Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3790 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3790 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15446/2023 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante NOME RAGIONE_SOCIALE con sede invia Cheung Sha Wan INDIRIZZO, Kowloon, Hong Kong, rappresentata e difesa per procura in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Milano, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, con sede legale in Milano, INDIRIZZO, in persona della Curatrice, avv. NOME COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura alle liti in calce al controricorso dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Milano.
– controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA) e RAGIONE_SOCIALE (C.F.P_IVA, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
(C.F. NUMERO_DOCUMENTO) e il Procuratore Generale della Repubblica (C.F. NUMERO_DOCUMENTO),
-intimati – avverso la sentenza n. 1899 della Corte d’Appello di Milano, pronunciata il 25 maggio 2023, pubblicata e notificata l’8 giugno 2023 ; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/1/2025
dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha rigettato il reclamo ex art. 18 l. fall. avanzato da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto di inammissibilità del concordato preventivo e la sentenza dichiarativa del suo fallimento emessi dal Tribunale di Milano in data 23.02.2023.
In data 6 e 13 giugno 2022, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano presentato istanza di fallimento nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. In data 7 luglio 2022 la società debitrice aveva tuttavia proposto domanda di ammissione alla procedura di concordato con riserva ex art. 161, comma 6, l.fall. Successivamente, in data 3 novembre 2022, la debitrice aveva depositato domanda di concordato preventivo con continuità aziendale.
Il Tribunale, dopo aver concesso alla società istante termini per l’integrazione della proposta, all’esito, anche in relazione ad una istanza del PM, che aveva chiesto la dichiarazione di inammissibilità del concordato e la dichiarazione di fallimento, ha emesso i provvedimenti poi oggetto di reclamo ex art. 18 l. fall., ritenendo sussistente lo stato di insolvenza della società debitrice.
La Corte di appello, nella resistenza della curatela fallimentare, ha rilevato ed osservato che: (i) in primo luogo, non era corretta la censura sollevata in ordine al fatto che il tribunale avrebbe svolto una valutazione di convenienza, ad esso preclusa, e non di legittimità ovvero di fattibilità giuridica, in quanto il Tribunale aveva ampiamente argomentato in ordine alle criticità della proposta che attenevano non già al profilo della convenienza, ma alla credibilità ed attendibilità dei dati forniti e delle prospettive attese, e dunque alla fattibilità giuridica della stessa; (ii) quanto al merito, poi, l’assenza di
trasparenza circa gli assetti proprietari tra la società controllante (nei confronti della quale la fallenda avrebbe vantato un consistente credito) e la società promissaria acquirente dello stesso credito, appartenente al medesimo gruppo, di per sé costituiva il primo elemento di dubbio circa l ‘effettività e la praticabilità dell’operazione ; (iii) ma anche a voler ipotizzare che tale criticità non fosse decisiva, non vi era comunque alcuna chiarezza in ordine al contenuto della continuità aziendale prospettata, se non in termini del tutto generici (cambio del business da attività di compravendita ad una attività di servizi); (iv) inoltre non veniva offerta alcuna garanzia dell’adempimento da parte della società promissaria acquirente, in ordine alla quale non era stata esposta alcuna informazione, ed anzi ciò che risultava era che la stessa aveva un capitale sociale pari a solo un dollaro di Hong Kong, ossia circa 0,12 euro; (v) non erano state fornite indicazioni circa l’effettiva esigibilità del credito o ggetto di cessione; (vi) non era stato fornito alcun elemento per verificare se vi fosse una regolarità sotto il profilo fiscale della posizione della società, il che non escludeva che pretese erariali e sanzionatorie si potessero affacciare in corso di procedura, alterando il quadro esposto dalla proponente in ordine all’esposizione debitoria reale ; (vii) nel reclamo, poi, non era stata fornita alcuna indicazione, né in termini di allegazione né di produzione documentale, che potesse valere a superare le criticità già rilevate dal commissario giudiziale, dal Tribunale in sede di convocazione e, poi, dal decreto di inammissibilità; (viii) nessun documento nuovo era stato prodotto e l’unico argomento speso era stato quello relativo alla convenienza della proposta rispetto alla prospettiva liquidatoria, e dunque senza alcun riferimento alle effettive ragioni in base alle quali la proposta era stata dichiarata inammissibile; (ix) in ordine, poi, alla dedotta insussistenza dello stato di insolvenza, anche sotto questo profilo la reclamante si era limitata ad asserire che non vi sarebbe la prova; (x) in realtà tale prova era stata fornita dalla stessa proposta di ammissione alla procedura di concordato, in cui si palesava l’incapacità di RAGIONE_SOCIALE di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni; (xi) pacifico, inoltre, era stato il fatto che i creditori istanti RAGIONE_SOCIALE non fossero stati pagati; (xii) in presenza di tali circostanze, sufficienti a ritenere sussistente lo stato
di insolvenza, avrebbe dovuto essere la reclamante a introdurre elementi di prova in senso contrario, elementi cioè che consentissero di affermare che lo stato di crisi poteva essere superato in modo diverso dal concordato proposto e il pagamento dei crediti – di cui alle istanze di fallimento – potesse avvenire con risorse sociali.
La sentenza, pubblicata in data 8 giugno 2023, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONE_SOCIALE intimati, non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 161 e 162 r.d. n. 267/1942 , sul rilievo che la Corte d’appello di Milano avrebbe affermato l’inammissibilità del concordato preventivo senza accertare la ‘fattibilità giuridica’ e la ‘fattibilità economica’ della proposta, ma esprimendo dubbi e valutazioni che esulavano da questi profili, come definiti dalla giurisprudenza di legittimità.
1.1 Il motivo, così articolato, è inammissibile.
Ricorda infatti la ricorrente che la giurisprudenza di questa Corte era consolidata nel senso di ritenere che all’autorità giudiziaria compet e di sindacare senza limiti la ‘fattibilità giuridica’ della proposta ( ‘intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili’), mentre la ‘fattibilità economica’ (intesa come realizzabilità della proposta nei fatti) attiene ‘alla verifica della sussistenza, o meno, di un manifesta inattitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati’ , restando ogni altra valutazione su detta fattibilità di competenza dei creditori. Aggiunge, pertanto, la ricorrente che, secondo gli insegnamenti del giudice di legittimità, la proposta concordataria sarebbe sindacabile dal Tribunale solo ove essa ‘risulti implausibile ovvero manifestamente priva di una ragionevole “chance” di successo’.
1.2 Secondo la ricorrente questo tipo di accertamento non sarebbe tuttavia stato compiuto dalla Corte di merito.
1.2.1 In primo luogo, allorché la Corte d’Appello aveva annotato ‘l’assenza di trasparenza circa gli assetti proprietari tra la società controllante… e la società promissaria acquirente dello stesso credito’ aveva qualificato questa valutazione come mero ‘elemento di dubbio’, senza ritenere che comunque vi sarebbe stata una violazione di norma inderogabile, del resto non indicata, né che ciò avrebbe condotto ad una assoluta manifesta inattitudine del piano concordatario. E peraltro sarebbe stata la stessa C orte d’Appello – precisa la ricorrente a ‘ipotizzare’ che ‘tale criticità’ non fosse ‘decisiva’.
1.2.2 In secondo luogo, in relazione alla prospettata continuità aziendale, non sarebbe stata effettuata alcuna valutazione sulla sua percorribilità, tanto ciò era vero che l’unico riferimento ad essa nella sentenza qui impugnata era stato riferito al passaggio motivazionale: ‘cambio del business da attività di compravendita ad una attività di servizi’.
1.2.3 In terzo luogo, ricorda ancora la società ricorrente che la Corte territoriale aveva rilevato l’assenza di garanzia dell’adempimento da parte della società promissaria acquirente. Anche questo aspetto, evidentemente, esulava dal potere di sindacato sopra ricordato, non essendo attinente né alla violazione di norme inderogabili (non sono richieste garanzie dalla legge) né alla manifesta inattitudine del piano. Se il giudice di merito avesse compiuto l’accertamento come indicato dalla giurisprudenza di legittimità, avrebbe comunque dovuto valutare le considerazioni dell’attestatore in ordine alla previsione di adempimento da parte del promissario acquirente.
1.2.4 A ciò aggiunge che la Corte territoriale aveva ritenuto l’assenza di indicazioni circa l’effettiva esigibilità del credito , svolgendo ancora una volta il giudice del reclamo un accertamento che non si risolveva nella fattibilità giuridica ed economica della proposta, ma semmai nella sua convenienza.
1.3 Come sopra annunciato, le doglianze non sono ammissibili, e ciò perché, per un verso, la motivazione è conforme alle consolidate regole dettate dalla giurisprudenza di legittimità in tema di limiti del sindacato giudiziale sui profili di fattibilità giuridica ed economica del piano concordatario (e dunque la conseguente inammissibilità è definibile ai sensi dell’art. 360bis cod. proc.
civ.) e perché, per altro verso, le doglianze attingono il merito degli apprezzamenti del Tribunale e della Corte di appello, in punto di realizzabilità economica del piano concordatario.
1.3.1 Sotto il primo profilo, risulta utile ricordare che il sindacato giudiziale del Tribunale, nel momento di scrutinio del profilo di ammissibilità della proposta concordataria, si estende (pacificamente secondo gli ultimi arresti della giurisprudenza di que sta Corte) anche al profilo della ‘fattibilità economica ‘ del piano.
Costituisce infatti principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nell’arresto rappresentato da Cass. n. 9061/2017 e nelle successive pronunce (v. Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4790 del 01/03/2018; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17103 del 15/06/2023), quello secondo cui il Tribunale, al fine dell’ammissione del debitore al concordato preventivo, deve provvedere ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano. Tale verifica, però, deve concretizzarsi in due diversi tipi di controllo sulla fattibilità: a) giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili; b) economica, intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo. Ebbene, mentre per la prima verifica non vi sono specifici limiti, per la seconda i limiti sono quelli relativi alla sussistenza o meno di una ‘manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati’, che devono essere individuati, rispetto al caso concreto, con riguardo alle modalità indicate dal proponente per superare la crisi.
Ne consegue che ormai pacificamente il controllo economico è ammissibile da parte del Tribunale in sede di scrutinio di ammissibilità della proposta concordataria, diversamente da quanto opinato, sul punto qui da ultimo in discussione, da parte della società ricorrente che pretenderebbe di ricondurre il predetto scrutinio nell’alveo del giudizio di convenienza economica della proposta, come tale rimesso al solo giudizio (non sindacabile) dei creditori ai quali viene indirizzata la proposta concordataria.
1.3.2 Sotto altro profilo di riflessione, non può neanche sfuggire come le censure articolate dalla società ricorrente vogliono invero sollecitare questa Corte di legittimità ad un nuova lettura dei documenti versati in atti per giungere, tramite uno scrutinio di merito dei predetti elementi di prova, ad
un diverso apprezzamento del profilo della realizzabilità economica del piano concordatario, deducendo in tal modo censure (peraltro articolate sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) che si pongono ben al di là del perimetro delimitante la cognizione di questo giudice di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 18 r.d. 267/1942 e 112 e 342 cod. proc. civ., sul rilievo che la C orte d’appello avrebbe proceduto d’ufficio, senza che la questione facesse parte dei motivi di reclamo o fosse stata sollevata dalle parti o dal tribunale, a valutare l’esigibilità credito di cui nella proposta concordataria era prevista la cessione.
2.1 La doglianza, così proposta, è infondata.
Non può infatti ritenersi che il giudice del reclamo sia incorso nella denunciata ultrapetizione, in quanto la questione della ‘ esigibilità del credito ‘ non integrava un ‘ eccezione in senso stretto, come tale prospettabile solo dalla parte reclamante, ma rappresentava, in realtà, uno dei profili di apprezzamento della cd. realizzabilità in concreto della causa del negozio concordatario, e cioè, detto altrimenti, della fattibilità economica del piano concordatario (nell’accezione già sopra ricordata), profilo sul quale la reclamante aveva proposto motivo di impugnazione in sede di reclamo ex art. 18 l. fall. Ciò comportava che il reclamo avesse prodotto un effetto devolutivo pieno della materia del contendere, in relazione al dedotto profilo di censura, in favore della cognizione della Corte territoriale che, dunque, legittimamente ha approfondito anche il tema di indagine relativo al profilo dell ‘ esigibilità del credito oggetto di cessione, costituente, peraltro, uno degli elementi fondanti su cui si era prospettata da parte della società debitrice la realizzabilità della proposta concordataria.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 5 e 160 r.d. 267/1942, e 2697 cod. civ., sul rilievo che, quanto all’accertamento dello
stato di insolvenza, la corte di merito non avrebbe distinto tra stato di crisi (in base al quale era stata presentata domanda di concordato preventivo) e stato di insolvenza e che, quanto a quest’ultimo presupposto, avrebbe sovvertito i principi regolanti l’onere della relativa prova.
3.1 Il motivo è inammissibile.
3.1.1 Va osservato che le doglianze proposte dalla ricorrente non censurano correttamente la ratio decidendi del provvedimento impugnato, in punto di accertamento dello stato di insolvenza, quale presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento ex art. 5 l. fall.
Sul punto va infatti ricordato che la Corte di appello non ha affatto invertito gli oneri della prova in relazione alla dimostrazione della sussistenza del predetto presupposto oggettivo necessario per la dichiarazione di fallimento, come invece denunciato dalla ricorrente. Ed invero, i giudici del reclamo hanno affermato, diversamente, che le censure proposte dalla società reclamante, in relazione agli accertamenti eseguiti dal Tribunale, erano state dedotte in modo generico e non erano dunque idonee a sca lfire l’impianto argomentativo della sentenza di primo grado. Non corrisponde dunque a verità processuale che la Corte del merito avesse ‘ imposto ‘ alla debitrice la prova dell ‘ insussistenza della insolvenza, avendo invece affermato che il motivo di impugnazione sul punto non aveva apportato argomenti circostanziati che fossero in grado di mettere in discussione le argomentazioni spese dal Tribunale.
Ne consegue che non è rintracciabile la denunciata violazione dell’art. 2697 cod. civ.
In realtà, la Corte di appello aveva aggiunto alle argomentazioni del Tribunale (la cui motivazione, pertanto, non era stata adeguatamente ed efficacemente contestata) anche la considerazione che la debitrice non aveva pagato i creditori istanti RAGIONE_SOCIALE, così confermandosi la l’incapacità di RAGIONE_SOCIALE ad adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni.
Tale è la ratio decidendi su cui poggia il provvedimento della Corte distrettuale, in punto di accertamento dell’insolvenza, e tale ratio non è stata censurata in modo efficace con il motivo di ricorso qui in esame, così
rendendosi la ricorrente carente di interesse ad impugnare anche l’altra ratio decidendi spesa dalla Corte ambrosiana, e cioè quella relativa alla risalibilità dello stato di insolvenza alla stessa presentazione del ricorso per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Ne discende il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 28.1.2025