Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10835 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10835 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 13818-2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (cod. fisc. 01436820896), in persona del legale rappresentante pro tempore dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME.
-ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del curatore fallimentare avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura in calce al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, depositata in data 20.2.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/3/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha rigettato il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Siracusa in data 27 luglio 2018, con la quale era stata dichiarata inammissibile la proposta di concordato preventivo e pronunciato, su iniziativa del P.M., il suo fallimento.
La corte del merito ha ricordato ed osservato che: (i) il Tribunale di Siracusa aveva dichiarato l’inammissibilità della proposta concordataria in ragione della infattibilità giuridica del piano e più in particolare per essere stata l’azienda della società richiedente il concordato oggetto di sequestro preventivo, disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa in data 22 ottobre 2018 e convalidato dal Gip dello stesso Tribunale con provvedimento del 4 novembre 2018, siccome ritenuta l’azienda strumento di reato ex art. 11 d.lgs. n. 74/2000 e, al contempo, profitto del reato di bancarotta per distrazione, ai sensi dell’art. 321, secondo comma, c.p.p., reati quest’ultimi contestati all’amministratore NOME COGNOME; (ii) in caso di sequestro preventivo penale, finalizzato, secondo il regime di cui al d.lgs. n. 231/2001, alla confisca obbligatoria, restava sottratto al giudice della procedura concorsuale ogni potere di sindacare la legittimità del provvedimento emesso dal giudice penale, sicché la proposta concordataria doveva essere dichiarata inammissibile per carenza di fattibilità giuridica del piano; (iii) una volta aperto il concordato preventivo, la pretesa ablatoria dello Stato, cui il sequestro preventivo è strumentale, è infatti obbligatoria e diretta a concretizzare il trasferimento di proprietà dei beni allo Stato; (iv) anche secondo la giurisprudenza espressa dal giudice di legittimità, in tanto potrebbe procedersi alla liquidazione e in tanto il piano concordatario potrebbe dirsi giuridicamente fattibile in quanto sia previamente ottenuta dal
giudice penale la cessazione del vincolo cautelare su detti beni; (v) non risultava rilevante per l’accoglimento del reclamo neanche la dedotta circostanza sopravvenuta, costituita dall’ordinanza resa in data 28 novembre 2019 dal Tribunale penale di Siracusa, con la quale era stato disposto il dissequestro dell’azienda, posto che per verificare la fattibilità giuridica del piano occorre tenere conto delle circostanze esistenti al momento della pronuncia; (vi) ma anche a voler concedere spazio alle tesi della reclamante, vi era anche da considerare che il dissequestro, lungi dall’essere stato concesso sull’istanza della ISI sRAGIONE_SOCIALE, era stato disposto per consentire l’assoggettamento dei beni al fallimento, avendo il giudice penale ravvisato nel dissequestro in favore della curatela lo strumento idoneo a garantire che i beni potessero essere impiegati per finalità lecite a tutela dei creditori e a raggiungere le finalità previste dalla norma penale, e cioè quella di impedire che i beni potessero rientrare nella disponibilità del condannato; (vii) conseguentemente la revoca della misura non modificava in alcun modo il giudizio di non fattibilità del piano, risultando evidente che il dissequestro, con la restituzione dei beni alla curatela fallimentare, impediva comunque di attuare il piano concordatario.
La sentenza, pubblicata il 20.2.2020, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ‘Erronea valutazione della fattibilità della proposta e del piano concordatari in relazione alla non incompatibilità del piano con norme inderogabili ed alla manifesta inettitudine dello stesso a raggiungere gli obiettivi prefissati -violazione e falsa applicazione degli artt. 160, 161 e 162 L.F.’.
1.1 Il primo motivo presenta al tempo stesso profili di inammissibilità e di infondatezza.
1.1.1 Quanto ai primi, le doglianze proposte dalla ricorrente sono inammissibili ai sensi dell’art. 360bis cod. proc. civ., posto che la decisione impugnata risulta conforme ai principi dettati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità in tema di fattibilità giuridica del piano concordatario (nell’ambito del giudizio di ammis sibilità della proposta) e la società ricorrente neanche ha apportato argomenti decisivi per superare la consolidata e stratificata giurisprudenza che si è formata negli ultimi anni.
Sul punto giova infatti ricordare che risulta principio oramai non più contestato quello secondo cui, in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta) (così, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9061 del 07/04/2017; cfr. anche. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17103 del 15/06/2023, secondo cui espressamente: ‘ In tema di concordato preventivo, la proposta concordataria, pur lasciata alle valutazioni dei creditori quanto a convenienza, rispetto all’alternativa fallimentare, e a realizzabilità della singola percentuale di soddisfazione per ciascuno prospettata, è sindacabile dal Tribunale sotto il profilo economico nei limiti in cui appaia implausibile, in quanto il piano si mostri “prima facie” irrealizzabile ‘); v. anche: Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5825 del 09/03/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23315 del 27/09/2018).
Orbene, le statuizioni impugnate sono in realtà conformi ai principi di diritto sopra ricordati e qui di nuovo riaffermati, avendo la Corte territoriale verificato la non fattibilità del piano sulla base dell’accertamento fattuale dell’intervenuto sequestro penale dell’azienda che avrebbe dovuto costituire l’oggetto della liquidazione concordataria, con un apprezzamento pertanto di non plausibilità del piano e della proposta offerta ai creditori che ha reso
evidente l’inammissibilità della domanda di concordato e la necessità dell’arresto anticipato della procedura.
1.1.3 Per altro verso le censure proposte dalla società ricorrente sono invece infondate, perché, diversamente da quanto opinato da quest’ultima, lo scrutinio in ordine alla fattibilità giuridica ed economica del piano va eseguito al momento della presentazione della domanda di concordato ed al più tardi attualizzato al momento della decisione del Tribunale, e non già a quello successivo della decisione resa in sede di reclamo. Ed invero, risulta circostanza allegata dalla stessa ricorrente che, nel momento della decisione del Tribunale in ordine al profilo dell’ammissibilità della proposta concordataria, l ‘ azienda della società proponente era stata già sottoposta a sequestro preventivo penale, propedeutico ad un provvedimento di confisca obbligatoria. Ne consegue che in quel momento l ‘ azienda si trovava in un regime giuridico di integrale ‘ indisponibilit à’ e di fattuale ‘incompatibilità’ con le programmate finalità liquidatorie previste nel piano concordatario.
Né la parte ricorrente ha descritto, nel motivo di ricorso qui in esame e con la dovuta autosufficienza , l’eventuale capienza della parte del compendio aziendale non sottoposta a sequestro penale per la realizzabilità del piano in relazione alle finalità satisfattive dei creditori.
A ciò va aggiunto, in termini più generali, che non potrebbe neanche concepirsi la legittimità di un piano concordatario che preveda la liquidazione di un’ azienda già dichiaratamente posta sotto sequestro penale, ma con la previsione, contenuta nel piano concordatario stesso, della possibilità di attivazione dei mezzi di impugnazione cautelare previsti in sede penale per ottenerne il dissequestro. Si tratterebbe, infatti, di una ipotesi liquidatoria aleatoria e non riscontrabile, nei termini di giuridica ed economica fattibilità del piano, al momento della presentazione della domanda di accesso alla procedura ovvero al più tardi al momento della decisione in ordine all’ammissibilità della proposta concordataria (v. anche Cass. Sez. Un. 40797/2023, in relazione al primato dello strumento penalistico nella materia in esame).
Con il secondo mezzo si deduce, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘erronea interpretazione dell’effetto devolutivo
del reclamo in merito alla valutazione di ammissibilità della proposta di concordato in relazione a fatti sopravvenuti previsti dalla proposta concordataria -Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L.F. in relazione agli artt. 160, 161 e 162 L.F.’
Il secondo motivo è inammissibile.
2.1 Le doglianze proposte dalla società ricorrente risultano infatti decentrate rispetto alla ratio decidendi , sulla quale si sorregge argomentativamente il provvedimento impugnato. Invero, non risulta pertinente e non si confronta così con il thema decidendum del giudizio di reclamo la dedotta questione della ‘ devoluzione piena ‘ del reclamo. La Corte territoriale ha infatti esaminato certamente la questione ‘devoluta’ con il reclamo ex art. 18 l. fall., e cioè la revoca nel corso del giudizio di impugnazione della misura cautelare penale e ha ritenuto, peraltro correttamente, che la stessa fosse irrilevante per il giudizio di fattibilità, e ciò perché tale giudizio doveva essere ancorato alla situazione fattuale e giuridica esistente al momento della pronuncia di primo grado innanzi al Tribunale.
In realtà, non può essere dimenticato che la domanda di concordato preventivo è indirizzata, dopo la fase di ammissione e di approvazione dei creditori, ad approdare velocemente all ‘ omologazione da parte del Tribunale, per cui la stessa non può certo essere condizionata sospensivamente o risolutivamente all’esito della procedura cautelare penale , come tale estranea al procedimento di omologazione della proposta.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per ‘erronea valutazione degli effetti del provvedimento di dissequestro ex art. 321 c.p.p. -Violazione e falsa applicazione dell’art. 321 c.p.c. nonché degli artt. 160, 161 e 162 L.F.’
3.1 Il motivo è inammissibile.
Anche in questo caso la ricorrente con si confronta infatti con la ratio decidendi del provvedimento impugnato, per come già sopra ricordata in premessa. Ed invero, il Tribunale di Siracusa, decidendo sulla richiesta di revisione della misura cautelare reale, si era determinato a revocare il sequestro proprio perché era pendente la procedura fallimentare, con la istituzionale presenza del curatore che sarebbe pertanto rientrato nel
possesso e nella disponibilità dei beni oggetto di dissequestro. Con la conseguenza che i beni, così riacquisiti dalla curatela, sarebbero stati destinati alla liquidazione fallimentare in favore dei creditori, situazione quest’ultima che , diversamente da quanto opinato dalla ricorrente, non è certo equiparabile giuridicamente a quella del concordato preventivo ove si verifica invece uno spossessamento dei beni solo attenuato e la proprietà degli stessi rimane sempre in capo al debitore ammesso al concordato preventivo.
Ebbene, questa è la ragione decisoria del provvedimento impugnato, che tuttavia la ricorrente dimentica di censurare, con la conseguenza che le ulteriori censure, per come già sopra ricordate, diventano non rilevanti in questo giudizio di legittimità.
Il quarto mezzo denuncia espressamente la ‘Inesistenza di alcun vincolo penale in ordine alla disponibilità del complesso aziendale -omesso esame circa un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti -motivo di ricorso ex art. 360, comma I, n. 5, c.p.c.’
4.1 Anche il quarto motivo è inammissibile.
In realtà, la ricorrente propone le medesime doglianze avanzate nel terzo motivo, questa volta sotto il paradigma applicativo del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., con la conseguenza che possono essere qui richiamate le medesime considerazioni già svolte in relazione al terzo motivo in ordine all’inammissibilità delle censure così proposte, con l’ulteriore precisazione che comunque il ‘fatto’ storico di cui si lamenta l’omesso esame da parte dei giudici del merito è stato invece esaminato, secondo le declinazioni applicative dettate da Cass. Sez. Un. n. 8054/2014.
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 12.3.2025