Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33655 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33655 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa congiuntamente e/o disgiuntamente, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché dagli Avv.ti NOME COGNOME e Prof. Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
-controricorrente –
Oggetto:
Marchio
Nullita’
contraffazione
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 3057/2023, comunicata il 30.10.2023, e notificata in data 31.10. 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13.12.2024 dalla Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Sergio RAGIONE_SOCIALE – Società operante prevalentemente nel mercato delle calzature femminili, di fascia alta, sin dagli anni ’60 titolare di una pluralità di marchi figurativi – conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Milano, la Stefano RAGIONE_SOCIALE, società attiva principalmente nel settore di capi di abbigliamento maschili e accessori, chiedendo l’accertamento negativo della contraffazione dei marchi, anteriori, nella titolarità della convenuta e l’accertamento della condotta di concorrenza sleale posta in essere dalla convenuta, con inibitoria e condanna al risarcimento dei danni subiti.
La convenuta costituendosi svolgeva domanda riconvenzionale chiedendo invece accertarsi la contraffazione a proprio danno da parte dell’attrice sia dei marchi di titolarità NOME COGNOME registrati sia di ulteriori marchi di fatto e il compimento di concorrenza sleale. L’attrice formulava reconventio reconventionis di nullità dei marchi di fatto per difetto di anteriorità, domanda questa successivamente rinunciata.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 5309/2021 pubblicata in data 21 giugno 2021accoglieva solo in parte le domande di NOME COGNOME accertando i marchi si NOME RAGIONE_SOCIALE non costituiscono contraffazione e non interferiscono con i marchi NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ma respingeva le ulteriori domande proposte dall’attrice NOME COGNOMEdi decadenza per non uso dei marchi della convenuta) e le domande riconvenzionali della convenuta NOME COGNOMEin quanto dovendo i marchi di NOME COGNOME essere considerati marchi deboli, come tali,
singolarmente confrontati con quelli NOME COGNOME non risultavano essere da questi ultimi contraffatti, anche avuto riguardo ai marchi di fatto della NOME COGNOME prima della registrazione del 2018, in difetto di dimostrazione di una loro notorietà qualificata costante e ripetuta nel tempo).
La NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto gravame dinanzi alla Corte di Appello di Milano che con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito ha precisato che: a) una ‘ famiglia di marchi ‘, per essere tale, presuppone un ‘ marchio capostipite ‘ e altri marchi che riproducono lo stesso nucleo fondamentale, identificativo ed evocativo di determinati prodotti, con eventuali mere varianti grafiche, che, peraltro, devono apparire accessorie e marginali rispetto al nucleo fondamentale considerato; b) l’esame dei marchi dell’appellante delinea che non si può ravvisare in essi un ‘ nucleo fondamentale comune ‘ in quanto l’utilizzo delle lettere ‘ SR ‘ avviene in ciascuno dei marchi considerati -con modalità del tutto particolari e differenti, talvolta, mediante l’impiego di forme ‘classicheggianti ‘, altre, con l’ulteriore inserimento di una cornice geometrica e decorata, a forma ottagonale, dentro la quale le lettere sono inserite su sfondo bianco, altre ancora, mediante l’utilizzo di decori intrecciati tali da rendere meno riconoscibili ed evidenti le lettere e da evidenziare maggiormente l’aspetto decorativo ovvero, in un altro caso, mediante l’utilizzo delle lettere con modalità non intrecciate e distanti fra loro, in ‘stampatello ‘ maiuscolo e aventi fondo bianco /sfumato o utilizzando forme moderne e quasi geometriche ove, ancora una volta, il richiamo alle lettere ‘ SR ‘ appare molto meno evidente e riconoscibile; c) pertanto, in assenza di un ‘ nucleo fondamentale comune ‘ -che non si ripete in modo costante ed evidente -non sembra possibile ravvisarsi, in concreto, l’esistenza di una ‘ famiglia di marchi ‘, nel senso auspicato
da parte appellante; d) inoltre, la giurisprudenza unionale ha precisato che « la presenza di una «serie» o di una «famiglia» di marchi costituisce solo un fattore rilevante, che non è l’unico di cui tener conto, ai fini della valutazione dell’esistenza di un rischio di confusione. La mera qualificazione dei marchi invocati come ricollegati a una «serie» o a una «famiglia» non è pertanto sufficiente per fondare una conclusione definitiva quanto all’esistenza di un tale rischio. La prova dell’uso di tali NOME e il carattere distintivo del loro elemento comune, pur necessari per la costituzione di una «serie» o di una «famiglia», non possono nemmeno, in assenza di prova supplementare del rischio di confusione, costituire elementi sufficienti per fondare il diniego di registrazione di un marchio che presenti il medesimo elemento »; e) quanto alla natura ‘ debole ‘ dei marchi nella titolarità dell’appellante, una lettera dell’alfabeto, anche straniero, possa essere registrata, da sola o in combinazione con altri elementi, quale ‘marchio d’impresa ‘, purchè sia dotata di un certo margine di novità e capacità distintiva, mentre il marchio è ‘ forte ‘, laddove sia privo di alcun collegamento ideologico con il prodotto e abbia acquisito notorietà nel tempo, così da essere diventato -nel pubblico dei consumatori di riferimento -‘ IL ‘ segno marcatamente distintivo di quel prodotto; f) dalle indagini demoscopiche prodotte dalle parti, risulta evidente che il logo dell’appellante non risulta ‘noto ‘ a grande parte degli interv istati e non viene individuato quale segno distintivo di Stefano RAGIONE_SOCIALE e risulta confermata la natura ‘debole’ dei marchi di Stefano COGNOME RAGIONE_SOCIALE;g) laddove il marchio sia ‘ debole ‘, per escluderne la confondibilità con altri segni è sufficiente che questi ultimi presentino « anche lievi modificazioni od aggiunte », fermo restando che le stesse « non dev essere tal da risultare in concreto così marginal da non elidere il rischio confusorio »; h) l’impressione visiva che i loghi delle due diverse società restituiscono è quella di
segni differenti fra loro e, anche dal punto di vista fonetico, i marchi di RAGIONE_SOCIALE recano l’aggiunta di ‘ 1 ‘ o di ‘ Milano ‘, così da risultare ulteriormente differenziati anche sotto tale punto di vista. Ciò che vale, in base a una valutazione complessiva dei marchi considerati e ai diversi elementi caratterizzanti, ad escludere il rischio di confondibilità, anche per la diversità del pubblico di riferimento; i) il marchio c.d. di fatto si caratterizza per l’utilizzo costante e diffuso nel tempo e per la sua conoscenza effettiva da parte della clientela di riferimento, ma, nel caso concreto, la documentazione indicata da parte appellante non appare idonea a dare prova dell’esistenza di un ‘marchio di fatto’ prima della sua registrazione, avvenuta nel l’anno 2018.
La NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con due motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso .
Entrambe le parti hanno depostato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.La ricorrente deduce, con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 20 c.p.i.) in relazione alla nozione di ‘ famiglia di marchi ‘ secondo la preferibile interpretazione giurisprudenziale, nonché, sotto altro profilo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 132 c.p.c. per omissione di parte motiva, in quanto la Corte non ha considerato che, ai fini della sussistenza e tutela di una famiglia di marchi, non rileva in alcun modo la notorietà dei s egni che ne facciano parte e come sia bastevole la prova dell’uso di un numero sufficiente di marchi in grado di costituire una famiglia o una serie e, inoltre, i marchi composti da lettere dell’alfabeto possano validamente costituire una famiglia di marchi, indipendentemente dalla loro particolare caratterizzazione grafica.
La censura è inammissibile ex art.360 bis n. 1 c.p.c.
La Corte di merito, ai fini dell’individuazione della categoria della famiglia di marchi, si è richiamata ai consolidati principi di questa Corte, ribaditi prevalentemente anche dalla giurisprudenza unionale. Per considerare un marchio come parte di una stessa ‘ serie o famiglia ‘, è necessario, in particolare, che i marchi riproducano integralmente uno stesso elemento distintivo con l’aggiunta di un elemento, grafico o denominativo, che li differenzi l’uno dall’altro. Infatti, in tali ipotesi, un rischio di confusione può derivare dalla possibilità di associazione tra il marchio richiesto e i marchi anteriori appartenenti alla serie, qualora il marchio richiesto presenti con questi ultimi somiglianze tali da indurre il consumatore a credere che esso faccia parte di tale stessa serie e, pertanto, che i prodotti da esso contraddistinti abbiano la stessa origine commerciale di quelli protetti dai marchi anteriori o un’origine imparentata.
In primo luogo, il titolare della serie di registrazioni anteriori deve fornire la prova dell’utilizzo di tutti i marchi che appartengono alla serie o, quanto meno, di un numero di marchi in grado di costituire una serie. In secondo luogo, il marchio richiesto non soltanto deve essere simile ai marchi facenti parte della serie, ma deve anche presentare caratteristiche tali da consentire di ricollegarlo alla serie. Il rischio di associazione del marchio richiesto a una serie di marchi anteriori può essere invocato solo se il titolare della serie di registrazioni anteriori fornisce la prova dell’uso effettivo sul mercato rilevante dei marchi appartenenti alla serie o, quantomeno, di un numero di marchi tale da costituire una serie. Per contro, non si può esigere dal titolare dei marchi anteriori appartenenti a una serie di provare che tali marchi, effettivamente presenti sul mercato, siano inoltre percepiti dal pubblico di riferimento come costituenti una serie (Trib. UE, 25 novembre 2014 -cause riunite T-303/06 renv e T337/06 renv Unicredit / RAGIONE_SOCIALE , su marchi in conflitto che presentavano entrambi il prefisso ‘ uni ‘ ).
E ancora, ai fini della valutazione della carenza di novità di un marchio successivo simile, più marchi possono essere considerati parte di una stessa famiglia, laddove tutti riproducano integralmente uno stesso elemento distintivo con l’aggiunta di altro elemento, grafico o denominativo, che li differenzia l’uno dall’altro, oppure si caratterizzino per la ripetizione di uno stesso prefisso o suffisso estrapolato da un marchio originario, e comunque a condizione che il titolare di essi abbia provato l’uso effettivo sul mercato – in epoca anteriore alla data di deposito del marchio successivo della cui invalidità si discute – di un numero di essi sufficiente per farli percepire dal pubblico come una famiglia di marchi (Trib. UE, n. 518/2016).
Quindi, per ottenere tutela per il marchio facente parte della cd. ‘ famiglia o serie ‘ è necessario che ci sia un elemento distintivo comune con l’aggiunta di un elemento, grafico o denominativo, che li differenzi l’uno dall’altro, oppure quando si caratterizzino per la ripetizione di uno stesso prefisso o suffisso estrapolato da un marchio originario (sentenza Bainbridge del 23 febbraio 2006 T194/03).
E la famiglia di marchi viene riconosciuta solo se il suo titolare utilizza -e sia in grado di provare l’utilizzo tutti o una buona parte dei marchi che fanno parte della famiglia.
La Corte di merito circa la sussistenza dell’elemento comune ha espresso una valutazione negativa circostanziata e motivata, escludendo che nei marchi della società ricorrente si possa ravvisare un nucleo fondamentale comune.
La Corte d’appello dà inoltre una spiegazione condivisibile sulla non possibile equiparazione del caso in esame con altri esaminati dal medesimo tribunale di Roma per la diversità data dalla presenza di un marchio celebre, che non ricorre nel caso in oggetto.
La censura si risolve così in una richiesta di rivalutazione degli esiti probatori che non è ammissibile in sede di legittimità.
La denuncia di violazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche Cass., n. 15235/2022; Cass., n. 9352/2022; Cass., n. 6000/2022; Cass., n. 25915/2021), « non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative » (letteralmente Cass., n. 15235/2022; cfr. Cass., S.U., n. 34476/2019; Cass. n. 9021/2023; Cass. n. 6073/2023; Cass. n. 7993/2023).
La ricorrente, con il secondo motivo, lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 20, lett. B, c.p.i.), deducendo che la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che « l’assunto non sembra cogliere un dato fondamentale e cioè che il logo non risulta ‘noto’ a gran parte degli intervistati e non viene individuato quale segno distintivo di NOME COGNOME », trascurando che il giudizio di confusione tra marchi va condotto in via globale, tenendo presente tutti i fattori di una data fattispecie e, quindi, procedendo ad un esame concreto dei segni in conflitto, che tenga conto delle somiglianze, più che delle differenze, nonché del loro uso e della loro percezione da parte del pubblico, ciò anche in rapporto alla possibile associazione in cui quest’ultimo può incorrere tra il marchio anteriore ed il segno che si assume in contraffazione.
Anche tale doglianza è inammissibile.
La Corte di merito ha svolto una valutazione analitica della documentazione prodotta e dei rilievi sollevati ai fini della qualifica non debole dei marchi, confermando, sulla base del suo riesame , in toto la valutazione del Tribunale.
In particolare, la Corte territoriale ha valutato anche gli esiti delle indagini demoscopiche trovando conferme anche in essi sulla natura debole dei marchi e sulla loro poca notorietà.
La censura ritiene che la conferma della non notorietà dei marchi avversari non è adeguato elemento probatorio in punto di sussistenza del rischio di confusione.
La Corte ha affrontato specificamente la censura precisando che il logo non risulta ‘noto ‘ a grande parte degli intervistati e non viene individuato quale segno distintivo di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
La motivazione è logicamente corretta e coerente con lo sviluppo del ragionamento complessivo posto a base della decisione.
In definitiva, i giudici di merito in entrambi i gradi hanno specificamente valutato la confondibilità dei marchi, concludendo che: a) l’impressione visiva che tali loghi restituiscono è quella di segni differenti fra loro; b) i prodotti commercializzati dalle due Società non sono sovrapponibili e, di conseguenza, è diverso il pubblico di riferimento.
Le censure non sembrano cogliere le motivazioni e la ratio decidendi nel suo complesso e, pertanto, anche il secondo motivo assume una veste meritale, inammissibile in questa sede di legittimità.
Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che
liquida in € 7.000 per compensi e € 200 per esborsi, oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione