Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7022 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7022 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19933/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
nonché contro
– intimata – avverso la sentenza n. 837/2022 del la Corte d’Appello di Catanzaro, depositata il 14.7.2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Lamezia Terme dichiarò il fallimento di RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME nonché della società di fatto ritenuta esistente tra loro e RAGIONE_SOCIALE, in estensione del già dichiarato fallimento di quest’ultima società.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME proposero reclamo, contestando la sussistenza della società di fatto e quindi dei presupposti per l’estensione del fallimento.
Il reclamo venne respinto dalla Corte d’Appello di Catanzaro.
Contro la sentenza della Corte territoriale RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi.
Si sono difese con controricorso la curatela fallimentare e RAGIONE_SOCIALE mentre RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
I controricorrenti hanno altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
– controricorrente –
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 147, commi 1, 3, 4, 6, e 18, comma 6, legge fall. e artt. 100, 101, 102, 157, comma 2, 354 c.p.c., ed artt. 24 e 111 Cost., in reazione a ll’art. 360, co mma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.».
I ricorrenti si dolgono della «omessa integrazione del contraddittorio con i creditori istanti del primo fallimento cui è seguita l’estensione del socio illimitatamente responsabile oggi ricorrente».
1.1. La censura è inammissibile, a prescindere da qualsiasi considerazione sulla sua fondatezza.
Infatti i ricorrenti, a parte sostenere, in astratto, la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei creditori istanti per il fallimento di RAGIONE_SOCIALE (fallimento poi esteso alla società di fatto e agli altri soci), non specificano se e quali creditori istanti siano stati esclusi dal contraddittorio. Il difetto di specificità del motivo di ricorso (art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.) rende persino superfluo rilevare che nel proprio controricorso la curatela fallimentare precisa -con il conforto della produzione della relativa sentenza -che unica creditrice istante per il fallimento di RAGIONE_SOCIALE era stata RAGIONE_SOCIALE, che è sempre stata parte anche nel presente processo.
Il secondo motivo censura «violazione e falsa applicazione degli artt. 147 legge fall. e 2697 c.c., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.».
Il motivo è volto a contestare la sussistenza dei presupposti per l’accertamento dell a società di fatto di cui è
stato dichiarato il fallimento, insieme a quello del socio NOME COGNOME.
2.1. Anche questo motivo è inammissibile, perché i ricorrenti si limitano a ricordare, in astratto, le condizioni richieste per l’accertamento di una società di fatto e l’ onere della prova gravante, sul punto, su chi richiede il fallimento della società, senza che a tale premessa teorica segua una qualsiasi argomentazione su come e perché il Tribunale di Lamezia Termine avrebbe violato i principi di diritto che regolano tale accertamento.
Sicuramente il giudice del merito non ha violato la norma sulla distribuzione dell’onere della prova, perché ha ritenuto quest’onere in concreto assolto mediante la dimostrazione dell’esistenza della società di fatto e della partecipazione alla stessa di NOME COGNOME Per il resto, il Tribunale ha fatto un uso appropriato dei medesimi principi ricordati dai ricorrenti (sui quali, da ultimo, v. Cass. nn. 74/2024; 204/2024), con un accertamento in fatto che, in quanto tale, non è sindacabile in questa sede e che, a ben vedere, neppure è stato fatto oggetto di specifica critica.
Il terzo motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 147, comma 1, 3, 4 e 6, 18, comma 6, legge fall. e 2697 c.c., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.».
I ricorrenti propongono un’in terpretazione degli artt. 10 e 147, comma 2, legge fall. secondo cui il fallimento in estensione non avrebbe potuto essere dichiarato a distanza di più di un anno di tempo dalla dichiarazione del fallimento di RAGIONE_SOCIALE
3.1. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
3.1.1. Innanzitutto, l’illustrazione del motivo è incongrua rispetto alla premessa, posto che non si sofferma sul tempo trascorso tra la dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE e la dichiarazione di fallimento della società di fatto, bensì sul tempo trascorso tra quelli che vengono indicati come gli ultimi atti di ingerenza di NOME COGNOME e la dichiarazione di fallimento suo e della società di fatto.
3.1.2. In secondo luogo, si deve rilevare che «il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte» e che « l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l ‘ orientamento della stessa» (art. 360 -bis , n. 1, c.p.c.).
È infatti principio consolidato, sul quale non vengono indicate ragioni per un ripensamento, che l’art. 10 legge fall., il quale prevede che gli imprenditori individuali e collettivi possano essere dichiarati falliti entro il termine di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese -così realizzando un bilanciamento di valori tra il principio dell ‘ affidamento dei terzi tutelato dalle iscrizioni nel registro dell ‘ imprese e quelli della certezza delle situazioni giuridiche e della tutela dell ‘ imprenditore -non è applicabile al socio occulto o di fatto, che, per sua scelta, non è iscritto nel registro delle imprese e che conseguentemente non può pretendere l’osservanza del limite annuale per la sua dichiarazione di fallimento; limite che è un beneficio riservato soltanto a coloro che abbiano assolto all ‘ adempimento formale dell ‘ iscrizione (Cass. nn. 15488/2013; 5520/2017; 6029/2021).
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base al l’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per compensi, in € 12.000 in favore de l Fallimento, e in € 8.000 in favore di RAGIONE_SOCIALE per entrambi oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge;
dà atto, ai sensi dell ‘ art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del