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Fallimento dopo concordato: il credito resta ridotto?

Una società fornitrice di energia si è vista ridurre il proprio credito al 15% nel fallimento di un’azienda, poiché quest’ultimo è stato dichiarato anni dopo la scadenza dei termini per la risoluzione di un precedente concordato preventivo. La Corte di Cassazione ha confermato che, in caso di fallimento dopo concordato, se i termini per la risoluzione del concordato stesso sono scaduti, l’effetto di riduzione del debito diventa definitivo e il creditore non può più pretendere l’importo originario.

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Fallimento dopo concordato: il credito si recupera per intero?

Quando un’azienda entra in crisi, il concordato preventivo rappresenta un tentativo di salvataggio. Ma cosa accade se, nonostante il concordato, l’azienda fallisce? Un creditore può tornare a pretendere il suo credito per intero? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: la tempestività. La vicenda analizzata chiarisce che il fallimento dopo concordato non cancella automaticamente gli effetti del piano precedente, soprattutto se i creditori non hanno agito per tempo.

I Fatti di Causa

Una società in nome collettivo, dopo essere stata ammessa a un concordato preventivo liquidatorio omologato nel 2007, con un termine per l’ultimo pagamento fissato al 31 dicembre 2011, è stata dichiarata fallita nel gennaio 2020 su istanza dell’Agenzia delle Entrate.

Una società fornitrice di energia, creditrice per oltre 200.000 euro per forniture precedenti al concordato, ha presentato domanda di ammissione al passivo del fallimento per l’intero importo. Tuttavia, la sua richiesta è stata accolta solo per circa 30.000 euro, ovvero il 15% del credito originario, corrispondente alla percentuale prevista dal piano di concordato. Il motivo? Il fallimento era stato dichiarato ben oltre la scadenza del termine annuale per poter chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento.

L’Opposizione del Creditore e la Decisione del Tribunale

La società fornitrice ha impugnato la decisione, sostenendo che la dichiarazione di fallimento avrebbe dovuto implicitamente comportare la risoluzione del concordato, facendo così ‘rivivere’ il diritto a pretendere l’intero credito. A suo avviso, l’effetto di riduzione del debito previsto dal concordato (noto come effetto esdebitatorio parziale) era condizionato al buon fine del piano, cosa che il successivo fallimento dimostrava non essere avvenuta.

Il Tribunale ha respinto l’opposizione, affermando che la risoluzione del concordato è soggetta a una disciplina specifica e a termini precisi. Una volta scaduti tali termini, l’accordo consolidato non può essere messo in discussione, e l’effetto di riduzione del debito diventa definitivo.

La questione del termine nel fallimento dopo concordato

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando il ricorso della società creditrice. Gli Ermellini hanno chiarito un principio fondamentale che regola i rapporti tra queste due procedure concorsuali.

Il punto focale non è se un’impresa in concordato omologato possa fallire (cosa ormai pacificamente ammessa anche dalle Sezioni Unite), ma quali siano le conseguenze per i creditori. La Corte ha stabilito una regola basata sul tempismo:

1. Fallimento dichiarato entro i termini per la risoluzione: Se il fallimento interviene quando i creditori hanno ancora la possibilità di chiedere la risoluzione del concordato (generalmente, entro un anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento previsto dal piano), allora il creditore ha diritto di insinuarsi al passivo per l’intero importo del suo credito originario.
2. Fallimento dichiarato dopo la scadenza dei termini: Se, come nel caso di specie, il fallimento viene dichiarato anni dopo la scadenza del termine per chiedere la risoluzione, l’effetto esdebitatorio parziale del concordato si è ormai consolidato. Il creditore non può più contestare la riduzione e potrà insinuarsi nel fallimento solo per la somma falcidiata prevista dal piano concordatario.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha spiegato che la dichiarazione di fallimento non comporta una risoluzione implicita o automatica del concordato precedente. Sono istituti distinti. Il concordato omologato produce un effetto obbligatorio che riduce le pretese dei creditori. Questo effetto può essere rimosso solo attraverso gli strumenti previsti dalla legge, ossia l’annullamento o la risoluzione, da attivare entro termini perentori.

Nel caso esaminato, non solo il termine per la risoluzione era scaduto da tempo, ma un altro creditore aveva persino tentato di ottenerla in passato, senza successo. Di conseguenza, al momento della dichiarazione di fallimento, la posizione dei creditori era già ‘cristallizzata’ nella misura ridotta dal concordato. L’insolvenza successiva apre sì la strada al fallimento, ma non può rimettere in discussione diritti e obblighi ormai definitivi.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un monito fondamentale per i creditori di imprese in concordato preventivo: la vigilanza e la tempestività sono essenziali. Attendere passivamente che la situazione si risolva da sola può essere controproducente. Se il debitore non rispetta i pagamenti previsti dal piano, i creditori devono attivarsi prontamente per richiedere la risoluzione del concordato entro il termine di legge. Lasciar scadere questo termine significa accettare che la riduzione del proprio credito diventi irreversibile, anche qualora l’impresa dovesse successivamente fallire.

Se una società in concordato preventivo fallisce, un creditore può chiedere il pagamento del suo credito originario per intero?
Dipende dal momento in cui viene dichiarato il fallimento. Se il fallimento avviene quando è ancora possibile per legge chiedere la risoluzione del concordato (solitamente entro un anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento), il creditore può insinuare il credito per intero. Se invece quel termine è scaduto, il credito resta ridotto alla percentuale prevista dal concordato.

La dichiarazione di fallimento comporta automaticamente la risoluzione del precedente concordato preventivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la dichiarazione di fallimento non contiene una risoluzione implicita del concordato. Si tratta di due procedure distinte e la risoluzione deve essere richiesta secondo le sue regole e i suoi termini specifici.

Cosa succede se un creditore non agisce in tempo per chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento?
Se il creditore non agisce entro il termine previsto dalla legge (un anno dalla scadenza dell’ultimo adempimento del piano), l’effetto di riduzione del debito previsto dal concordato diventa definitivo. Di conseguenza, anche in caso di successivo fallimento, il suo diritto di credito resterà permanentemente limitato alla percentuale concordataria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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