d’appello, deve trattarsi di uno dei fatti costitutivi della «domanda» di appello (v. Cass. 22 gennaio 2018, n. 1539).
Poiché, dunque, il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronunzia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (v. Cass., Sez. II, 21 aprile 1976, n. 1397; più di recente Cass., sez. II, 12 luglio 2024, n. 19241), non ricorre la violazione di tale disposizione allorché si lamenti che il giudice nello scrutinio del motivo abbia omesso di pronunciare su una parte di esso qualora venga in rilievo una questione connessa a una tesi difensiva che può ritenersi esaminata e decisa implicitamente (v. Cass., sez. I, 28 marzo 2014, n. 7406; Cass., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 25154; 15 aprile 2019, n. 10422; 16 ottobre 2024, n. 26913; 9 dicembre 2024, n. 31684).
Nella specie , la Corte d’appello nell’esame del motivo in ordine alla decorrenza della rivalutazione monetaria e degli interessi quanto all’importo riconosciuto a titolo di risarcimento danni, ha implicitamente confermato la statuizione del giudice del Tribunale che aveva riconosciuto gli interessi nella misura dell’1,5% . Né, tantomeno, poiché il tenore del motivo non lo consente, sarebbe possibile uno scrutinio nel senso della prospettazione di un error in iudicando nell’applicazione dell’art. 1284, comma quarto, cod.
civ. in relazione alle obbligazioni di valore da risarcimento del danno: al riguardo si rileva che nell’illustrazione non vi è (non bastando quanto enunciato assertoriamente nelle ultime quattro righe della pag. 7 e nel primo della seguente) alcuna attività argomentativa al riguardo, diretta ad individuare -al di là dell’intestazione del motivo e della pregressa attività illustrativa, tese ad argomentare il preteso vizio ex art. 112 cod. proc. civ. -le ragioni della suddetta censura in iure , riconducibile al paradigma dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Sicché questa Corte non può riconvertire il motivo applicando il principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013.
Con il secondo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., v iolazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 cod. civ. e degli articoli 1362 cod. civ. e seguenti in relazione all’art. dell’art. 360, comma primo, n . 3, cod. proc. civ. ‘O messa pronuncia sul quarto motivo di appello incidentale ‘.
La ricorrente deduce di aver impugnato la sentenza del Tribunale affinché il fideiussore fosse condannato anche al pagamento dell’importo di euro 44.860,00 liquidato a titolo di risarcimento del danno. Il Tribunale, con statuizione passata in giudicato, aveva accertato che il De Feo con l’art. 7 del contratto aveva rilasciato fideiussione a garanzia non solo del canone, ma anche ‘ di tutte le altre obbligazioni scaturenti dal presente contratto’ , così evidenziando che la garanzia comprendesse anche il risarcimento dei danni al patrimonio aziendale, tuttavia con riferimento a tale oggetto ha ritenuto l’invalidità della clausola in quanto afferente ad obbligazioni non determinabili nemmeno per relationem in violazione dell’art. 1938 cod. civ.
La Corte d’appello sul punto ha affermato che: ‘La esclusione della garanzia del fideiussore per i danni procurati al complesso aziendale è stata determinata dalla circostanza che la fideiussione è stata prestata in relazione al solo adempimento nel pagamento dei canoni di fitto. Né, peraltro, la stessa può ritenersi inclusa nella garanzia prestata, come
dedotto dall’appellante incidentale, trattandosi di eventi incerti, futuri e imprevedibili e, come tali, non riconducibili alla fideiussione prestata ‘ .
La sentenza, secondo la ricorrente, si limita solo a riferire cosa abbia determinato l ‘ esclusione della garanzia del fideiussore e a spiegare perché la domanda è stata rigettata. Da tanto deriverebbe la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., poiché un motivo di gravame non è proposto per ottenere una spiegazione, peraltro errata.
Quand’anche volesse ritenersi che la Corte d’appello abbia esplicitato le ragioni di rigetto del motivo di impugnazione sul rilievo che la garanzia afferisse solo ai canoni e non ai danni, risulterebbe la violazione del giudicato interno e nuovamente dell’art. 112 cod. proc. civ. e, comunque, degli artt. 1362 cod. civ. e ss., poiché il Tribunale aveva accertato il perimetro dell’art. 7 del contratto , ma ne aveva escluso la validità con riferimento ai danni. L’accertamento del Tribunale sul perimetro della garanzia non era stato censurato in appello e la piana interpretazione dell’art. 7 (‘di tutte le altre obbligazioni scaturenti dal presente contratto’) porta a includere anche quelli che la corte territoriale ha ritenuto ‘eventi incerti, futuri e imprevedibili ‘, mentre dalla garanzia sarebbero state escluse solo le obbligazioni ‘che non scaturiscono dal contratto di affitto d’azienda’.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Il motivo, nuovamente, è privo di fondamento quanto alla deduzione -ripetuta due volte nell’intestazione del vizio ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., atteso che la stessa illustrazione non deduce tale vizio nei termini già indicati a proposito del primo motivo, ma lamenta in realtà un erroneo esame del motivo di appello.
In disparte l’inconciliabil ità sul piano logico tra la dedotta omessa pronuncia e la contestuale doglianza in termini di violazione di legge, la Corte d’appello , comunque, non è incorsa nel vizio di omessa pronuncia, avendo espressamente ‘spiegato’ la ragione per la quale ha conferma to la pronuncia del Tribunale in ordine alla non includibilità nell’ambito della
garanzia anche dell’obbligazione da risarcimento del danno , là dove ha affermato: ‘La esclusione della garanzia del fideiussore per i danni procurati al complesso aziendale è stata determinata dalla circostanza che la fideiussione è stata prestata in relazione al solo adempimento nel pagamento dei canoni di fitto. Né, peraltro, la stessa può ritenersi inclusa nella garanzia prestata, come dedotto dall’appellante incidentale, trattandosi di eventi incerti, futuri e imprevedibili e, come tali, non riconducibi li alla fideiussione prestata’ (pagina 12 , primo e secondo capoverso).
La Corte d’appello ha esaminato il motivo di appello ed ha esplicitato il percorso logicoargomentativo e, quindi, ha ‘spiegato’ la ragione del rigetto del motivo d’appello, considerato che sul piano lessicale ‘spiegare’ significa rendere intelligibile un enunciato e, quindi, dar conto di una determinat a affermazione. Se poi detta ‘spiegazione’ non appaia sufficientemente articolata, sarebbe stato necessario prospettare un vizio della motivazione , ma nella prospettiva della novella dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. di riduzione entro la soglia del c.d. «minimo costituzionale» (v. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
D’altro canto la stessa rico rrente ammette che si possa ritenere che la Corte d’appello abbia esplicitato le ragioni di rigetto del motivo di impugnazione sul rilievo che la garanzia afferisse solo ai canoni e non ai danni, ma questo, a suo dire, sarebbe avvenuto in violazione del giudicato interno e nuovamente dell’art. 112 cod. proc. civ. e, comunque, degli artt. 1362 cod. civ. e ss.
2.2. Deve essere ricordato che secondo il costante orientamento di questa Corte, l’interpretazione del contratto, consistendo in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o
per violazione delle regole ermeneutiche; ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati.
Il sindacato di legittimità deve avere a oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti e non può investire il risultato interpretativo in sé, bensì solo l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v. Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; 1° aprile 2011, n. 7557; 14 febbraio 2012, n. 2109; 10 febbraio 2015, n. 2465; 26 maggio 2016, n. 10891; 29 luglio 2016, n. 15763; 5 dicembre 2018, n. 31512; 12 maggio 2020, n. 8810; 2 luglio 2020, n. 13620; sez. un., 21 gennaio 2021, n. 2061).
Pertanto, al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (v., Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; 11 marzo 2014, n. 5595; 27 febbraio 2015, n. 3980; 19 luglio 2016, n. 14715).
Per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; 7 marzo 2007, n. 5273; Cass. 3
settembre 2010, n. 19044). Si consideri ancora che le norme esegetiche sono pure indicate senza alcuna specificazione, sicché -al di là della carenza di spiegazione specifica -nemmeno si sa quali esse siano. Dovrebbe la Corte ricercare a che cosa corrisponda la volontà censoria della ricorrente. In particolare, nelle argomentazioni svolte dalla pag. 10 sino alla chiusura dell’illustrazione del motivo nulla si scorge al riguardo.
2.3. Quanto alla violazione del giudicato interno, non si comprende e non si spiega come e perché alla frase del t ribunale evocativa dell’art. 7 del contratto si dovrebbe attribuire il significato di averne dato un’esegesi nel senso postulato dalla ricorrente, sì da vietare al giudice di appello dal darne la propria: è sufficiente il rilievo che la mera ripetizione del contenuto della clausola non rivela alcuna motivazione interpretativa, ma ripete il tenore della clausola.
Ancora: a confutazione della ricostruzione offerta della ratio decidendi contenuta nella sentenza di primo grado, la stessa ricorrente ha riferito che ‘ gli appellanti, come già segnalato sopra alle pagine 4-5, hanno messo in discussione la decisione di primo sotto ogni profilo di merito e basti considerare che il De Feo aveva chiesto l’integrale riforma della sentenza di primo grado che lo condannava al p agamento di oltre € 126.000 oltre accessori’ (pagina 19 del rico rso, da riga 4 a riga 7). È evidente che nessun giudicato si era formato sull’interpretazione della clausola in questione.
Con il terzo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ‘O messa pronuncia sul quinto motivo di appello incidentale ‘.
La ricorrente con il quinto motivo d’appello incidentale deduce di aver chiesto che, in riforma della sentenza di primo grado, il fideiussore fosse condannato al pagamento delle spese liquidate dal Tribunale all’esito del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ. proposto per ottenere il rilascio e di quelle liquidate dal giudice dell’esecuzione all’esito dell’esecuzione per rilascio. La Corte d’appello ha affermato che ‘La esclusione della condanna del garante alle spese del procedimento ex art. 700 c.p.c. e della procedura
esecutiva è conseguita alla non riconducibilità di tali spese alla fideiussione e alla circostanza che la loro liquidazione, già effettuata nei relativi giudizi, avrebbe comportato una illegittima duplicazione di titoli’ ( pagina 12, terzo capoverso).
La ricorrente si duole che la sentenza impugnata anziché pronunciarsi sulla censura, si è limitata a spiegare perché la domanda in questione sia stata rigettata dal Tribunale. Con il che risulterebbe palese la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., perché il motivo di appello richiedeva non la spiegazione del perché la domanda era stata respinta ma una pronuncia sulla censura.
3.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello non è incorsa nel vizio di omessa pronuncia, avendo espressamente ‘spiegato’ la ragione per la quale ha ritenuto di dover confermare la pronuncia del Tribunale in ordine alla mancata condanna del fideiussore al pagamento delle spese liquidate dal Tribunale all’esito del procedimento ex art. 700 cod. proc. civ., proposto per ottenere il rilascio, e di quelle liquidate dal giudice dell’esecuzione all’esito dell’esecuzione per rilascio.
La Corte d’appello ha affermato che ‘La esclusione della condanna del garante alle spese del procedimento ex art. 700 c.p.c. e della procedura esecutiva è conseguita alla non riconducibilità di tali spese alla fideiussione e alla circostanza che la loro liquidazione, già effettuata nei relativi giudizi, avrebbe comportato una illegittima duplicazione di titoli’ (pagina 12, terzo capoverso).
La Corte d’appello ha esaminato il motivo di appello ed ha esplicitato il percorso logicoargomentativo e, quindi, ha ‘spiegato’ la ragione del rigetto del motivo d’appello . Come già detto, in una diversa prospettiva, non percorsa in questa sede dalla ricorrente, qualora ritenuta «sotto soglia» la motivazione resa, si sarebbe imposta la prospettazione di un vizio di motivazione.
Con il quarto motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ. , violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ‘O messa pronuncia sul sesto motivo di appello incidentale ‘.
La ricorrente rappresenta che con il sesto motivo d’appello incidentale aveva chiesto che ai compensi liquidati per il primo grado di giudizio e per l’ATP fosse applicato l’aumento del 30% ai sensi dell’art. 4, comma 2, D.M. 55/2014, nonché la riforma della parziale compensazione delle spese senz’altro nei confronti di RAGIONE_SOCIALE perché totalmente soccombente, e comunque nei confronti del De Feo in caso di accoglimento dell’appello incidentale.
La Corte di merito ha dato atto che l’appellante si è doluta de ‘la mancata considerazione dell’aumento previsto in tema di liquidazione per la posizione di più parti’ ( pagina 5, righe da 5 a 7), ma poi ha pronunciato soltanto sulla parziale compensazione delle spese ed ha affermato : ‘Le spese di lite, infine, sono state correttamente compensate in ragione di 1/3, in virtù dell’accoglimento solo parziale delle domande proposte dalla società RAGIONE_SOCIALE ( pagina 12, righe da 11 a 12).
Secondo parte ricorrente sarebbe stata omessa, pertanto, la pronuncia sulla dedotta violazione dell’art. 4, comma 2, D.M. 55/2014, e quanto alla violazione dell’art. 92 c.p.c. la Corte d’Appello si è limitata a spiegare le ragioni della sentenza appellata senza pronunciarsi sulla censura.
4.1. Il motivo è infondato.
Quanto al profilo della compensazione delle spese del primo grado, la Corte d’appello si è pronu nciata ed ha valutato come corretta la disposta compensazione delle spese di lite nella misura di 1/3 ‘in virtù dell’accoglimento solo parziale delle domande proposte dalla società RAGIONE_SOCIALE Nuovamente parte ricorrente pretende di denunciare come omessa pronuncia un dissenso dalla motivazione, tra l’altro esposto genericamente e come tale non riconvertibile.
In relazione alla questione dell’aumento delle competenze ex a rt. 4, comma secondo, D.M. 55/2014 deve ritenersi intervenuta una pronuncia di implicito rigetto, posto che tale norma prevede che ‘Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può (…) essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell ‘avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti’ . Infatti, nella versione, applicabile ratione temporis , a seguito delle modifiche disposte dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37, è stata espunta l’espressione ‘di regola’ presente nella versione originaria, rimanendo, pertanto, solo la facoltà di disporre il predetto aumento senza il vincolo alla discrezionalità previsto inizialmente.
Con il quinto motivo si denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e del D.M. 55/2014 e s.m.i.
La ricorrente censura la sente nza della Corte d’appello per aver liquidato le spese in euro 777,00, i compensi in euro 3.235,00 oltre accessori e per la disposta compensazione per un terzo ‘in considerazione dell’accoglimento solo parziale dell’appello incidentale’ , ponendo i residui due terzi a carico della sola Cilento ‘in virtù della soccombenza’ .
Considerato che il Tribunale con statuizione non censurata aveva provveduto alla liquidazione delle spese di lite sulla base dello scaglione euro 52.001/euro 260.000 , la liquidazione operata dalla Corte d’appello si colloca sotto la metà dei parametri minimi.
La ricorrente si duole ancora che la Corte d’appello :
-non ha liquidato la maggiorazione prevista dall’art. 4 , comma secondo, D.M. 55/2014;
-ha violato l’art. 92 cod. proc. civ. nel disporre la compensazione poiché ha considerato solo l’esito dell’appello incidentale , trascurando quello dell’appello principale e dell’istanza cautelare di sospensione dell’esecutività della sente nza di primo grado.
5.1. Il motivo è parzialmente fondato.
Il motivo, pur erroneamente inquadrato n ell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., contiene una duplice denuncia di un error in iudicando in ordine alla disposta compensazione parziale delle spese del grado e alla liquidazione della parte residua.
5.2. La prima censura non merita l’accoglimento.
La valutazione sulla concessione o meno della compensazione delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca o di altre ragioni rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dalla valutazione di questa Corte (v., Cass., 22 aprile 2005, n.8540; 17 marzo 2004, 5405; 28 novembre 2003, n.17692). Infatti, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (v. Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2022, n. 32061; 15 maggio 2023, n. 13212).
Esula, pertanto, da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. 31 agosto 2020, n. 18128; 17 ottobre 2017, n. 24502; 31 marzo 2017, n. 8421; 19 giugno 2013, n. 15317), ivi compresa l’ipotesi di accoglimento parziale della domanda articolata in più capi (v. Cass., 13212/2023, cit.), ferma restando la necessità della verifica che non siano addotte ragioni illogiche o erronee a fondamento della decisione di compensazione, risolvendosi il sindacato di legittimità, come affermato dalla Corte costituzionale (v. sentenza, 4 giugno 2014, n. 157; Cass. 26 luglio 2021, n. 21400), in una verifica «in negativo» in ragione della «elasticità» costituzionalmente necessaria che caratterizza
il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, ‘non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione delle dette spese in favore della parte vittoriosa’ (v., Corte. Cost., 19 aprile 2018, n. 77)
La Corte d’appello a pagina 12 (sesto capoverso) ha scritto: ‘Le spese del presente grado, in considerazione dell’accoglimento solo parziale dell’appello incidentale, vanno compensate in ragione di 1/3 ponendosi la restante parte a carico della RAGIONE_SOCIALE in virtù della soccombenza’ e nel dispositivo ha statuito: ‘Condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei due terzi delle spese del giudizio di secondo grado, liquidate per l’intero in €. 777,00 per spese e €. 3.235, 00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario, I.V.A. e C.P.A. come per legge’.
La disposta compensazione parziale non poggia su motivazione né illogica, né erronea, poiché la corte territoriale, da un lato ha tenuto conto del parziale accoglimento dell’appello incidentale, senza peraltro incorrere nelle plurime censure di omessa pronuncia (totale o parziale dei motivi di appello proposti da RAGIONE_SOCIALE) , dall’altro ha posto i residui 2/3 a carico di RAGIONE_SOCIALE ‘in virtù della soccombenza’ da intendersi come soccombenza in via prevalente, avendo essa ‘messo in discussione la decisione di primo grado sotto ogni profilo ‘ .
5.3. In relazione alla seconda censura, fermo quanto detto nel paragrafo 4.1 a proposito della mera possibilità di disporre l’aumento ai sensi dell’art. 4, comma secondo, D.M. 55/2014, per il quale la ricorrente non indica se chiesto in sede di appello, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo, non è soggetto a sindacato di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili le ragioni che giustificano lo
scostamento e la misura di questo (v. Cass., sez. V, 20 dicembre 2024, n. 33642; sez. III, 13 luglio 2021, n. 19989; 7 gennaio 2021, n. 89; sez. lav., 10 maggio 2019, n. 12537).
Nel caso di specie , la Corte d’appello nel condannare RAGIONE_SOCIALE al pagamento dei due terzi delle spese del secondo grad o, ha liquidato ‘per l’intero’ il compenso professionale in euro 3.235 . Tale importo, tuttavia, senza che ne sia stata resa una motivazione, si colloca al di sotto dei parametri minimi previsti per lo scaglione euro 52.001/euro 260.000, tenuto conto che il valore della controversia era di euro 170.943,16 (euro 126.057,10 a carico solidale di RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, oltre euro 44.860 a carico solo della prima). Infatti, in base ai parametri applicabili ratione temporis il compenso professionale lo si sarebbe dovuto liquidare, secondo i parametri minimi, in complessivi euro 7.642, che per effetto della disposta compensazione si riduce a euro 5.095.
Il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME
Con il primo motivo è denunciata ‘violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 omessa pronuncia sul primo motivo di appello. Nullità della sentenza di II grado, in ordine all’arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze probatorie’.
I ricorrenti lamentano il rigetto delle doglianze riversate in appello in ordine all’interpretazione del materiale probatorio . Doglianze, peraltro, diverse da quelle considerate dalla Corte d’appello , poiché l’assenza di motivazione giuridica sulle prove raccolte avrebbe imposto la riforma della sentenza di primo grado per il mancato assolvimento all’onere della prova da parte dell’attrice.
6.1. Il motivo è inammissibile.
Preliminarmente occorre notare come nel motivo manchi del tutto l’esplicitazione del modo in cui sarebbero stat i violati gli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., salvo doversi precisare che n ell’ambito di un ricorso per cassazione per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto
a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma (v. Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313). Ciò significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 cod. proc. civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 cod. proc. civ., rubricato per l’appunto “valutazione delle prove” (v. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).
Va altresì ricordato che una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v. Cass., 10 giugno 2016, n. 11892; 8 ottobre 2019, n. 25027; 31 agosto 2020, n. 18092; 22 settembre 2020, n. 19798; Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867).
Analogamente, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., che dà rilievo
all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (v. Cass. 11892/2016 cit.).
Anche relativamente alla pretesa violazione dell’art. 2697 cod. c iv. nel motivo non è in alcun modo spiegato come esso sarebbe stato violato, fermo restando che tale violazione si configura, secondo il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (v. Cass., Sez. Un., 16598/2016, cit. ; Cass., VI-3, 26679/2018, cit.; sez. lav., 17313/2020, cit. ; Cass., sez. V, 15 ottobre 2024, n. 26739).
6.2. In secondo luogo, vi è inconciliabilità tra l’invocato vizio di omessa pronuncia ascritto alla Corte d’appello ed il preteso malgoverno da parte del Tribunale delle risultanze probatorie, rispetto al quale il giudice di secondo grado avrebbe travisato le censure svolte. D elle due l’una : o la Corte d’appello ha omesso di pronunciarsi su un motivo d’appello , che è il fatto costitutivo dell’impugnazione, o è incorsa in un errore di ricognizione con ricadute sul piano della decisione, sì che non è possibile l ‘invocazione di entrambi i vizi con riferimento allo stesso capo di domanda.
Il motivo in esame contiene un richiamo della sentenza di primo grado e delle indicate ragioni di doglianza espresse con l’atto d’appello (pagina 17 e 18 del ricorso), ma non reca una censura percepibile rispetto alla sentenza di secondo grado, sì che esso deve ritenersi alla stregua di un «non motivo».
Si deve richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il motivo d’impugnazione è rappresentato
dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (Cass. 11 gennaio 2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass., Sez. Un., 20 marzo 2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; 5 agosto 2016, n. 16598; 3 novembre 2016, n. 22226; Cass. 12 gennaio 2024, n. 1341; 15 aprile 2021, n. 9951; 5 luglio 2019, n. 18066; 13 marzo 2009, n. 6184; 10 marzo 2006, n. 5244; 4 marzo 2005, n. 4741).
Con il secondo motivo è denunciat a ‘ nullità della sentenza di II grado in ordine all’arbitraria ed erronea interpretazione dell’art. 19 56 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 4 e 5 -omessa pronuncia sul secondo motivo di appello’ .
I ricorrenti lamentano il carattere apparente della motivazione resa dalla Corte d’appello e l’omessa pronuncia in ordine alla chiesta riforma della sentenza del primo grado di condanna del fideiussore in base ad una garanzia ‘estinta, nulla e, per di più, avente ad oggetto prestazioni future’ . Ribadito che la fideiussione sarebbe stata prestata ‘a garanzia del pagamento del canone di affitto del capannone e delle attrezzature e di tutte le obbligazioni scaturenti dal presente contratto’, tale garanzia si era estinta
ai sensi degli artt. 1956, 1957 e 1944, comma secondo, cod. civ. Infatti, la locatrice era consapevole dello stato di difficoltà economica in cui versava ‘l’appellante e, ciò nonostante, nulla ha riferito … al fideiussore’. Tale condizione, ancorché non integrante una situazione di insolvenza tale da giustificare la dichiarazione di fallimento, avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello al riconoscimento dell’estinzione della garanzia come pacificamente sostenuto dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Preliminarmente, deve essere ribadito quanto detto nel paragrafo 6.1. a proposito dell’insuperabile contrasto logico tra la concorrente prospettazione di omessa pronuncia e di un’erronea valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 1956 cod. civ.
I ricorrenti, i quali neanche troppo velatamente aspirano a un riesame del merito, dopo aver richiamato la motivazione espressa dalla Corte d’appello a proposito della validità della fideiussione per obbligazioni future (pagina 7, secondo e terzo capoverso) e della mancata previsione in contratto dell’obbligo della preventiva escussione del debitore principale ex art. 1944, comma secondo, cod. civ. (pagina 7, penultimo capoverso), a sostegno dell’estinzione ex art. 1956 cod. civ . hanno svolto una censura del tutto generica, là dove a pagina 23 in modo assertorio hanno dedotto ‘ a sommesso, ma fermo avviso di chi scrive, la società RAGIONE_SOCIALE odierna ricorrente, conosceva lo stato di difficoltà in cui versava l’appellante e ciò nonostante nulla ha riferito -come avrebbe, a contrario , dovuto -al fideiussore’ .
Tale censura non è idonea a scalfire l ‘intera ratio decidendi indicata dalla Corte d’appello , la quale ha scritto: ‘ Invero, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, «in caso di fideiussione a garanzia degli obblighi del conduttore in un rapporto di locazione, laddove intervenga una morosità del conduttore tale da giustificare la risoluzione del contratto, l’obbligo del locatore garantito di informare il fideiussore della mora e di chiedere a quest’ultimo l’autorizzazione per continuare a far credito al
debitore (e quindi non agire immediatamente per la risoluzione della locazione), ai sensi dell’art. 1956 c.c., richiede comunque, come espressamente previsto da tale disposizione, che il locatore stesso fosse consapevole che le condizioni patrimoniali del conduttore erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito» (Cassazione civile, Sez. III, n. 16798 del 13/08/2015; Cassazione civile, sez. III, 13/11/2019, n. 29364). La estinzione della garanzia non può, quindi, prescindere dal requisito della consapevolezza, da parte del locatore, dell’intervenuto peggioramento delle condizioni economiche del conduttore stesso. Orbene, come correttamente rilevato dal Tribunale, gli appellanti non hanno fornito alcuna prova della consapevolezza della società locatrice di tali mutamenti nelle condizioni economiche dell’affittuaria. Inoltre, dagli atti si evince che la Società RAGIONE_SOCIALE già a seguito del mancato pagamento del semestre anticipato ha proposto ricorso per rilascio dell’immobile. In conseguenza, la circostanza che la locatrice ha comunque agito tempestivamente contro la conduttrice è assorbente ed esclude la dedotta violazione dell’obbligo di richiesta di autorizzazione ‘ (pagina 8 della sentenza).
I ricorrenti, pertanto, hanno prospettato la censura in termini generici e non pienamente aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio’ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074, che ribadisce il principio di diritto similare affermato da Cass. n. 359 del 2005, nel senso che «Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni
per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.»; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
Accolto il quinto motivo del ricorso principale per quanto di ragione, rigettati i restanti e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, deve essere disposta la cassazione della sentenza impugnata e, decidendo nel merito, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Gaetano devono essere condannati al pagamento delle spese del giudizio di appello, che si liquidano in euro 5.095,00 per competenze professionali, oltre il rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Le spese del giudizio di legittimità devono essere interamente compensate, dato il ridottissimo accoglimento del ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo del ricorso principale per quanto di ragione, rigettati i restanti, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Gaetano al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida in euro 5.095.00 per competenze professionali, oltre il rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge; compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 17 aprile 2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME