Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31821 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31821 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3759/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE in persona del liquidatore p.t. , rappresentata e difesa da ll’avvocat a COGNOME (CODICE_FISCALE per procura speciale in calce al ricorso -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. , rappresentata e difesa per legge dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO -controricorrente- e contro RAGIONE_SOCIALE in
FALLIMENTO LIQUIDAZIONE -intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5594/2021 depositata il 29/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 29.7.2021, ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma dichiarativa del suo fallimento ad istanza di Agenzia delle Entrate -Riscossione (di seguito ADER).
Il giudice di secondo grado ha affermato: i) che, nei tre esercizi antecedenti il deposito dell’istanza di fallimento , era stato superato quantomeno il limite dimensionale di cui all’art. 1, comma 2 n. 1, l. fall., posto che la circostanza che l’immobile di proprietà della reclamante sito in Cetona (SI) fosse stato sottoposto a pignoramento non aveva inciso sul suo valore (desumibile dall’ammontare dell’ipoteca, di € 1.306.097, che vi era stata iscritta dalla banca mutuataria, creditrice pignorante) e, conseguentemente, sull’ammontare dell’a ttivo patrimoniale; ii) che, data l’autonomia del patrimonio di EC (società a responsabilità limitata) rispetto a quello del socio unico, l’assoggettamento di quest’ultimo alla procedura di sovraindebitamento non costituiva elemento ostativo alla sottoposizione della società alla procedura fallimentare; iii) che, nella prospettiva della dichiarazione di fallimento, ai fini della prova del credito tributario non è necessaria la previa emissione delle cartelle di pagamento, né la loro notifica ; iv) che l’eccezione di prescrizione del credito di ADER andava respinta perché la reclamante non aveva specificamente contestato di aver ricevuto gli atti interruttivi costituiti dalle intimazioni di pagamento successive alle cartelle, ad essa notificate dall’Agenzia ; v) che, infine, EC non aveva precisato quali fossero le cartelle di pagamento soggette alla ‘rottamazione’ di cui all’art. 4 comma 4° d.l. n. 41/2021.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidandolo a quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso, mentre il Fallimento è rimasto intimato.
La sostituta NOME ha depositato requisitoria scritta con cui ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 l. fall..
La ricorrente sostiene che la corte d’appello ha errato nel ritener la assoggettabile a fallimento, ai sensi dell’art. 1 comma 2 n. 1, l. fall, in quanto con il pignoramento, eseguito nel 2015 dalla Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio , essa aveva perso, di fatto, la disponibilità dell’ immobile di sua proprietà, che pertanto, sebbene aggiudicato a terzi solo nel 2019, non poteva più essere considerato posta attiva del patrimonio, come proverebbe anche il fatto che, concedendolo in locazione, i canoni sarebbero riscossi dal custode.
Il motivo, che presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità, deve essere respinto.
Del tutto erronea, e comunque apodittica, è l’affermazione della ricorrente secondo cui un immobile pignorato non rientra più fra le poste attive del patrimonio solo perché, essendo sottratto alla disponibilità materiale dell’impresa che ne è proprietaria, questa non può più trarne ricavi.
In proposito va piuttosto rilevato che, a norma dell’art. 2426, primo comma n. 3, cod. civ., in sede di redazione del bilancio, un’immobilizzazione materiale può essere iscritta ad un valore inferiore rispetto al costo di acquisto o di produzione (al netto degli ammortamenti) sempre che, alla chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i criteri di cui ai nn. 1 e 2 del l’ art. cit.: poiché è presumibile che un immobile soggetto a pignoramento possa essere alienato per un importo inferiore rispetto a quello ricavabile rispetto ad una normale operazione di compravendita nel libero mercato, il pignoramento potrebbe allora integrare una circostanza suscettibile (se idoneamente documentata) di ridurre in modo durevole il valore del
bene, ma affinché tale riduzione rilevi a norma dell’art. 1 comma 2 n.1 l. fall. occorrerebbe comunque dimostrare che essa ha inciso sull’ammontare complessivo dell’attivo patrimoniale sino a condurlo al di sotto dei 300.000 euro.
Non risulta che EC abbia fornito la prova in questione nel corso del giudizio di merito, mentre nella presente sede di legittimità la ricorrente si è limitata a contestare in via generica che il valore dell’immobile pignorato potesse corrispondere a quello che la corte d’appello ha stimato tenuto conto de ll’importo dell’ipoteca c he vi era iscritta, ovvero in base a una valutazione in fatto sindacabile solo nei ristretti limiti di cui all ‘ art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c. per come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5083/2014.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 14 ter l. n. 3/2012.
Ad avviso della ricorrente la procedura da sovraindebitamento cui è stato ammesso il suo socio unico risulterebbe ostativa alla dichiarazione di fallimento, in quanto il socio, ai sensi de ll’art. 246 2, comma 2, c.c., ha assunto responsabilità illimitata per tutte le obbligazioni societarie, ivi compresi i suoi debiti verso l’ Erario, le cui ragioni creditorie godono dunque già della massima tutela giudiziale offerta dalla l. n. 3/2012.
Il motivo è infondato, atteso che la pendenza di una procedura da sovraindebitamento sui beni del socio (che è nella specie, secondo quanto affermato dalla ricorrente, quella di liquidazione) non può costituire elemento ostativo al promuovimento di una procedura concorsuale nei confronti della società, anche se unipersonale.
L ‘autonomia tra il patrimonio d i una società di capitali dotata di personalità giuridica (quale è EC) e quello del socio unico, correttamente evidenziata dalla corte d’appello, comporta infatti, all’evidenza, che la procedura da sovraindebitamento cui sia stato ammesso il secondo non può estendersi ai beni della prima, i quali
non possono essere aggrediti dai creditori personali del socio, aventi diritto a soddisfarsi solo sul ricavato dalla vendita della sua quota di partecipazione sociale; quota che , quand’anche totalitaria, non può certo essere confusa (come tenta di fare la ricorrente) con l’attivo societario.
Né rileva che, a seguito del mancato adempimento degli obblighi previsti a suo carico dagli artt. 2464 e 2470 c.c., il socio unico della RAGIONE_SOCIALE risponda solidalmente delle obbligazioni contratte dalla società, posto che ciò non comporta alcuna confusione dei patrimoni, ma ha il solo effetto di consentire ai creditori sociali di soddisfarsi anche sui beni del socio e di attivare, a tal fine, distinte procedure concorsuali a danno d ell’una e dell’altro, come si evince anche dall’art. 61 l. fall., secondo cui ‘il creditore di più coo bbligati in solido concorre nel fallimento di quelli tra essi che sono falliti per l’intero credito in capitale ed accessori, sino al totale pagamento’ .
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli art. 6 l fall. e 2948 c.c.
La ricorrente sostiene che ADER non avrebbe fornito prova del credito erariale, avendo depositato unicamente estratti di ruolo unitamente a delle ricevute di asserita notifica della cartella di pagamento, senza, tuttavia, depositare le cartelle con la relativa relazione di notificazione.
Deduce, inoltre, la nullità o inesistenza della notifica di sei cartelle di pagamento specificamente individuate e ripropone l’ eccezione di prescrizione dei crediti dalle stesse portati.
Il mezzo è inammissibile in quanto, oltre a costituire mera ripetizione di doglianze già svolte in secondo grado senza che sia chiarito perché sarebbero errate le molteplici ragioni per le quali la corte territoriale le ha respinte, non investe il rilievo in base al quale il giudice a quo (che è poi sceso inutilmente all’esame del merito) ha implicitamente dichiarato inammissibili i corrispondenti motivi di reclamo, laddove ha affermato che EC non aveva minimamente
confutato le argomentazioni poste del tribunale a sostegno della compiuta verifica della legittimazione di ADER e dell ‘infondatezza dell’eccezione di prescrizione. Le argomentazioni del primo giudice sono quelle r iportate alla pag. 9 della sentenza: ‘… l’esposizione debitoria verso l’Erario appare confermata, dal 2016, dal contenuto della relazione allegata al ricorso per la liquidazione dei beni nell’ambito della procedura di sovraindebitamento, laddove viene precisato che la società RAGIONE_SOCIALE s.p.a. aveva alla data del 10.3.2016, un debito verso l’Erario di € 32.734,60′ ; … l’Agenzia istante ha dedotto che la società aveva presentato istanza di definizione agevolata rimasta senza utile seguito come dimostrato dall’estratto allegato (doc. n. 32); … la reclamante non ha specificamente contestato di aver ricevuto le intimazioni di pagamento, successive alle cartelle, ad essa notificate dall’Agenzia (‘intimazioni di pagamento allegate dall’Agenzia istante alla memoria autorizzata’) intimazioni che sono valse ad interrompere il termine prescrizionale (artt. 1219, 2943 c.c.) ‘ e non v’è dubbio che, in difetto di una loro espressa impugnazione, esse costituiscano altrettanti accertamenti, ormai coperti da giudicato, di per sé stessi sufficienti a sorreggere la decisione su entrambi i punti in contestazione.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4 , comma 4, del d.l. n. 41/2021.
La ricorrente evidenzia che la norma in questione, emanata in costanza della normativa emergenziale da Covid 19, ha previsto l’annullamento d’ufficio delle partite esattoriali fino ad € 5 .000,00, comprese quelle relative a precedenti istanze di rottamazione, con la conseguenza che essa potrebbe non avere più debiti verso l’Erario , o non avere i debiti per i quali è stata presentata l’istanza di fallimento.
Il motivo è inammissibile.
Come correttamente affermato dalla c orte d’ appello, la censura della ricorrente, riprodotta in questa sede negli stessi identici termini con cui era stata articolata in sede di reclamo, è inammissibile in quanto puramente ipotetica: neppure nel ricorso, peraltro, EC ha avuto cura di precisare quali sarebbero le cartelle soggette a ll’ annullamento d’ufficio.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 7 .000,00, oltre spese prenotabili a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.PR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 24.9.2024