Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7390 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7390 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
sul ricorso 7159/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 4774/2019 depositata il 3.12.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/2/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Milano, con la sentenza riportata in esergo, pronunciando sul gravame degli odierni ricorrenti -escussi per quanto di ragione anche nella veste di fideiussori, avverso la decisione di primo grado che, confermata nel merito ogni altra pretesa, ne aveva accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo notificato loro dalla banca intimata a fronte dei maturati saldi negativi di conto limitatamente alla sola applicazione della clausola di massimo scoperto -ha nuovamente respinto, per quanto qui ancora rileva, le doglianze impugnanti in punto alla mancanza di prova del credito azionato, dando atto della produzione in giudizio di tutti gli estratti conto «in serie continua dall’apertura sino a passaggio in sofferenza»; all’eccepita nullità del contratto, sollevata sul presupposto che ne fosse stata omessa la consegna della copia, in quanto, risultando nella specie il contratto sottoscritto da entrambe le parti, «l’obbligo di consegna del contratto costituisce regola di condotta e non di validità dello stesso», generando al più una pretesa risarcitoria; ai dedotti effetti anatocistici della commissione di massimo scoperto, dato che «l’effettiva capitalizzazione delle commissioni di massimo scoperto risulta solo allegata, ma non sorretta da un principio di prova, che non si rinviene neppure nella consulenza tecnica di parte»; mentre le ha invece accolte in punto alla pretesa contrarietà della fideiussione alle norme antitrust, secondo quanto decretato da Banca d’Italia e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, limitando tuttavia, la conseguente pronuncia di nullità alle sole clausole riproducenti gli artt. 2, 6 e 8 del modello ABI 2003 e al riguardo sconfessando, la contraria tesi patrocinata dagli impugnanti sulla duplice considerazione che costoro non avevano esplicitato «il motivo per cui la nullità delle clausole frutto di intese illecite avrebbe dovuto produrre la nullità dell’intero
contratto» e che le clausole in questione «non incidono sulla causa delle fideiussioni omnibus, che conservano il loro carattere distintivo» anche nelle ipotesi in cui le dette disposizioni siano dichiarate nulle.
La cassazione di detta sentenza è ora reclamata dai ricorrenti con quattro motivi di ricorso, seguiti da memoria, ai quali resiste l’intimata con controricorso e ricorso incidentale condizionato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 116 e 115 cod. proc. civ. in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto provata la fondatezza del credito sul visto rilievo che erano stati prodotti in giudizio tutti gli estratti conto, ancorché l’affermazione non fosse veritiera -è inammissibile perché palesemente versato in fatto e diretto alla rinnovazione al sindacato istruttorio a cui ha proceduto il giudice del gravame.
E’ al riguardo appena il caso di ricordare che «il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti» (Cass. Sez. U,. 29/03/2013, n. 7931). Il controllo che la Corte di Cassazione è chiamata ad esercitare in funzione della legalità della decisione «non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 6/03/2019, n. 6519), così come a sua volta il controllo di logicità «non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo -come appunto qui -alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la
revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 19/07/2021, n. 20553). E questo perché, come si chiosa abitualmente, il controllo affidato alla Corte «non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 5/08/2016 n. 16526). E dunque inammissibile il ricorso che, sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto, «sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello -non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità » (così in motivazione, da ultimo. ex plurimis , Cass., Sez. V, 5/07/2024, n. 19379).
3. Il secondo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117 TUB e degli artt. 1421 e 1418 cod. civ. in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente escluso che la mancata consegna al cliente di una copia del contratto non fosse fonte di nullità del medesimo -è infondato.
Questa Corte, intendendo rettamente il comando sul punto delle SS.UU., ha già avuto occasione di affermare, del tutto condivisibilmente, a definitiva tacitazione di ogni fuorviante difforme conclusione -e quindi anche dell’assunto qui in disamina -che «in tema di contratti bancari, il requisito della forma scritta ad substantiam, previsto dall’art. 117 del d.lgs. n. 385 del 1983 e dall’art. 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, attiene alla veste esteriore del contratto e alla modalità espressiva dell’accordo, non estendendosi alla consegna del documento contrattuale concluso in tale forma, che ove omessa non produce alcuna nullità negoziale» (Cass., Sez. I, 3/07/2024, n. 18230).
Dunque, sul punto, il giudizio della Corte di appello, risultando in linea con l’affermato principio di diritto non merita censura.
4. Il terzo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, 1418, 1421, 1422 e 1423 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. in quanto la Corte di appello, pur aderendo sul punto all’avviso del giudice di prima istanza circa la nullità della clausola di massimo scoperto, avrebbe erroneamente omesso di prendere atto degli effetti anatocistici ingenerati dalla sua applicazione e della conseguente superiore incidenza dell’indebito -è inammissibile perché non si confronta con le ragioni della decisione, sicché esso difetta della specificità a tal fine richiesta dall’art. 366, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.
Anche qui è appena il caso di ricordare che «il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 17/07/2007, n. 15952). Ciò postula, perciò, che «nell’esposizione del motivo trovino espressione le ragioni del dissenso che la parte intende marcare nei riguardi della
decisione impugnata, formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato proprie del mezzo azionato e, insieme, da costituire una critica precisa e puntuale e, dunque, pertinente delle ragioni che ne hanno indotto l’adozione» (così in motivazione ex plurimis , Cass., Sez. I, 24/04/2024, n. 11164). Di conseguenza, poiché il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione é erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non si può, a tal fine, «prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, la mancata considerazione delle quali comporta la nullità del motivo per inidoneità al raggiungimento dello scopo, che, nel giudizio di cassazione, risolvendosi in un “non motivo”, è sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.» ( ex plurimis , Cass., Sez. III, 31/08/2015, 17330).
Di un “non motivo” si fa interpreta la censura in esame posto che, a fronte della chiara ed inequivoca esplicitazione del pensiero del decidente sul punto a cui ha proceduto, come visto, la sentenza impugnata, l’esternazione ricorrente si astiene dallo svolgere qualsiasi argomentazione critica e si sostanzia nella mera inutile perorazione meritale già ivi disattesa.
5. Il quarto motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1418 cod. civ. e della l. 10 ottobre 1990, n. 287 in quanto la Corte di appello avrebbe dovuto estendere, in adesione al pronunciamento di Banca d’Italia e di AGCM, all’intero contratto la dichiarazione di nullità di talune clausole contenute nella fideiussione per contrarietà alle norme a tutela della concorrenza -è infondato.
E’ infatti, convincimento che questa Corte, ha inteso esternare, già con la sentenza pronunciata dalle SS.UU. a sanzione della rilevata
nullità dei contratti stipulati “a valle” dell’intesa antinconcorrenziale trasfusasi nel modello fideiussorio adottato dall’ABI, che, fermo più in generale il principio di conservazione degli atti giuridici -sì che, ove non sia dimostrato che senza quelle parti del contratto colpite da invalidità le parti non avrebbero dato vita ad alcuno accordo, può esserne dichiarata solo la nullità parziale -, onde addivenire ad un più ampio effetto caducatorio, che travolga il contratto nella sua interezza, «spetta a chi ha interesse alla totale caducazione dell’assetto di interessi programmato l’onere di provare l’interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità parziale all’intero contratto» (Cass., Sez. III, 4/07/2023, n. 18974). Si è così più in dettaglio affermato che «la nullità delle clausole del contratto di fideiussione contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, si estende all’intero contratto solo nel caso di interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, con la conseguenza che è precluso al giudice rilevare d’ufficio l’effetto estensivo della nullità, essendo onere della parte che ha interesse alla totale caducazione provare tale interdipendenza» (Cass., Sez. III, 13/03/2024, n. 6685).
Dunque, sul punto, il giudizio della Corte di appello, risultando in linea con l’affermato principio di diritto non merita censura.
Il ricorso principale va dunque respinto. La natura condizionata del ricorso incidentale ne determina l’assorbimento.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in favore di parte resistente in euro 4200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 14 febbraio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME