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Fallimento senza risoluzione: la Cassazione conferma

Una società in concordato preventivo è stata dichiarata fallita su istanza di un creditore, senza che il concordato fosse stato formalmente risolto. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6940/2025, ha confermato questa possibilità, stabilendo che il fallimento senza risoluzione è legittimo quando l’inadempimento del debitore agli obblighi del concordato genera un nuovo stato di insolvenza. Il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile in quanto contrario a un principio di diritto ormai consolidato.

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Fallimento Senza Risoluzione del Concordato: La Cassazione Conferma la Linea Dura

Un’impresa può essere dichiarata fallita anche se si trova in una procedura di concordato preventivo e questo non è stato formalmente risolto? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ribadisce un principio ormai consolidato: la risposta è affermativa. Questa decisione chiarisce che il fallimento senza risoluzione è una via percorribile quando l’inadempimento del debitore crea un nuovo stato di insolvenza, superando la necessità di un passaggio procedurale intermedio.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda una società per azioni che, dopo aver ottenuto l’omologa di un concordato preventivo di tipo liquidatorio, si è vista richiedere il fallimento da parte di una società creditrice. Il Tribunale ha accolto la richiesta e dichiarato il fallimento, decisione poi confermata anche dalla Corte d’Appello. Quest’ultima ha osservato che la situazione finanziaria della società in concordato era drasticamente peggiorata rispetto alle previsioni: le offerte per il complesso industriale erano crollate da una stima di 8 milioni a 1,5 milioni di euro, mentre altre liquidità erano bloccate a causa di contenziosi. Di fronte a questa situazione di palese incapacità di soddisfare i creditori secondo il piano omologato, i giudici di merito hanno ritenuto sussistenti i presupposti per la dichiarazione di fallimento.

L’Orientamento Giurisprudenziale sul Fallimento Senza Risoluzione

La società debitrice ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la legge non consentirebbe un fallimento “omisso medio”, ovvero senza passare prima per la formale risoluzione del concordato. Secondo la sua tesi, fino a quando il decreto di omologa non viene meno, l’assetto dell’insolvenza è “congelato” e il fallimento non può essere dichiarato su istanza di un singolo creditore.

La Corte di Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile, in quanto la questione di diritto era già stata decisa in modo conforme dalla giurisprudenza di legittimità, e il ricorrente non ha offerto argomenti validi per un cambio di orientamento.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha ripercorso la propria evoluzione giurisprudenziale, consolidatasi soprattutto dopo le riforme della legge fallimentare del 2006 e 2007. Il punto centrale è che è venuto meno l’automatismo tra risoluzione del concordato e successiva dichiarazione di fallimento. Oggi, i due istituti viaggiano su binari paralleli ma autonomi.

Il principio, affermato a più riprese e confermato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 4696/2022), è il seguente: un debitore ammesso a un concordato preventivo omologato, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari, può essere dichiarato fallito su istanza dei creditori, del Pubblico Ministero o su sua stessa richiesta, anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato.

L’inadempimento degli obblighi assunti con il concordato costituisce un “fatto sopravvenuto” e autonomamente rilevante, che determina un nuovo stato di insolvenza. Questo scenario giustifica l’apertura di una procedura fallimentare senza la necessità di attendere o provocare la risoluzione del precedente accordo. In altre parole, il concordato non agisce come uno scudo protettivo a tempo indeterminato se l’impresa non rispetta i patti.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La decisione della Cassazione consolida un’interpretazione pragmatica e orientata alla tutela del ceto creditorio. Le implicazioni sono significative:

1. Per i Creditori: Non sono costretti a intraprendere il percorso, a volte lungo e complesso, della risoluzione del concordato per poter vedere tutelati i propri diritti. Se emerge una nuova e palese insolvenza, possono agire direttamente con un’istanza di fallimento.
2. Per le Imprese in Concordato: L’omologa non è un punto di arrivo, ma l’inizio di un percorso vincolante. La mancata esecuzione del piano espone l’impresa al rischio immediato di fallimento, dimostrando che il concordato è uno strumento di risanamento che richiede serietà e adempimento rigoroso.

In sintesi, il fallimento senza risoluzione è uno strumento efficace per intervenire quando il piano concordatario si rivela, nei fatti, irrealizzabile, evitando che i creditori restino intrappolati in una procedura ormai priva di prospettive.

È possibile dichiarare il fallimento di un’impresa in concordato preventivo senza prima risolvere formalmente il concordato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il debitore ammesso a concordato preventivo omologato, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti previsti dal piano, può essere dichiarato fallito anche prima e indipendentemente dalla risoluzione del concordato.

Perché il fallimento può essere dichiarato anche se il termine per chiedere la risoluzione del concordato è scaduto?
Perché l’inadempimento degli obblighi del concordato viene considerato un “fatto sopravvenuto” che determina un nuovo e autonomo stato di insolvenza. Questa nuova insolvenza giustifica di per sé l’apertura della procedura fallimentare, a prescindere dalla precedente procedura di concordato.

Chi può richiedere il fallimento in questa situazione?
La dichiarazione di fallimento può avvenire su istanza dei creditori (anche per la misura ridotta del credito prevista dal concordato), del Pubblico Ministero o dello stesso debitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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