Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3265 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 3265  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/02/2024
R.G.N. 30253/18
C.C. 12/1/2024
Vendita ramo d’azienda Preliminare -Falsità della firma apposta da un terzo
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30253NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME (C.F.:  CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa,  giusta  procura  in  calce  al  ricorso,  dall’AVV_NOTAIO,  nel  cui  studio  in  Roma,  INDIRIZZO,  ha eletto domicilio;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata  e  difesa,  giusta  procura  in  calce  al  controricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente –
avverso la  sentenza  della  Corte  d’appello  di  L’Aquila  n. 1480/2017, pubblicata il 4 agosto 2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera  di consiglio  del  12  gennaio  2024  dal  Consigliere  relatore  NOME COGNOME;
lette le  memorie  illustrative  depositate  nell’interesse  delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione del 24 gennaio 2001, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Sulmona, la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, al fine di sentire: a ) accertare l’inesistenza del contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda, in quanto falsificato nella firma del rappresentante legale della Ale; b ) ovvero pronunciare la risoluzione consensuale del contratto; c ) ovvero pronunciare la risoluzione del contratto per inadempimento della promittente cedente, non avendo l’azienda l’avviamento commerciale promesso; d ) ovvero pronunciare l’annullamento per dolo del contratto; e ) condannare, in ogni caso, COGNOME NOME alla restituzione della somma di vecchie lire 100 milioni, ricevuta in acconto.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale contestava che la firma apposta sul contratto dal proprio legale rappresentante NOME fosse falsa nonché la sussistenza di un accordo solutorio. Chiedeva, pertanto, il rigetto di tutte le domande proposte e, in via subordinata, che fosse dichiarata la responsabilità precontrattuale della promissaria cessionaria, con la condanna della stessa al risarcimento dei danni. Spiegava altresì domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna
dell’attrice alla restituzione di tutte le somme incassate per effetto della temporanea gestione dell’azienda promessa in vendita.
Si costituiva altresì COGNOME NOME, la quale eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva e, nel merito, chiedeva il rigetto delle domande spiegate.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 74/2010, depositata il  10  febbraio  2010,  rigettava  le  domande  principali  spiegate dall’attrice e le domande riconvenzionali proposte dalla convenuta NOME.
-Proponeva  appello  avverso  la  sentenza  di  primo  grado COGNOME  NOME,  la  quale  lamentava  che,  in  ragione  della falsificazione  della  firma  apposta,  il  contratto  era  inesistente  o nullo.
Si  costituiva  nel  giudizio  di  impugnazione  COGNOME  NOME,  la quale contestava le ragioni addotte a fondamento del gravame e ne chiedeva il rigetto, negando che vi fosse alcun falso.
Rimaneva contumace nel giudizio d’appello la RAGIONE_SOCIALE
Decidendo  sul  gravame  interposto,  la Corte d’appello di L’Aquila,  con  la  sentenza  di  cui  in  epigrafe,  accoglieva  l’appello spiegato e, per l’effetto, dichiarava la nullità del contratto preliminare  di  cessione  di  ramo  d’azienda  e  condannava  COGNOME NOME al pagamento, in favore COGNOME NOME, della somma di euro 51.645,69, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, a titolo di ripetizione dell’indebito oggettivo.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per  quanto  di  interesse  in  questa  sede: a )  che  alla  scrittura privata oggetto di causa non poteva annettersi l’efficacia
probatoria privilegiata prevista dall’art. 2702 c.c., per il fatto che fosse stata riconosciuta dal suo autore apparente, posto che tale disposizione si riferiva all’ipotesi in cui il documento fosse stato prodotto nei confronti del sottoscrittore, il quale, qualora avesse inteso contestare la non autenticità della propria apparente sottoscrizione, avrebbe avuto l’onere di disconoscerla, negando formalmente la propria sottoscrizione, mentre la parte che avesse inteso valersi della scrittura privata disconosciuta avrebbe dovuto chiederne la verificazione; b ) che, nel caso di specie, invece, l’attrice aveva promosso il giudizio per far accertare la falsità della sottoscrizione del preliminare, al fine della dichiarazione di inesistenza/nullità e dell’accoglimento della domanda restitutoria fondata su tale accertamento, cosicché avrebbero dovuto applicarsi le ordinarie regole probatorie; c ) che il Tribunale aveva accertato la falsità della firma a nome di COGNOME NOME, quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, sulla scorta della testimonianza resa da COGNOME NOME, coniuge della COGNOME, presente al momento della sottoscrizione del contratto, nonché della sentenza penale del Tribunale di Sulmona n. 570/2007, sicché era stata esclusa la ricorrenza della fattispecie del falsus procurator o della rappresentanza apparente (benché la declaratoria di inesistenza/nullità del contratto fosse stata disattesa dal Tribunale, riconducendo la fattispecie alla figura del contratto sotto nome altrui, nella consapevolezza del titolare del nome e della controparte); d ) che la pronuncia penale aveva assolto COGNOME NOME dal reato di formazione ed uso di scrittura privata falsa, in ragione della natura grossolana del falso, siccome commesso alla presenza della parte offesa e di altri testimoni; e )
che, dunque, il contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda era intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di promissaria acquirente, e la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di promittente cedente, sicché la falsità della firma del legale rappresentante della società promittente cedente, apposta materialmente dalla COGNOME, aveva determinato la nullità del contratto per mancanza di consenso, in quanto la parte cui il contratto si riferiva non aveva manifestato alcuna volontà negoziale; f ) che alla declaratoria di nullità conseguiva il diritto della COGNOME alla restituzione della somma di euro 51.645,69, oltre interessi legali, al cui pagamento doveva essere condannata COGNOME NOME, che aveva incassato la somma portata dall’assegno circolare emesso dalla COGNOME in suo favore, non risultando allegata in atti alcuna procura all’incasso da parte della società RAGIONE_SOCIALE.
-Avverso  la  sentenza  d’appello  ha  proposto  ricorso  per cassazione, affidato a quattro motivi, COGNOME NOME.
Ha resistito, con controricorso, COGNOME NOME.
-Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con  il  primo  motivo  la  ricorrente  denuncia,  ai  sensi dell’art.  360,  primo  comma,  n.  3,  c.p.c.,  la  violazione  dell’art. 2733 c.c., per avere la Corte di merito negato valore legalmente vincolante alla confessione giudiziale resa dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE in sede di interrogatorio formale, in  ordine  alla  apposizione,  a  sua  cura,  della  sottoscrizione  del contratto.
Osserva  l’istante  che  la  sentenza  impugnata  non  avrebbe assegnato  alla confessione il valore conferitole dalla legge, avendo,  invece,  fatto  prevalere  altri  elementi,  come  la  prova testimoniale, rispetto  all’affermazione  chiara  e  inequivocabile dell’apposizione della firma a cura di NOME.
1.1. -Il motivo è infondato.
E tanto perché l’interrogatorio formale è un mezzo diretto a provocare  la  confessione  giudiziale  di  fatti  sfavorevoli  all’autore della confessione, ad esclusivo vantaggio del soggetto deferente, mentre non può costituire prova di fatti favorevoli alla parte che lo rende (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 29472 del 24/10/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 5725 del 27/02/2019; Sez. 2, Sentenza n. 13212 del 06/06/2006).
Ora, per fatto sfavorevole al dichiarante e favorevole all’altra parte, al fine di stabilire se la dichiarazione dalla quale esso risulta abbia i caratteri della confessione, deve intendersi quello che, avuto riguardo all’oggetto della controversia ed ai termini della contestazione, è in concreto idoneo a produrre conseguenze giuridiche svantaggiose per colui che volontariamente e consapevolmente ne riconosce la verità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11635 del 21/11/1997; Sez. 2, Sentenza n. 4012 del 06/04/1995; Sez. 1, Sentenza n. 1428 del 04/04/1980).
Nella  fattispecie,  invece,  la  dichiarazione  di  NOME, quale  legale  rappresentante  della  RAGIONE_SOCIALE,  circa  l’apposizione della  sua  firma  sul  contratto  preliminare  di  cessione  di  ramo d’azienda,  in  ragione  dei  termini  attraverso  cui  si  è  snodata  la controversia, era idonea a produrre effetti giuridici favorevoli alla
sfera  del  dichiarante  e  sfavorevoli  alla  sfera  della  deferente COGNOME NOME.
2. -Con  il  secondo  motivo  la  ricorrente  contesta,  ai  sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione dell’art. 132 c.p.c.,  per  avere  la  Corte  territoriale  omesso  di  esaminare  fatti decisivi  per  il  giudizio,  ossia  l’esito  dell’interrogatorio  formale  di COGNOME NOME, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, nonché i documenti prodotti -e segnatamente il registro dei corrispettivi e i corrispettivi giornalieri -ed ancora le prove testimoniali assunte.
Ad avviso dell’istante, non sarebbe stata data alcuna rilevanza, oltre che alla prova per interpello deferita a NOME, anche alla dichiarazione confessoria resa da COGNOME NOME, la quale avrebbe affermato di essere stata immessa nel possesso dei negozi oggetto del preliminare e di avere incassato le somme derivanti dalla vendita; né sarebbero state valutate le testimonianze rese dalle testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME, le quali avrebbero affermato di essere state alle dipendenze della COGNOME per i mesi di luglio-agosto 2000; parimenti, non sarebbe stata menzionata la dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale deferito a COGNOME NOME, con la quale questa avrebbe negato la circostanza di aver apposto la sottoscrizione in luogo di NOME.
E ciò con motivazione apparente e comunque obiettivamente incomprensibile.
2.1. -Il motivo è infondato.
Infatti,  la  pronuncia  impugnata  ha  basato  la  valutazione  in ordine alla falsificazione della firma apposta sul contratto
preliminare di cessione di ramo d’azienda, sia sulle deposizioni, reputate chiare e attendibili, rese dal testimone oculare COGNOME NOME, coniuge della COGNOME -il quale aveva riferito che il contratto era stato sottoscritto da COGNOME NOME, che aveva sottoscritto la scrittura riportando la firma di COGNOME NOME, non presente al momento della conclusione del contratto -, sia sulla motivazione della pronuncia penale n. 570/2007, che aveva mandato assolta COGNOME NOME dal reato di falso in scrittura privata ex art. 485 c.p., non in quanto la condotta di falsificazione non era stata integrata, ma in quanto si trattava di falso grossolano, tale da non ledere l’oggettività giuridica di categoria protetta dalla norma incriminatrice.
Ebbene, il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21223 del 27/08/2018; Sez. L, Sentenza n. 24092 del 24/10/2013; Sez. 3, Sentenza n. 14973 del 28/06/2006).
Ipotesi  che  non  ricorre  nella  fattispecie,  attesi  gli  elementi dirimenti considerati dalla pronuncia impugnata  (peraltro la falsità  era  stata  ritenuta  integrata  anche  dal  Tribunale,  benché fosse stata esclusa l’invalidità del contratto), rispetto ai quali gli esiti  probatori  non  esaminati  non  sono  stati  addotti  alla  luce  di una loro concreta portata confutativa.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2702 e 2697 c.c., in relazione agli artt. 214, primo comma, 215 e 216, primo comma, c.p.c., in ordine alla validità ed efficacia della scrittura privata, per avere la Corte distrettuale escluso l’efficacia probatoria privilegiata della scrittura privata, in quanto, nel caso di specie, l’attrice avrebbe promosso il giudizio per l’accertamento della falsità della sottoscrizione al fine di farne dichiarare la nullità/inesistenza ed accogliere la domanda restitutoria fondata sul tale accertamento, con la conseguente applicazione delle ordinarie regole probatorie.
E ciò senza che fossero state determinate le regole probatorie applicate, a fronte della produzione della scrittura.
3.1. -Il motivo è infondato.
Ed  invero, la  falsità  della  sottoscrizione  apparentemente riconducibile  alla  controparte  è  stata,  nella  fattispecie,  dedotta dalla stessa parte che ha prodotto la scrittura privata contenente il preliminare di cessione di ramo d’azienda, parte istante che ha chiesto altresì di provare tale falsificazione.
All’esito, la dimostrazione della falsità è stata raggiunta sulla scorta  della  disamina  della  prova  testimoniale  resa  dal  teste oculare richiamato e avvalendosi delle argomentazioni confermative di cui alla citata sentenza penale.
Non  vi  erano,  dunque,  le  condizioni  affinché,  nel  caso  in esame, venissero applicate le norme processuali sul disconoscimento  e  sulla  verificazione  delle  scritture  prodotte  in giudizio.
Infatti, la procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. è dettata per l’ipotesi in cui sia negata la propria scrittura o la propria firma dalla parte contro la quale è prodotto lo scritto, onde è estraneo alla previsione di legge il caso nel quale si contesti l’autenticità di un atto a cura della parte stessa che lo ha prodotto, in ragione della falsità della firma della controparte (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12598 del 16/10/2001; Sez. 1, Sentenza n. 4719 del 27/05/1987; Sez. L, Sentenza n. 5675 del 21/10/1980).
4. -Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione o falsa applicazione degli artt. 1418, secondo comma, 1325, n. 1, 1398 e 1399 c.c., per avere la Corte del gravame escluso la riconducibilità della volontà negoziale alle parti cui il contratto si riferiva, non tenendo conto del fatto che la RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante, aveva riconosciuto la firma come propria, ma ancor prima aveva dato esecuzione al contratto, e così la stessa parte che aveva contestato la scrittura.
Sicché, a tutto voler concedere, avrebbe dovuto ritenersi prestato il consenso del legale rappresentante della Ale attraverso una specifica ed esplicita ratifica, consistita nel dare seguito al contenuto dell’atto sottoscritto, con la conseguente immissione della promissaria acquirente nel possesso e nella gestione dei negozi, com’era comprovato dal registro dei corrispettivi della Gada per i mesi di agosto e settembre 2000 nonché dai corrispettivi giornalieri degli incassi nei mesi di agosto e settembre 2000 e dagli esiti delle prove raccolte.
Con la conseguenza che sarebbe stata applicabile, al caso di specie, l’ipotesi del contratto stipulato dal falsus procurator , con ratifica del rappresentato.
4.1. -Il motivo è infondato.
E infatti la fattispecie del falsus procurato r presuppone che lo stipulante  abbia  agito  come  rappresentante  della  parte  senza esserlo -ossia che sia stato esercitato il potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui, in difetto del suo effettivo conferimento -e non già che questi abbia falsificato la firma della parte, apponendovi indebitamente la sua sottoscrizione (anziché la propria).
Sicché il soggetto che firmi una dichiarazione negoziale con un nominativo altrui, lasciando apparire quest’ultimo come autore della medesima, non assume in proprio la paternità della stessa (sia pure nella veste di falsus procurator di colui al quale la sottoscrizione si riferisce), con la conseguenza che, non ricorrendo i presupposti per la ratifica ex art. 1399 c.c., il contratto deve ritenersi nullo per difetto del consenso (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 27008 del 26/11/2020; contra , in ordine alla possibilità di applicazione analogica della disciplina sul contratto stipulato dal falsus procurator , Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22891 del 10/11/2016).
Non può, pertanto, in tal caso, essere invocata la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1399 c.c., atteso che, nei  confronti  del  soggetto  che,  sottoscrivendo  una  dichiarazione negoziale  con  un  nominativo  altrui,  lasci  apparire  quest’ultimo come autore delle dichiarazioni sottoscritte, in nessun caso potrà predicarsi  la  volontà  di  assumere  in  proprio  (sia  pure  in  difetto
dei corrispondenti poteri sostanziali) la paternità delle dichiarazioni  negoziali  sottoscritte  (eventualmente  offrendole  al potere  di  ratifica  dell’interessato),  avendo  piuttosto  inteso  (con l’indicazione,  nella  sottoscrizione,  di  un  nominativo  altrui)  che detta paternità risalisse direttamente al soggetto corrispondente al nominativo indicato nella sottoscrizione.
-In  conseguenza  delle  considerazioni  esposte,  il  ricorso deve essere respinto.
Le  spese  e  i  compensi  di  lite  seguono  la  soccombenza  e  si liquidano come da dispositivo.
Sussistono  i  presupposti  processuali  per  il  versamento  –  ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater ,  del  d.P.R.  30  maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.  Q.  M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta  il  ricorso  e  condanna  la  ricorrente  alla  refusione,  in favore  della  controricorrente,  delle  spese  di  lite,  che  liquida  in complessivi euro 5.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 -quater ,  del  d.P.R.  n.  115  del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  della  Seconda