Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2442 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2442 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CONDELLO NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25293/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del RAGIONE_SOCIALE rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del RAGIONE_SOCIALE rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO RAGIONE_SOCIALE
e RAGIONE_SOCIALE– in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE n. 488/2021, pubblicata in data 11 marzo 2021 udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19
ottobre 2022 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Svolgimento del processo
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, emesso dal Tribunale di Rimini su istanza della RAGIONE_SOCIALE, con cui si chiedeva il pagamento della somma di euro 31.216,30 per prestazioni di servizio relative a somministrazioni di pasti ai dipendenti della opponente avvenute presso l’aeroporto di Rimini nel periodo compreso tra il maggio ed il luglio 2004, deducendo che il contratto di somministrazione era stato in realtà stipulato dall’ingiungente con la RAGIONE_SOCIALE e che era tenuta al pagamento della minor somma di euro 1.919,50.
Il Tribunale di Rimini, dichiarata l’inammissibilità della chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE, riteneva non dimostrata la conclusione del contratto di somministrazione e revocava il decreto ingiuntivo, condannando l’opponente al pagamento della somma non contestata.
La sentenza, impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE, è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, la qu ale, in esito all’assunzione della prova testimoniale, ha dichiarato integralmente compensate tra le parti le spese del primo e del secondo grado, confermando nel resto la sentenza gravata.
Ha, in particolare, osservato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai negato
che i propri dipendenti avessero usufruito dei pasti forniti dalla RAGIONE_SOCIALE, rilevando, tuttavia, che non vi era prova di un contratto che vincolasse la predetta RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, dal momento che l’istruttoria svolta in appello non aveva consentito di acce rtare l’esistenza di un valido accordo per effetto del quale l’appellata si fosse impegnata a pagare le prestazioni, e reputando non sufficiente a tale riguardo la mera sottoscrizione dei registri da parte dei dipendenti che avevano consumato i pasti.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, sulla base di tre motivi.
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) resiste con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, deducendo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2709, 2710 e 2720 cod. civ., la ricorrente censura la decisione gravata nella parte in cui la Corte territoriale, dopo avere affermato che vi era prova dell’adempimento della prestazione, ha poi ritenuto non dimostrata la stipulazione del contratto di somministrazione tra le parti e l’assunzione dell’obbligo di pagamento da parte della RAGIONE_SOCIALE
Sostiene che tale statuizione viola le norme evocate in rubrica, considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la fattura commerciale costituisce piena prova dell’esistenza di un corrispondente contratto tra le parti, ove accettata, anche tacitamente, dal contraente destinatario della prestazione che ne costituisce oggetto. Nel caso di specie, le fatture azionate non erano
state respinte dalla destinataria, tanto che la RAGIONE_SOCIALE, sia pure dopo la notifica del decreto ingiuntivo, aveva pagato quattro fatture.
Con il secondo motivo, censurando la decisione impugnata per violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente contesta la valutazione delle risultanze istruttorie operata dal giudice del merito, ribadendo che sin dal giudizio di primo grado aveva dato prova della conclusione del contratto mediante la produzione non solo delle fatture, ma anche degli elenchi dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE contenenti l’indicazione dei nomi e dei giorni in cui aveva somministrato i pasti. Soggiunge che la Corte territoriale avrebbe dovuto dare maggior peso probatorio alle dichiarazioni testimoniali rese dal Direttore generale della RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE di gestione dell’Aeroporto di RAGIONE_SOCIALE , e che il riconoscimento, da parte della RAGIONE_SOCIALE dell’avvenuta somministrazione dei pasti avrebbe dovuto incidere sul bilanciamento degli oneri probatori.
Con il terzo motivo, prospettando la violazione dell’art. 1327 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente assume che la sentenza impugnata avrebbe omesso di fare buon governo della disposizione normativa richiamata, che prevede espressamente, quale modalità di conclusione del contratto, l’esecuzione della prestazione, pur in assenza di uno scambio di consenso, ovvero di proposta ed accettazione.
Preliminarmente, va disattesa l ‘ eccezione di inammissibilità del ricorso, per presunto difetto di autosufficienza e di specificità dei motivi, sollevata in controricorso dalla RAGIONE_SOCIALE
È sufficiente, al riguardo, evidenziare che la lettura del ricorso consente di rilevare che la parte ricorrente ha esaustivamente esposto la vicenda processuale, nonché le argomentazioni in fatto ed
in diritto agitate nel giudizio di merito, cosicché il ricorso risulta rispettoso del principio di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., che, quale corollario del requisito di specificità dei motivi, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU, Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, essendo sufficiente che nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass., sez. U, 18/3/2022, n. 8950).
5. Il primo motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistente nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito. Pertanto, quando tale rapporto non sia contestato tra le parti, la fattura può costituire un valido elemento di prova e non un mero indizio quanto alla prestazione ivi eseguita, specie nell’ipotesi in cui il debitore abbia accettato senza contestazioni le fatture stesse nel corso dell’esecuzione del rapporto (Cass., sez. 3, 20/12/2018, n. 32935). Quando tale rapporto sia, invece, contestato fra le parti, la fattura non costituisce prova delle prestazioni eseguite, ma al più un mero indizio che consente il ricorso anche alla prova per testimoni allo scopo di dimostrare le convenzioni non risultanti dall’atto o sottostanti (Cass., sez. L, 20/05/2004, n. 9593).
In ragione della sua natura, la fattura è idonea ex lege a
consentire l’emissione del provvedimento monitorio, ma non invece a fungere da prova, in senso proprio, del credito nel successivo giudizio di cognizione ex art. 645 cod. proc. civ. ( ex multis , Cass., sez. 6-3, 11/03/2011, n. 5915).
Di tali principi ha fatto buon governo la Corte d’appello, là dove ha affermato che, nel caso de quo , la produzione delle fatture attestanti la somministrazione dei pasti ai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, come pure la mera sottoscrizione dei registri, da parte degli stessi dipendenti, pur dimostrando l’avvenuta esecuzione della prestazione, non possano assurgere a prova del rapporto contrattuale, a fronte delle contestazioni mosse dall’odierna controricorrente, che ha sempre negato, sin dal giudizio di primo grado, di avere concluso un contratto con la ricorrente e di essere obbligata al pagamento delle prestazioni rese.
È ben vero che il contratto di somministrazione non richiede la forma scritta ad substantiam , ma può essere concluso anche sulla base di un accordo verbale, ma è anche vero che gravava sull’odierna ricorrente, che asserisce di vantare un credito, fornire la prova della sussistenza di tale accordo. Tale prova, come accertato dai giudici di appello, non può dirsi raggiunta, non potendo certo desumersi, per le ragioni sopra esposte, dalle fatture poste a sostegno del ricorso monitorio e contestate.
D’altro canto, è significativo come la stessa pronuncia di questa Corte (Cass., n. 26801/19), invocata dalla ricorrente, avallando le conclusioni cui è pervenuta la Corte di merito, evidenzi chiaramente che la fattura ha efficacia probatoria non solo nei confronti dell’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto, sempre che essa risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione (in senso
conforme, Cass., sez. 2, 19/07/2011, n. 15832).
In tale contesto, è del tutto evidente che, pur non essendo in discussione l’esecuzione della prestazione da parte di RAGIONE_SOCIALE, ciò non toglie che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare la conclusione di un contratto di somministrazione con la RAGIONE_SOCIALE, dovendosi distinguere, come puntualizzato nella sentenza in questa sede impugnata, il mero beneficiario dal committente della prestazione, che è l’unico soggetto tenuto al pagamento del corrispettivo.
Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
6.1. Va, anzitutto, rilevata l’inammissibilità della doglianza con rigu ardo alla dedotta violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per contrasto con il disposto di cui all’art. 348 -ter cod. proc. civ., essendosi in presenza di una cd. doppia conforme, per avere la sentenza di secondo grado confermato, in punto di inesistenza del contratto, quella di primo grado.
Invero, nell’ipotesi di doppia conforme, come ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorrente in cassazione -per evitare l’inammissibilità del motivo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 del 2012, deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., sez. U, 21/09/2018, n. 22430; Cass., sez. 6 -5, 05/11/2021, n 32052; Cass., sez. 09/08/2022, n. 24508). Tale onere non risulta assolto dalla ricorrente.
6.2. Il profilo di censura in esame è, peraltro, inammissibile anche per un’altra ragione . Deve rammentarsi che rimane estranea al vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc., nella nuova formulazione, ormai circoscritto alla sola ipotesi di ‹‹ omesso esame di
un fatto storico controverso che sia stato oggetto di discussone ed appaia decisivo ›› ai fini di una diversa decisione, qualsiasi contestazione volta a criticare il ‹‹ convincimento ›› che il giudice si è formato, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054; Cass., sez. U, 22/09/2014, n. 19881; Cass., sez. 3, 10/06/2016, n. 11892; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940). La ricorrente non ha neppure dedotto il ‹‹ fatto ›› decisivo di cui la Corte d’appello avrebbe pretermesso l’esame, cosicch é la censura non è inquadrabile nel paradigma del richiamato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
6.3. La doglianza è infondata con riferimento ai restanti profili di censura , in quanto la Corte d’appello ha esaustivamente dato atto delle ragioni per le quali ha ritenuto che le prove testimoniali assunte non fossero idonee a supportare l’assunto difensivo dell’odierna ricorrente, la quale si limita, anche in questa sede, a riproporre le medesime argomentazioni già sottoposte al vaglio del giudice del merito, al solo fine di sollecitare un riesame del merito, precluso al giudice di legittimità.
Occorre, sul punto, ribadire che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., sez. U, 30/09/2020, n. 20867); allo stesso modo, la
doglianza circa la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova RAGIONE_SOCIALE), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., sez. U, n. 20867/2020, cit.).
Neppure è ravvisabile la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., che è censurabile per cassazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass., sez. 3, 29/05/2018, n. 13395; Cass., sez. 6 -3, 31/08/2020, n. 18092).
Tale vizio non è ascrivibile al giudice del merito che ha correttamente posto a carico della ricorrente l’onere di dimostrare l’esistenza del contratto, dal qual e dovrebbe scaturire l’obbligo a carico della controricorrente di pagare le prestazioni, ma ha ritenuto non assolto tale onere da parte della RAGIONE_SOCIALE
Inammissibile è anche il terzo motivo.
Oltre a porre in rilievo che la formulata censura prospetta invero
profili di novità non risultando dalla ricorrente dato debitamente conto di avere già proposto la questione in sede di giudizio di merito, va al riguardo osservato che perché possa intendersi concluso il contratto nel tempo e nel luogo dell’iniziata esecuzione senza una preventiva accettazione della proposta è necessario che ricorra una delle tre ipotesi tassativamente previste all’art. 1327 cod. civ. ( e cioè che sia richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi o che vi sia comunque una espressa richiesta in tal senso del proponente: v. Cass., sez. 3, 01/06/2006, n. 13132 ), la cui ricorrenza nella specie non risulta essere stata dall ‘ odierna ricorrente invero neppure allegata.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 4.200,00, di cui euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 19 ottobre 2023
IL PRESIDENTE NOME COGNOME