Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15696 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15696 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19449/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende.
-RICORRENTE- contro
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA 21 APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-CONTRORICORRENTI – nonché
COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME.
-INTIMATI- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4273/2023, depositata il 13/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno adito il Tribunale di Roma, chiedendo di dichiarare la falsità del testamento olografo redatto da NOME COGNOME in data 05.09.13, con cui il testatore aveva devoluto a NOME COGNOME l ‘appartamento sito in Roma , in INDIRIZZO revocando le precedenti disposizioni a favore degli attori.
Con sentenza n. 14312/2019, il Tribunale ha accolto la domanda, stabilendo che la successione era regolata dal l’ olografo pubblicato il 15.12.2014.
La pronuncia è stata confermata in appello.
Il giudice distrettuale ha condiviso le conclusioni del consulente, affermando che l ‘ atto costituiva un falso per calco per la completa sovrapponibilità di parte del testo contenuto nei due testamenti, la qualità innaturale della linea del tratto, l’ incertezza del tratto esecutivo e le alterazioni della scrittura non presenti nella grafia comparativa.
L ‘analisi grafo -dinamica del testamento evidenziava, secondo la pronuncia, la difformità della firma apposta in calce al testamento del 5 settembre 2013, rispetto a quelle presenti sulle scritture di comparazione, a conferma della falsità della scheda, non essendo decisive le contrarie risultanze della perizia svolta in sede penale, poiché effettuata su una copia del testamento.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui hanno resistito NOME COGNOME e NOME COGNOME. NOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
Il Consigliere delegato ha proposto la definizione accelerata del ricorso ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., cui si si è opposto il ricorrente, instando per la decisione.
I controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 2697 c.c. 113, 115, 116, 118 disp. att. c.p.c. e vizio di motivazione, per aver la sentenza aderito acriticamente alla c.t.u. senza considerare l’età del de cuius, l’esiguità delle scritture di comparazione, il periodo intercorso tra i due testamenti, e senza rispondere ai rilievi del c.t.p., che aveva posto in evidenza la naturalezza e spontaneità del tratto grafico, la non corrispondenza delle lettere e l ‘assenza di uniformità della pressione, incompatibili con il calco del testo, trascurando infine che i tratti tronchi finali non potevano costituire indizi di falsificazione, essendo caratteristiche del tratto grafico, al pari di altri elementi (torsioni, grovigli etc. etc.).
1.1. Il primo motivo è infondato.
La sentenza ha dettagliatamente replicato ai rilievi del c.t.p., condividendo motivatamente il giudizio tecnico del consulente, espressosi, con dovizia di argomenti, per la falsità della scheda (cfr. sentenza pagg. 4 e 6).
La Corte distrettuale ha spiegato che il testamento costituiva un falso per calco del precedente olografo e che, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, l’operazione del ricalco non richiede va necessariamente la riproduzione dell’intero testo ricalcato, essendo compatibile anche con una copia parziale in modo da evitare l’evidenza della falsificazione.
Le riscontrate corrispondenze grafiche non potevano considerarsi mera estrinsecazione delle caratteristiche proprie del grafismo del testatore, costituendo, piuttosto, come era emerso dalle immagini di ingrandimento, un’ ulteriore conferma della falsità, essendo il testo perfettamente sovrapponibile e collocato nel medesimo contesto spaziale in entrambi i testamenti, in assoluto contrasto con la regola secondo cui la scrittura di un soggetto non è mai perfettamente uguale, presentando una variabilità fisica dettata dall’impossibilità neuro-muscolare di riprodurre -anche volendolo -un testo o parte
di esso identico ad altro scritturo dello stesso autore (per coincidenza spaziale e gestuale di caratteristiche grafiche).
La falsità ha trovato riscontro nella qualità innaturale della linea del tratto, connotato da pieni meno marcati rispetto all’originale, denotanti un’incertezza del tratto esecutivo, e dalle alterazioni della scrittura non presenti nella grafia comparativa, costituite da continui stacchi interletterali, la presenza di lettere staccate e isolate, giustapposizioni, interruzioni e riprese anche disallineate, interruzioni tronche e riprese nei collegamenti interletterali e in seno ad alcune lettere, tratti finali tronchi e tratti aggiunti.
L ‘analisi grafo -dinamica del testamento oggetto del presente giudizio ha, inoltre, fatto emergere una scarsa naturalezza realizzativa del corpo del testo, così come un’evidente difformità della firma apposta in calce al testamento del 5 settembre 2013, rispetto a quelle apposte in calce alle scritture di comparazione.
Il riportato giudizio tecnico appare sorretto da logica ed articolata motivazione, non occorrendo un’analitica disamina degli argomenti su cui si era già espresso il consulente, essendo chiaramente evidenziato il percorso logico del giudice in risposta alle obiezioni del tecnico di parte, dovendo osservarsi che il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (Cass. 33742/2022; Cass. 1815/2015; Cass. 282/2009; Cass. 8355/2007; Cass. 12080/2000; Cass. 522/1981).
Il secondo motivo censura la pronuncia per violazione degli artt. 2697 c.c., 113, 115 116 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 654 c.p.p., addebitando alla Corte di merito non aver riservato il dovuto rilievo alle risultanze della perizia svolta in sede penale, che aveva accertato l’autenticità del testamento.
Il motivo è infondato.
E’ orientamento consolidato di questa Corte che nell’ordinamento processuale civile manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze degli atti delle indagini svolte in sede penale (Cass. 17392/2015; Cass. 13229/2015; Cass. 11775/2006; Cass. 20335/2004; Cass. 2168/2013; Cass. 132/2008; Cass. 22020/2007). Tale regola non incontra deroghe nei giudizi di falso in cui il giudice non è vincolato ad alcuna graduatoria nella selezione delle prove, potendo attribuire rilievo a qualsiasi elemento munito di forza dimostrativa della falsità, incluse le presunzioni (Cass. 5091/2022; Cass. 12118/2020).
Pur con tali premesse, l’astratta ammissibilità della prova atipica non può indurre a ritenere che l’accertamento del falso potesse svolgersi in deroga alle regole tecniche che ne condizionavano l’intrinseca attendibilità.
La perizia penale poteva costituire – anche da sola – elemento dimostrativo della autenticità del testamento solo se eseguita sull’originale della scheda (Cass. 3603/2024).
Nel giudizio promosso per la declaratoria di nullità di un testamento olografo per non autenticità del documento, l’esame grafologico deve necessariamente compiersi sull’originale, poiché soltanto su quest’ultimo possono rinvenirsi quegli elementi la cui pe culiarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione. Il principio non si spiega in virtù dell’esistenza di una graduatoria delle fonti di prova della falsità o per
l’inutilizzabilità della prova atipica, ma sulla scorta della necessaria valorizzazione di quei particolari elementi che appaiono imprescindibili -sotto il profilo strettamente tecnico – per la natura degli accertamenti da compiere. Soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione in relazione alla conosciuta specificità del profilo calligrafico, degli strumenti di scrittura abitualmente usati, delle stesse caratteristiche psico – fisiche del soggetto rappresentati dalla firma; non può che risultare inattendibile un esame grafico condotto su di una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi (Cass. 1831/2000; Cass. 1903/2007; Cass. 1903/2009; Cass. 10171/2015; Cass. 1995/2016; Cass. 14775/2016; Cass. 6918/2018; in merito alla possibilità di effettuare la perizia grafica su una copia, si esprime invece la giurisprudenza penale di questa Corte, ma negando che detta regola valga per i giudizi civili di falso: cfr., in motivazione, Cass. pen. 42938/2011; Cass. pen. 129080/2018; Cass. pen. 27392/2021).
Il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto o che il sottoscrittore abbia realmente partecipato alla redazione dell’atto (Cass. 711/2018).
Il ricorso è, quindi, respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; p oiché l’impugnazione è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis, cod. proc. civ. -il terzo e il quarto comma dell’art. 96, c.p.c., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di
legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass. S.u. 27433/2023; Cass. s.u. 27195/2023; Cass. s.u. 27947/2023). Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad € 7200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%, nonché di € 3500 ,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e dell’ulteriore importo di € 3000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione