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Famiglia di marchi: la guida della Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un’azienda di moda maschile contro una di calzature femminili. Il caso verteva sul concetto di “famiglia di marchi”. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano escluso l’esistenza di una famiglia di marchi per l’azienda ricorrente, poiché i suoi vari loghi, pur condividendo le stesse iniziali, non presentavano un nucleo fondamentale comune e costante. È stata inoltre ribadita la natura “debole” dei marchi, per cui lievi variazioni sono sufficienti a escludere la contraffazione.

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Famiglia di Marchi: Quando un Segno Comune Non Basta

Nel complesso mondo della proprietà intellettuale, la tutela del marchio è fondamentale. Una delle strategie più interessanti per le aziende è la creazione di una famiglia di marchi, un insieme di segni distintivi che, pur con delle variazioni, riconducono il consumatore a una stessa origine aziendale. Ma quali sono i criteri per affermare che diversi marchi costituiscono una “famiglia”? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre importanti chiarimenti, delineando i confini tra una serie coordinata di marchi e una semplice collezione di loghi con elementi simili.

I Fatti del Contenzioso

La vicenda legale ha visto contrapposte due note aziende del settore della moda: una, operante principalmente nel mercato delle calzature femminili di alta gamma, e l’altra, attiva nel settore dell’abbigliamento e accessori maschili.
La prima azienda si è rivolta al Tribunale di Milano per accertare che i propri marchi non costituissero una contraffazione di quelli della seconda e per denunciare una condotta di concorrenza sleale. L’azienda convenuta, a sua volta, ha risposto con una domanda riconvenzionale, sostenendo di essere titolare di una famiglia di marchi (sia registrati che di fatto) basati sulle medesime iniziali e accusando la prima società di contraffazione.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno dato ragione all’azienda di calzature. I giudici di merito hanno stabilito che i marchi della società di abbigliamento maschile non costituivano una vera e propria famiglia, in quanto mancava un elemento comune e costante che potesse generare un’associazione univoca nella mente del consumatore.

La Valutazione sulla famiglia di marchi

Il punto cruciale della decisione della Corte d’Appello, poi confermata dalla Cassazione, riguarda proprio la definizione di famiglia di marchi. Per essere riconosciuta come tale, una serie di marchi deve possedere un “marchio capostipite” o, comunque, un “nucleo fondamentale comune” che viene riprodotto in modo costante ed evidente in tutti i segni della serie. Le eventuali variazioni grafiche devono essere marginali e accessorie.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che l’azienda ricorrente utilizzava le iniziali comuni in modi estremamente eterogenei:

* Con caratteri “classicheggianti”.
* Inserite in cornici geometriche decorate (es. ottagonali).
* Con decori intrecciati che rendevano le lettere meno riconoscibili.
* In “stampatello” maiuscolo, con lettere distanti tra loro.
* Con forme moderne e quasi geometriche.

Questa varietà stilistica, secondo i giudici, impediva di ravvisare quel “nucleo fondamentale comune” necessario a creare una famiglia di marchi. In altre parole, l’elemento comune non era abbastanza forte e costante da far percepire al pubblico che tutti i prodotti provenissero dalla stessa impresa.

La Debolezza del Marchio e il Rischio di Confusione

Un altro aspetto determinante è stata la qualificazione dei marchi della società ricorrente come “deboli”. Un marchio è considerato debole quando ha una scarsa capacità distintiva. In questi casi, la tutela legale è meno intensa: sono sufficienti anche lievi modificazioni o aggiunte da parte di un concorrente per escludere il rischio di confusione. La Corte ha confermato che, data la natura debole dei segni, le differenze presenti nei marchi della società di calzature erano sufficienti a scongiurare ogni confondibilità, sia dal punto di vista visivo che fonetico.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo i principi consolidati in materia. Ha sottolineato che la valutazione sulla sussistenza di una famiglia di marchi e sul rischio di confusione è un’indagine di merito, che non può essere riesaminata in sede di legittimità se la motivazione dei giudici precedenti è logica e coerente.

I giudici supremi hanno evidenziato che la Corte d’Appello aveva correttamente applicato la giurisprudenza unionale e nazionale, secondo cui la mera presenza di un elemento comune non basta. È necessario che questo elemento sia distintivo e che il titolare provi l’uso effettivo di un numero di marchi sufficiente a farli percepire dal pubblico come una serie. Nel caso di specie, la valutazione negativa sulla sussistenza di un “nucleo fondamentale comune” era stata ben argomentata e motivata, chiudendo di fatto la porta a una rivalutazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre una lezione preziosa per le imprese: per ottenere la forte tutela garantita a una famiglia di marchi, non è sufficiente utilizzare le stesse lettere o un elemento grafico simile in più loghi. È indispensabile che vi sia coerenza, costanza e un nucleo distintivo chiaramente riconoscibile, tale da creare un’associazione immediata nella mente del consumatore. In assenza di questo prerequisito, i marchi verranno valutati singolarmente e, se considerati “deboli”, godranno di una protezione limitata, rendendo più difficile agire contro concorrenti che utilizzano segni simili ma non identici.

Quali sono i requisiti per riconoscere una “famiglia di marchi”?
Per riconoscere una famiglia di marchi è necessario che tutti i segni riproducano integralmente uno stesso elemento distintivo (nucleo fondamentale comune) in modo costante ed evidente. Le eventuali varianti grafiche devono essere accessorie e marginali. Inoltre, il titolare deve fornire la prova dell’uso effettivo sul mercato di un numero di marchi sufficiente a costituire una serie.

Perché i marchi della società ricorrente non sono stati considerati una “famiglia di marchi”?
Perché, secondo la Corte, mancava un “nucleo fondamentale comune” ripetuto in modo costante ed evidente. Le lettere comuni venivano utilizzate con modalità grafiche talmente differenti tra loro (classiche, in cornici, intrecciate, in stampatello) da impedire al pubblico di percepirli come parte di un’unica serie riconducibile alla stessa azienda.

Cosa implica la qualificazione di un marchio come “debole”?
Un marchio debole ha una ridotta capacità distintiva e gode di una tutela giuridica attenuata. Ciò significa che per escludere la confondibilità con un altro marchio, e quindi la contraffazione, sono sufficienti anche lievi modifiche o aggiunte, a condizione che non siano così marginali da non elidere comunque il rischio di confusione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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