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Fallimento Impresa Agricola: quando prevale il commerciale

La Corte di Cassazione ha confermato il fallimento di una società a responsabilità limitata che, pur operando nel settore agricolo, svolgeva in misura preponderante attività commerciale, come la trasformazione e vendita di prodotti acquistati da terzi. La Corte ha stabilito che per le società commerciali, come le s.r.l., la soggettività al fallimento è presunta e spetta alla società stessa dimostrare la prevalenza dell’attività agricola. Inoltre, un precedente decreto di inammissibilità di un concordato preventivo non costituisce giudicato sulla natura non fallibile dell’impresa.

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Fallimento Impresa Agricola: Quando l’Attività Commerciale Prevale

L’esenzione dal fallimento per l’imprenditore agricolo è un principio cardine del nostro ordinamento. Tuttavia, quando un’impresa agricola adotta la forma di una società commerciale, come una S.r.l., e svolge attività che travalicano i confini della produzione primaria, i confini possono diventare labili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri per determinare la soggettività al fallimento di un’impresa agricola, sottolineando l’importanza del principio di prevalenza e della forma giuridica adottata.

I Fatti di Causa

Una società a responsabilità limitata operante nel settore agricolo veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Trani. La società presentava reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo di essere un’impresa agricola e, come tale, non soggetta a fallimento. A suo dire, questa qualifica era già stata accertata in un precedente provvedimento che aveva dichiarato inammissibile una sua domanda di concordato preventivo, creando così un ‘giudicato’ sulla questione.

La Corte d’Appello rigettava il reclamo, evidenziando due punti cruciali. Primo, il decreto relativo al concordato preventivo non aveva natura decisoria e non poteva impedire una successiva valutazione. Secondo, e più importante, l’analisi dei bilanci e dei contratti dimostrava che l’attività della società era in misura ‘assolutamente preponderante’ di tipo commerciale. In particolare, la società svolgeva attività di trasformazione, imbottigliamento e vendita di prodotti (vino, olio, uva) non ottenuti prevalentemente dalla propria produzione, ma acquistati da terzi, agendo di fatto come un’impresa industriale e commerciale. Contro questa decisione, la società ricorreva in Cassazione.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ribadito i principi consolidati in materia, fornendo una chiara linea guida per distinguere tra attività agricola protetta e attività commerciale soggetta alle procedure concorsuali.

Le Motivazioni: Analisi del Principio di Prevalenza nel Fallimento Impresa Agricola

La decisione della Cassazione si fonda su tre pilastri argomentativi fondamentali che meritano un’analisi approfondita.

1. La Prevalenza dell’Attività Commerciale sull’Agricola

Il cuore della questione risiede nella corretta interpretazione dell’art. 2135 c.c., che definisce l’imprenditore agricolo. La norma include non solo la coltivazione del fondo, ma anche le cosiddette ‘attività connesse’ (manipolazione, trasformazione, commercializzazione). Tuttavia, affinché queste attività mantengano la natura agricola, devono avere ad oggetto ‘prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo’.

Nel caso di specie, la Corte ha accertato che la società trasformava e vendeva ingenti volumi di prodotti acquistati da altri fornitori. Un contratto di appalto, in particolare, dimostrava che la società si obbligava a trasformare uve di esclusiva proprietà di un’altra azienda, svolgendo un’attività di servizio per conto terzi che è tipicamente industriale e commerciale. Mancava, quindi, quel collegamento essenziale e prevalente con la produzione del proprio fondo.

2. La Forma Societaria e l’Onere della Prova

Un secondo aspetto cruciale riguarda la forma giuridica. La Cassazione ha ricordato che una società costituita in una delle forme previste per l’esercizio di un’attività commerciale (come la società a responsabilità limitata) acquista la qualità di imprenditore commerciale sin dalla sua costituzione. Di conseguenza, essa è soggetta al fallimento per presunzione.

Questa presunzione non è assoluta, ma fa sorgere un’inversione dell’onere della prova (onus probandi). Spetta alla società stessa, che vuole beneficiare dell’esenzione dal fallimento, dimostrare in modo rigoroso di esercitare in via esclusiva o, quantomeno, nettamente prevalente un’attività agricola. Nel caso esaminato, la società non è riuscita a fornire tale prova, anzi, gli elementi raccolti dimostravano il contrario.

3. L’Assenza di Giudicato dal Precedente Provvedimento

Infine, la Corte ha smontato la tesi del ricorrente riguardo al ‘giudicato’. I giudici hanno chiarito che il decreto che dichiara inammissibile una domanda di concordato preventivo, ai sensi dell’art. 162 della Legge Fallimentare, non è un provvedimento di merito che decide su diritti soggettivi. Esso compie una valutazione sommaria e non preclude al giudice, in una successiva e diversa procedura come quella per la dichiarazione di fallimento, di effettuare un accertamento pieno e approfondito sulla natura dell’impresa, basandosi anche su nuovi elementi probatori.

Conclusioni

L’ordinanza in commento offre un importante monito per le imprese agricole che operano attraverso società di capitali. L’esenzione dal fallimento non è garantita dalla sola etichetta ‘agricola’. È indispensabile che l’attività commerciale ‘connessa’ resti funzionalmente subordinata e quantitativamente secondaria rispetto alla coltivazione del fondo. Qualora l’attività di trasformazione e vendita di prodotti di terzi diventi preponderante, la società perde la sua qualifica agricola ai fini fallimentari e viene esposta al rischio di fallimento, con tutte le conseguenze del caso. La scelta della forma societaria commerciale comporta una presunzione di commercialità che può essere superata solo con una prova rigorosa della prevalenza dell’attività agricola, un onere che ricade interamente sull’impresa.

Una società agricola può essere dichiarata fallita?
Sì, una società può essere dichiarata fallita se, pur qualificandosi come agricola, svolge in misura prevalente un’attività commerciale. In particolare, se è costituita come società commerciale (es. S.r.l.), si presume soggetta a fallimento e spetta ad essa dimostrare che la sua attività è prevalentemente agricola, cioè che le attività connesse come la trasformazione e la vendita riguardano principalmente prodotti ottenuti dal proprio fondo.

Un precedente decreto che respinge un concordato preventivo impedisce la dichiarazione di fallimento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il decreto che dichiara inammissibile una domanda di ammissione al concordato preventivo non ha natura decisoria su diritti soggettivi e non crea un ‘giudicato’ sulla natura non fallibile dell’impresa. Pertanto, non impedisce al tribunale di valutare successivamente e in modo autonomo i presupposti per la dichiarazione di fallimento.

Chi deve provare la natura agricola di un’impresa costituita come S.r.l. per evitare il fallimento?
L’onere della prova spetta alla società stessa. Poiché una S.r.l. è una forma societaria tipicamente commerciale, essa ‘nasce’ come imprenditore commerciale ed è presuntivamente soggetta a fallimento. Per beneficiare dell’esenzione, deve essere la società a dimostrare che, in concreto, l’attività esercitata è prevalentemente agricola secondo i criteri dell’art. 2135 del codice civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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