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Fallimento in estensione: le vecchie regole valgono?

La Cassazione chiarisce che per un fallimento in estensione, se la procedura originaria è iniziata sotto la vecchia legge fallimentare, si applicano ancora quelle norme, anche se l’estensione è chiesta dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi. Il caso riguardava una ‘supersocietà’ di fatto e la Corte ha confermato la validità dell’uso di prove atipiche da un procedimento penale.

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Fallimento in estensione: si applica il vecchio rito se la procedura madre è anteriore al Codice della Crisi?

Con l’introduzione del Codice della Crisi e dell’Insolvenza, molti operatori del diritto si sono interrogati su quale normativa applicare alle procedure a cavallo tra il vecchio e il nuovo regime. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto cruciale: la disciplina del fallimento in estensione quando la procedura ‘madre’ è stata avviata sotto la vigenza della vecchia Legge Fallimentare. La Corte ha stabilito un importante principio di continuità, affermando l’ultrattività della vecchia normativa.

I Fatti del Caso: La Scoperta della “Supersocietà” di Fatto

La vicenda trae origine dal fallimento di una ditta individuale. Il curatore fallimentare, nel corso delle sue indagini, ha scoperto l’esistenza di una cosiddetta ‘supersocietà’ di fatto. Questa entità, mai formalizzata, operava di fatto riunendo le attività della ditta individuale fallita, quelle di un’altra ditta individuale riconducibile al marito della titolare e quelle di una società a responsabilità limitata gestita dallo stesso.

Di conseguenza, il curatore ha richiesto al Tribunale di estendere il fallimento a questa società di fatto e, per l’effetto, ai suoi soci illimitatamente responsabili, tra cui il marito della titolare originariamente fallita. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto la richiesta, dichiarando il fallimento dell’uomo in qualità di socio di fatto. Quest’ultimo ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni procedurali e di merito.

La Decisione della Corte e le Regole sul Fallimento in Estensione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito e fornendo chiarimenti fondamentali su tre aspetti principali.

Il Principio “Tempus Regit Actum” nelle Procedure Concorsuali

Il ricorrente sosteneva che, essendo l’istanza di estensione stata depositata dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi (15 luglio 2022), si sarebbero dovute applicare le nuove norme procedurali. La Cassazione ha respinto questa tesi, richiamando l’art. 390 del Codice della Crisi. Questa norma transitoria stabilisce che le procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del nuovo codice, così come le procedure aperte a seguito di tali ricorsi, continuano a essere definite secondo le disposizioni della vecchia Legge Fallimentare (R.D. 267/1942).

La Corte ha interpretato questa disposizione nel senso che tutte le fasi e ‘sottofasi’ che originano dalla procedura ‘madre’, compreso il fallimento in estensione, devono essere regolate dalla normativa vigente al momento dell’apertura della prima procedura. Questo garantisce coerenza e uniformità nella gestione dell’intera procedura concorsuale.

Decadenza per Società di Fatto: Un Termine che non si Applica

Un altro motivo di ricorso riguardava la presunta decadenza dall’azione, basata sull’art. 10 della Legge Fallimentare, che prevede un termine di un anno dalla cancellazione dal Registro delle Imprese per poter dichiarare il fallimento. Il ricorrente evidenziava che le sue attività imprenditoriali erano cessate da anni.

Anche su questo punto, la Corte ha dato torto al ricorrente. Ha ribadito un principio consolidato: il termine decadenziale di un anno decorre dalla cancellazione formale dal registro e rappresenta un beneficio per gli imprenditori che adempiono agli oneri di pubblicità legale. Tale termine, tuttavia, non può applicarsi agli imprenditori che operano tramite società irregolari o di fatto, proprio perché queste non sono iscritte nel registro. Pertanto, l’eccezione di decadenza è stata ritenuta infondata.

L’Utilizzo di Prove da Altri Giudizi per Provare la Società Occulta

Il ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero illegittimamente fondato la loro decisione su atti provenienti da un procedimento penale conclusosi con un patteggiamento. La Cassazione ha chiarito che il convincimento dei giudici non si basava sulla sentenza di patteggiamento in sé, ma sull’ampio materiale probatorio raccolto durante le indagini preliminari penali (dichiarazioni, verbali di perquisizione, informative della Guardia di Finanza).

La Corte ha confermato la legittimità dell’uso di ‘prove atipiche’, cioè non espressamente previste dal codice di procedura, purché il loro utilizzo sia adeguatamente motivato. Il giudice civile ha il potere di porre a base della propria decisione prove raccolte in un diverso giudizio, garantendo nel processo civile il contraddittorio su tali elementi.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica di coerenza sistematica e di prevalenza della sostanza sulla forma. In primo luogo, il principio di ultrattività della vecchia legge fallimentare per le procedure pendenti è stato interpretato estensivamente per includere tutte le fasi accessorie, come il fallimento in estensione, al fine di evitare una frammentazione normativa che complicherebbe la gestione delle crisi d’impresa a cavallo delle due riforme.

In secondo luogo, la decisione di non applicare il termine di decadenza annuale alle società di fatto risponde all’esigenza di non premiare l’occultamento dell’attività d’impresa. La pubblicità legale tramite il Registro delle Imprese è un onere cui corrisponde il beneficio della certezza dei termini; chi si sottrae a tale onere non può invocarne i vantaggi.

Infine, la Corte ha ribadito la centralità del principio del libero convincimento del giudice, che può avvalersi di qualsiasi elemento probatorio, anche atipico, purché idoneo a fondare la sua decisione e discusso in contraddittorio tra le parti. Questo rafforza gli strumenti a disposizione della magistratura per accertare situazioni complesse come l’esistenza di società occulte.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti operativi. Consolida la certezza del diritto nel periodo transitorio tra la Legge Fallimentare e il Codice della Crisi, stabilendo che la legge applicabile è quella vigente al momento dell’apertura della procedura principale. Inoltre, riafferma che le tutele previste per gli imprenditori regolari non possono essere estese a chi opera attraverso strutture societarie di fatto, impedendo che l’irregolarità formale diventi uno scudo contro le pretese dei creditori. Infine, valorizza il ruolo del giudice nell’accertamento dei fatti, confermando la sua facoltà di utilizzare un’ampia gamma di fonti di prova per far emergere la realtà sostanziale dei rapporti economici.

Se un fallimento è stato aperto con la vecchia legge, la richiesta di estensione successiva al Codice della Crisi segue le nuove o le vecchie regole?
Secondo la Corte, si applicano le vecchie regole della Legge Fallimentare. In base al principio di ultrattività previsto dall’art. 390 del Codice della Crisi, tutte le fasi e sottofasi originate da una procedura ‘madre’ aperta sotto il vecchio regime, inclusa l’estensione, sono regolate dalla normativa originaria.

Il termine di un anno dalla cancellazione dal Registro Imprese per dichiarare il fallimento si applica anche a una società di fatto?
No. La Corte ha ribadito che il termine decadenziale di un anno previsto dall’art. 10 della Legge Fallimentare si applica solo agli imprenditori iscritti nel Registro delle Imprese. Non può essere invocato da chi opera attraverso una società di fatto, in quanto non iscritta.

Un giudice civile può usare gli atti di un’indagine penale per decidere su un fallimento in estensione?
Sì. La Corte ha confermato che il giudice civile può legittimamente utilizzare come prove cosiddette ‘atipiche’ gli atti e i documenti raccolti in un diverso giudizio, incluse le indagini preliminari di un procedimento penale. È necessario che il loro utilizzo sia adeguatamente motivato e che su di essi si sia potuto svolgere il contraddittorio tra le parti nel giudizio civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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