Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21250 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21250 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 5870/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (cod. fisc. P. Iva P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore dottAVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Curatore e legale rappresentante pro tempore AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
contro
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA
–
intimata – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, I sez. civile, n. 116/2019 del 9 gennaio 2019, resa nel procedimento n. R.G. 53231/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/7/2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.Con la sentenza qui impugnata, la Corte di Appello di Roma ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE, nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la sentenza emessa dal Tribunale di Roma in data 14 giugno 2017, che aveva dichiarato il fallimento della detta società.
Con decreto datato 8 novembre 2017 il Tribunale di Roma, evidenziando una serie di gravi criticità, aveva invero dichiarato l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo presentata da RAGIONE_SOCIALE in data 14 giugno 2017 e, in seguito a ll’istanza di fallimento depositata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma (in relazione a debiti erariali per imposte non versate) e con successiva sentenza n. 847/2017 resa in pari data, il Tribunale – accertati i presupposti di legge – aveva così dichiarato il citato fallimento.
Il provvedimento dell’8 novembre 2017 era stato preceduto, in data 11 settembre 2017, da altro dello stesso Tribunale che aveva negato altresì accesso alla procedura competitiva ex art. 163 bis legge fall. richiesta da RAGIONE_SOCIALE, motivando sul punto in ordine al l’assenza d ella predisposizione del piano concordatario, di una stima dell’azienda, della rappresentazione di motivi di urgenza e considerata l’incompatibilità tra la sollecitata cessione dell’azienda e l’intenzione di assicurare la continuità dell’attività di imp resa.
Con impugnativa del 21 dicembre 2017 RAGIONE_SOCIALE proponeva dunque reclamo ex art. 18 l. fall. innanzi alla Corte di appello di Roma, affidato a quattro motivi di doglianza, per sentire dichiarare la revoca della sentenza dichiarativa del suo fallimento, nonché la revoca o l’ annullamento
del decreto ex art. 162, comma 2, legge fall., con conseguente statuizione per il ripristino della sua posizione processuale nella procedura di concordato preventivo.
Con la sopra ricordata sentenza del 9 gennaio 2019 la Corte d’Appello di Roma rigettava il reclamo sottolineando, più in particolare: (i) la estrema genericità di alcuni dei proposti motivi; (ii) la mancanza, comunque, di specifiche censure volte ad impugnare fondamentali passaggi dell’iter motivazionale seguito dal Tribunale nei suoi provvedimenti, così da dover ritenerne incontestati i rilievi; (iii) la condivisibilità dell’assunto dello stesso Tribunale relativo all ‘operatività dell’art. 2560 c.c., e ai comp iti, non adempiuti, facenti carico all’attestatore.
La sentenza, pubblicata il 14 giugno 2017, è stata impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘ violazione degli artt. 160, 161 e 162 L.F. in relazione all’art. 360, comma I, n. 3, c.p.c., nella parte in cui il Tribunale di Roma e la Corte di Appello di Roma (avevano) dichiarato l’inammissibilità della proposta di concordato preventivo, per carenza dei presupposti di legge ed il conseguente fallimento di RAGIONE_SOCIALE -Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ‘.
1.1 Le censure, così proposte, sono, in parte inammissibili, e, per altra parte, infondate.
1.1.1 La ricorrente censura infatti le valutazioni espresse, prima, dal Tribunale e, poi, dalla Corte di Appello con riferimento alle previsioni dell’art. 2560 c.c. e in relazione ai profili: (i) del giudizio di fattibilità della proposta di concordato (cfr. pagg. 6, 7 e 8 del ricorso introduttivo); (ii) del l’estinzione dell’Iva di gruppo ex art. 73, ultimo comma, d.p.r. 633/1972 e d.m. 13 dicembre 1979, n. 11065, tra la ricorrente e la sua controllante RAGIONE_SOCIALE (pagg. 9 e 10); (iii) nonché del la valenza dell’at testazione del professionista
sulla solvibilità di RAGIONE_SOCIALE per l’accollo liberatorio dei costi prededucibili e sulla solvibilità della cessionaria acquirente RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 11 sempre del ricorso per cassazione).
1.1.2 Sul punto, va subito osservato che le doglianze così articolate, come tali veicolate sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, neanche indicano con chiarezza e con il necessario supporto argomentativo le ragioni per le quali le statuizioni, cui i giudici di merito erano pervenuti attraverso le sopra menzionate valutazioni, sarebbero state assunte in violazione o falsa applicazione delle norme indicate in rubrica, sicché il loro richiamo risulta essere una mera copertura formale di censure estranee alla tipizzazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e in realtà volte ad introdurre la richiesta di una nuova ricostruzione della quaestio facti . Sul punto giova ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 24298 del 29/11/2016 ; Sez. L – , Ordinanza n. 17570 del 21/08/2020).
1.2 A ciò va aggiunto che la società ricorrente dimentica anche di censurare la principale ratio decidendi della motivazione del provvedimento qui impugnato. Ed invero, la pronuncia della Corte di appello non risulta affatto censurata con riguardo alla rilevata inammissibilità del terzo motivo di reclamo, sul quale la corte di merito, in un passaggio non riportato dalla società ricorrente, ha così motivato: ‘ Il terzo motivo appare inammissibile in quanto da un lato la reclamante si limita a riportare, trascrivendole letteralmente, le considerazioni già espresse nelle note difensive depositata il 15/10/2017, senza tuttavia prendere specifica posizione sul decreto di inammissibilità dell’8/11/2017 che tali rilievi critici ha confutato, dall’altro non mira a colpire i passaggi sui quali il decreto si articola, come sopra in sintesi richiamati. Si consideri, in particolare, come non risulti censurato il punto motivazionale riguardante il mancato riferimento, nella transazione fiscale, alla cessione del credito Iva vantato da RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE né alla mancanza di riscontri asseverativi circa l’esistenza di tale ragione di c redito, dovendo ritenersi che i suindicati rilievi argomentativi siano rimasti incontestati ‘ ( si legga sentenza impugnata, pag. 5).
Ebbene, a fronte delle suddette conclusioni contenute nella sentenza resa in sede di reclamo, non oggetto di ricorso in questa sede -che hanno peraltro affermato l’incontestabilità, per difetto di impugnazione, della mancanza di riscontri circa l’esistenza dei crediti Iva di RAGIONE_SOCIALE da compensare, mediante cessione alla proponente o accollo -le censure proposte dell’odierna ricorrente risultano sul punto così radicalmente inammissibili.
1.2.1 Le doglianze proposte dalla ricorrente si traducono, allora, nell’evidente sollecitazione di una terza valutazione di merito, laddove (cfr. pag. 9 del ricorso), denunziano, ancorché genericamente, un travisamento da parte di entrambi i Giudici della documentazione in atti in relazione alla valutazione della solvibilità di RAGIONE_SOCIALE, di cui chiede, ancora ed in modo evidentemente inammissibile, una diversa lettura; ovvero laddove (cfr. pag. 10 del ricorso) lamentano una qualche ‘ evidente violazione dell’iter motivazionale che ha condotto il Tribunale alla declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato preventivo, in relazione al pagamento dell’Iva di gruppo, dispiegando la doglianza stessa attraverso una proposizione di carattere
ipotetico; e ciò, come sempre, attraverso una prospettazione di fatto non censurabile attraverso la deduzione del vizio di cui all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., come quella qui oggi proposta dalla ricorrente ‘ .
1.4 Ma anche le ulteriori censure sollevate in ordine alla presunta violazione, da un lato, dell’art. 2560 cod. civ. e, dall’a ltro, dei limiti di scrutinio del Tribunale in tema di giudizio di fattibilità del piano non meritano condivisione, sebbene la motivazione impugnata imponga una necessaria integrazione.
1.4.1 Contesta, infatti, la società ricorrente gli apprezzamenti espressi dalla Corte di mer ito in ordine al profilo dell’accollo da parte della società controllante RAGIONE_SOCIALE dei costi prededucibili ed in relazione al giudizio di solvibilità della cessionaria acquirente RAGIONE_SOCIALE, dal momento che la verifica effettuata sui dati e le informazioni in questione avrebbero dimostrato, alla luce del dato normativo, che gli apporti di terzi indicati nel piano concordatario non erano idonei -secondo gli apprezzamenti dei giudici del merito – a costituire poste attive concordatarie e dunque a soddisfare i creditori, rappresentando al contrario, specularmente, uno degli ostacoli alla realizzabilità nei fatti del suddetto piano, come presentato dal debitore, e indice della sua inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.
1.4.2 Si tratta di un giudizio reso in corretta applicazione delle norme della legge fallimentare che si assumono invece violate e comunque insindacabile nell ‘odierno giudizio di legittimità.
Sul punto va infatti chiarito che tali apprezzamenti riguardano -diversamente da quanto opinato dalla ricorrente -la valutazione in ordine al giudizio di fattibilità economica del piano concordatario e non già il profilo della convenienza della proposta (come tale rimessa alle valutazioni insindacabili del ceto creditorio), scrutinio diverso tuttavia da quello della fattibilità giuridica del piano concordatizio, come invece ritenuto, in modo impreciso, dalla Corte territoriale, con la conseguente necessità di precisare gli istituti richiamati nella sentenza qui impugnata.
È utile infatti ricordare che, secondo gli ultimi approdi della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le prime: Sez. 1, Sentenza n. 9061 del 07/04/2017), in tema di concordato preventivo, il tribunale è tenuto ad una verifica diretta del presupposto di fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla
relativa procedura, nel senso che, mentre il controllo di fattibilità giuridica non incontra particolari limiti, quello concernente la fattibilità economica, intesa come realizzabilità di esso nei fatti, può essere svolto nei limiti della verifica della sussistenza, o meno, di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi (con ciò ponendosi il giudice nella prospettiva funzionale, propria della causa concreta). Tali principi vengono maggiormente in rilievo nell’ipotesi di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis l.fall., laddove la rigorosa verifica della fattibilità in concreto presuppone un’analisi insc indibile dei presupposti giuridici ed economici, dovendo il piano con continuità essere idoneo a dimostrare la sostenibilità finanziaria della continuità stessa, in un contesto in cui il ‘ favor ‘ per la prosecuzione dell’attività imprenditoriale è accompagn ato da una serie di cautele inerenti il piano e l’attestazione, tese ad evitare il rischio di un aggravamento del dissesto ai danni dei creditori, al cui miglior soddisfacimento la continuazione dell’attività non può che essere funzionale.
Orbene, ritiene il Collegio che il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, laddove avevano svolto un giudizio complessivo sulla solvibilità della società controllante RAGIONE_SOCIALE, in ordine alla previsione della possibilità di pagamento dei debiti prededucibili della procedura, ovvero della società offerente l’acquisto dell’azienda, in ordi ne alla possibilità dell ‘ estinzione del debito erariale ( nella duplice prevista possibilità dell’accollo liberatorio del debito stesso da parte della cessionaria ovvero della compensazione del debito fiscale della società in c.p. con il credito Iva vantato dalla società cessionaria l’azien da) – non abbiano in alcun modo travalicato il perimetro di giudizio rimesso ai giudici del merito, in sede di valutazione dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della fattibilità del piano concordatario, essendosi invece attenuto il Tribunale proprio ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, principi che anzi impongono ai giudici del merito, in sede di ammissione della proposta concordataria, di apprezzare il profilo della realizzabilità giuridica ed economica del ‘ progetto ‘ di superamento della crisi aziendale, anche
attraverso la valutazione della solidità economica dei presupposti fattuali che sorreggono la realizzabilità complessiva del piano concordatario, scrutinio diverso quest’ultimo dal giudizio di convenienza che, risulta, in ordine logico, successivo a quello di fattibilità economica e che pertiene, con tutta evidenza, al diverso profilo della scelta tra la soluzione negoziale concordataria e quella invece liquidatoria fallimentare.
1.4.3 Incontestata tale premessa, risulta dunque corretto il ragionamento operato dai giudici di merito, come tale volto a pretendere la dimostrazione dell’effettiva esistenza del credito Iva di RAGIONE_SOCIALE rispetto a un piano che prevedeva la cessione dell’azienda di RAGIONE_SOCIALE con tutti i crediti e debiti, in assenza di accettazione dell’agenzia destinataria , appartenendo tale giudizio alla valutazione, unitariamente intesa, di realizzabilità del piano concordatario e non già a quella, diversa, di convenienza economica della proposta.
1.4.4 Quanto, infine, all’accollo da parte di RAGIONE_SOCIALE dei costi prededucibili della procedura concordataria (cfr. ricorso, pag. 11, sub c) su cui RAGIONE_SOCIALE continua a censurare il provvedimento impugnato -in questo punto in relazione all’art. 1273, comma 2, c.c. si pretenderebbe, qui e con valutazioni in fatto (come tali inammissibili in questo giudizio di legittimità), di dimostrare la fattibilità del piano, sulla base delle sole dichiarazioni delle parti interessate, e cioè il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE ed i professionisti della procedura, senza tuttavia considerare -in relazione alla solvibilità dell’accollante l’ accertata assoluta carenza informativa del piano e della relazione asseverativa del professionista attestatore.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 161, comma 3, legge fall., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. ‘ nella parte in cui il Tribunale di Roma e la Corte d’Appello di Roma (avevano) sollevato rilievi e contestazioni circa l’attendibilità e la completezza dell’attestazione del professionista, nonché … per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘.
2.1 In sintesi assume la società ricorrente che l’attestatore del piano avrebbe svolto correttamente il proprio incarico e che non sarebbe rientrato in
quest’ultimo, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dagli organi giudicanti, il compito di effettuare verifiche contabili sulla società controllante RAGIONE_SOCIALE e sull’offerente RAGIONE_SOCIALE
2.2 Le doglianze, così proposte dalla ricorrente, non sono tuttavia condivisili. Osserva infatti il Collegio che – nella valutazione che il Tribunale deve compiere sulla fattibilità giuridica ed economica del concordato, nel senso già sopra chiarito – assume valore incidente e diretto anche la verifica da parte dell’attestatore della capacità di tutti i soggetti coinvolti di adempiere alle obbligazioni che, con la proposta concordataria, vanno ad assumere, verifica che soltanto apparentemente riguarda soggetti terzi. Ed invero, a fronte di un tale ragionamento decisorio, anch’esso chiaramente riservato al Tribunale, le considerazioni dell’odierna ricorr ente si risolvono, dunque, in una proposta di diversa valutazione della prospettiva di serietà del piano concordatario e in un’aspettativa di più gradita statuizione di merito, processualmente insuscettibile di essere scrutinata in questa sede di legittimità.
Ne consegue che, contrariamente a quanto opinato dalla società ricorrente, le carenze informative contenute nell’attestazione – ben evidenziate dal Tribunale sin dal decreto del 6 ottobre 2017 e poi dalla Corte di merito, in sede di reclamo – non possono essere certo confutate, circoscrivendo il ruolo dell’attestatore nel perimetro di un ‘controllo alla base dei dati contabili su cui si fondano le previsioni del piano’ (cfr. ricorso per cassazione, pag. 13). Al contrario risulta invero evidente ed indiscutibile il dovere dell’attestatore di certificare ‘la fattibilità’ del piano concordatario , requisito quest ‘ultimo che non vincola, con tutta evidenza, il controllo di legittimità esercitato dal Tribunale sul giudizio di fattibilità del piano di concordato, rimanendo riservata, poi, ai creditori unicamente la successiva valutazione sulla convenienza economica della proposta stessa.
2.3. Quanto al tema dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giu dizio che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti, esso è soltanto annunciato e in nessun modo motivato, così dovendosi riconoscere la evidente inammissibilità delle relative censure per genericità di formulazione. Il secondo motivo va dunque dichiarato inammissibile.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 163 bis e 163 bis, comma 5, legge fall., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. , sul rilievo che erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto che, solo successivamente alla valutazione di ammissibilità della domanda di concordato, vi fossero le condizioni di legge per l’applicazione dell’art. 163 bis, legge fall. -che prevede l’apertura di un procedimento competitivo per l’acquisizione di offerte concorrenti laddove viceversa la norma in esame sarebbe applicabile anche nella fase di pre-co ncordato, ai sensi dell’art. 161, comma 7, legge fall.
3.1 Il motivo è inammissibile perché estraneo rispetto alle rationes decidendi che sorreggono il relativo decisum .
3.1.1 Sotto un primo profilo di riflessione, va osservato che il diniego di accesso a procedura competitiva pronunziato dal Tribunale – per i motivi ricordati nella sentenza della Corte di appello – non risulta più impugnabile in questa sede, avendo formato oggetto di un provvedimento dello stesso Tribunale, antecedente al reclamato decreto di inammissibilità e a suo tempo non censurato.
3.1.2 Sotto altro profilo, non può sottacersi che la decisione di rigetto delle doglianze qui riproposte (e già formulate peraltro nel secondo motivo di reclamo) è stata fondata dalla Corte di merito su distinte, autonome ragioni, ciascuna di per sé giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificarla e nessuna delle quali è stata, in questa sede, adeguatamente impugnata.
3.1.3 Ed invero, la Corte territoriale ha posto in evidenza, anzitutto, la completa genericità del reclamo, non essendo stati, nel conseguente giudizio impugnatorio, sottoposti a specifica censura, dunque, i passaggi della motivazione con la quale il Tribunale aveva giustificato il rigetto dell’istanza di accesso alla procedura competitiva.
Orbene, questa prima, autonoma e decisiva ragione del decisum non è stata tuttavia oggetto di alcuna esplicita, specifica censura in questa sede; e tanto è di per sè sufficiente per rendere irrilevante l’esame delle ulteriori doglianze che compongono il motivo di ricorso e a determinarne l’inammissibilità.
3.1.4 A ciò va aggiunto che l ‘ ulteriore ratio decidendi posta a sostegno del provvedimento qui impugnato in relazione alla presunta violazione dell’art. 163bis c.p.c. – si fondava anche sul profilo che l’offerta di acquist o era stata ritenuta inidonea dal tribunale ad ‘innescare’ la successiva procedura competitiva, ragione decisoria quest’ultima posta a sostegno sia del provvedimento interinale di diniego all’accesso alla detta procedura (precedente al provvedimento di inammissibilità della proposta concordataria) e sia della sentenza resa in sede di reclamo, che, sul punto qui da ultimo in decisione, non è stata, ancora una volta, censurata con il presente ricorso per cassazione.
3.1.5 Va anche detto, a completamento di quanto sopra osservato, che, in realtà, la Corte di merito, così come il Tribunale, diversamente da quanto sostenuto dal l’odierna ricorrente, non ignora vano che alla procedura competitiva potesse farsi luogo anche in sede di pre-concordato, ma avevano precisano che le condizioni richieste a tal fine dalla legge non ricorrevano, nel caso di specie, rispetto alla proposta di accesso alla procedura di RAGIONE_SOCIALE
Sul punto va infatti ricordato che l’art. 163bis, 5 comma, l. fall. consente l’utilizzo della procedura competitiva nella fase preconcordataria, a patto che siano rispettate le condizioni di cui al richiamato art. 161, 7 comma, l. fall. che prescrive la previa autorizzazione del tribunale che, nel caso di specie, è stata, invece, espressamente negata per le ragioni già sopra richiamate.
4.1. Con il quarto motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denunzia la pretesa violazione e falsa applicazione da parte della Corte di appello dell’art. 162 legge fall., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per la (ritenuta) ‘reductio ad unum’ di due doglianze contenute nel primo motivo di reclamo, concernenti la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio. 4.2 Le doglianze così proposte sono inammissibili.
4.2.1 Secondo la ricorrente, tali doglianze avrebbero avuto ad oggetto: (i) la prima, l’inserimento nel fascicolo della procedura di alcuni documenti trasmessi dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza di Trieste di cui la sua difesa sarebbe venuta a conoscenza solo in occasione della camera di consiglio, fissata ex art. 162, comma 2, legge fall., al 17 ottobre 2017; (ii) la seconda, l’arbitraria
mancata concessione da parte del Tribunale di un termine a difesa, chiesto nella memoria del 15 ottobre 2017, per superare i rilievi espressi dal giudice di primo grado nel suo decreto del 6 ottobre 2017.
4.3 Le doglianze, così riproposte, sono inammissibili perché le stesse, ancora una volta, non si confrontano con le rationes decidendi poste a sostegno della decisione qui impugnata, che si fondavano, da un lato, sulla genericità delle contestazioni sollevate in sede di reclamo e, dall’altro, sull’ irrilevanza dei documenti di cui si lamentava l’acquisizione, limitandosi la ricorrente a riproporre, qui e inammissibilmente, le censure già proposte in sede di reclamo.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2024