Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10344 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10344 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5634/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente- contro COMUNE DI SAN MARCELLINO
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 3750/2019 depositata il 05/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 3750/2019, depositata il 5.7.2019, ha rigettato l’appello proposto dalla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del 14.6.2014 con cui il Tribunale di S. Maria Capua Vetere ha rigettato la sua domanda proposta nei confronti del Comune di San Marcellino, finalizzata ad ottenere la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di € 731.037,72, oltre accessori di legge, quale corrispettivo del servizio di raccolta e gestione dei rifiuti solidi urbani, in virtù di contratto d’appalto aggiudicato all’ATI, di cui la RAGIONE_SOCIALE è la società mandataria capogruppo.
Il giudice di secondo grado ha condiviso l’impostazione del primo giudice nel ritenere che il fallimento dell’impresa mandataria avesse determinato, a norma dell’art. 78 L.F., lo scioglimento del mandato, con la conseguenza che la curatela fallimentare era legittimata a riscuotere dall’ Amministrazione comunale il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto limitatamente alla quota corrispondente alla parte dei lavori appaltati, la cui realizzazione, in base all’accordo di associazione temporanea, era di spettanza della Ecocampania.
Nel caso di specie, ad avviso del giudice d’appello, la ricorrente non aveva fornito la prova della quota dei lavori di sua spettanza e, conseguentemente, la porzione dei crediti nascenti dall’esecuzione o dall’inadempimento del contratto di appalto, non potendosi riconoscere alla delibera n. 232/06 del Comune di San Marcellino alcuna valenza probatoria, considerato che in tale delibera l’eventuale riconoscimento del debito per le fatture indicate doveva intendersi effettuato in favore di RAGIONE_SOCIALE nella sua spiegata qualità di impresa capogruppo mandataria RAGIONE_SOCIALE e non in proprio.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE affidandolo a cinque motivi.
Il Comune di San Marcellino non ha svolto difese. La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 78 L.F., 1723 e 2697 c.c., 115, 116 e 232 c.p.c..
Lamenta la curatela ricorrente che la Corte di merito non aveva valutato l’inottemperanza, da parte del Comune di San Marcellino, all’ordine di esibizione disposto dal giudice di primo grado all’udienza del 5.4.2011 del contratto di associazione di imprese, non nella disponibilità della curatela.
In particolare, costituendo il rifiuto all’ordine di esibizione un comportamento del quale il giudice può desumere argomenti di prova ex art. 116 comma 2° c.p.c., nel caso di specie, il comune non aveva neppure giustificato e dedotto circostanze impeditive dell’adempimento dell’ordine di esibire il contratto ATI.
Peraltro, le altre due società componenti dell’ATI , RAGIONE_SOCIALE e Greenline, avevano avuto un ruolo marginale nell’esecuzione dell’appalto di cui è causa, tanto è vero che non si erano insinuate nel passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE
Infine, il Comune di San Marcellino non si era presentato a rendere l’interpello ammesso senza fornire alcuna giustificazione, con la conseguenza che, alla luce di tutti gli elementi sopra evidenziati, doveva ritenersi provato il quantum richiesto dal fallimento per l’intero corrispettivo di € 731.037,72.
Il motivo è inammissibile.
Non vi è dubbio che la curatela, nell’invocare di aver fornito la prova del credito di cui è causa, con l’apparente doglianza della violazione di legge, svolga, in realtà, censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quelle operate dalla Corte d’Appello.
In particolare, è chiaramente inammissibile la censura con cui è stata dedotta l’omessa valutazione di argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. dall’inottemperanza del Comune dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. del contratto ATI. Sul punto, è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (n. 25608/2013; S.U. 24148/2013). Inoltre, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. (Cass. n. 16056/2016; Cass. 19011/2017; 29404/2017).
Non vi è dubbio che la curatela ricorrente, nel dolersi che il giudice d’appello non avrebbe tratto argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. dall’inottemperanza all’ordine di esibizione, intenda inammissibilmente sindacare una valutazione di fatto di tale
giudice, attività non consentita in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (neppure dedotto in questa sede) nei circoscritti limiti di cui all’art. 360 comma 5° c.p.c., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 78, 81 L.F., 1723 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c..
Espone la ricorrente che il contratto di appalto stipulato tra il Comune di San Marcellino e la RAGIONE_SOCIALE, capogruppo RAGIONE_SOCIALE era cessato in modo definitivo nel mese di maggio 2006, prima della dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE del 4.6.2008, avendo l’Amministrazione inviato in data 26.10.2005 alla società poi fallita comunicazione per l’avvio del procedimento per la risoluzione di ogni rapporto contrattuale. Ne consegue che non era applicabile l’art. 81 L.F.
Deduce la ricorrente che il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, essendo intervenuto dopo la risoluzione e cessazione del contratto d’appalto, non è idoneo a produrre alcun effetto sullo stesso rapporto ormai caducato, con conseguente diritto della curatela a ricevere l’integrale pagamento delle somme riportate nella fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE
4. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi. Da un’attenta lettura della sentenza impugnata emerge che il giudice d’appello, da un lato, non ha affermato espressamente che, al momento del fallimento, il rapporto d’appalto fosse ancora in essere, dall’altro, non ha attribuito rilevanza a tale circostanza significativo è, in tal senso, l’inciso, a pag. 5, penultimo capoverso, della sentenza impugnata ‘ E tali conclusioni vanno ribadite anche se , in via meramente ipotetica, volesse ritenersi, come invoca l’appellante, già intervenuta la risoluzione di diritto del contratto
d’appalto.. ‘ -né si è soffermato sull’applicabilità o meno dell’art. 81 L.F. al caso di specie.
Tali questioni sono del tutto ininfluenti ai fini della decisione.
Il giudice di secondo grado, facendo corretto uso dei principi di diritto enunciati da questa Corte (vedi Cass. 23894/2013; conf. Cass. n. 973/2017) ha, invece attribuito la giusta valenza al fallimento della mandataria capogruppo RAGIONE_SOCIALE, in quanto, per effetto dello scioglimento del mandato ex art. 78 L.F., quest’ultima non era più legittimata a rappresentare l’ATI per ogni rivendicazione nei confronti della stazione appaltante. Pertanto, la curatela fallimentare era legittimata a riscuotere dall’Amministrazione comunale il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto limitatamente alla quota corrispondente alla parte dei lavori appaltati, la cui realizzazione, in base all’accordo di associazione temporanea, era di spettanza della Ecocampania.
La ricorrente non si è confrontata con tali corrette argomentazioni, soffermandosi, come detto, su circostanze non pertinenti.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 112, 115 e 116 in ordine al rigetto della richiesta di disporre consulenza tecnica d’ufficio.
Espone la curatela che la scelta del giudice di merito di non disporre perizia finisce per dar luogo ad un’omissione di pronuncia posto che l’art. 112 c.p.c. impone a quest’ultimo di decidere su tutta la domanda e sulle eccezioni, e non oltre i limiti delle stesse. Evidenzia che la richiesta di CTU svolta sia in primo grado che in appello avrebbe assunto il valore di una CTU percipiente, attraverso i quali il consulente avrebbe potuto accertare i fatti e la misura del credito.
6. Il motivo è inammissibile.
Come già affermato da questa Corte (vedi recentemente Cass. n. 326/2020), la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle
parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario e potendo la motivazione dell’eventuale diniego del giudice di ammissione del mezzo essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 278 c.p.c.
Lamenta la ricorrente di aver richiesto sia negli atti del giudizio di primo grado che nell’atto di appello che il giudice emettesse eventuale sentenza di condanna generica ex art. 278 c.p.c., con onere per la parte interessata di introdurre autonomo giudizio per la liquidazione del ‘quantum’.
La Corte d’appello aveva omesso di pronunciare sentenza ex art. 278 c.p.c. sebbene avesse il riconosciuto il diritto di credito della curatela fallimentare, incorrendo nella violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Il motivo è infondato.
Va osservato che la Corte d’Appello ha implicitamente rigettato la domanda di condanna generica formulata dalla curatela. Infatti, avendo preliminarmente evidenziato che, a seguito dello scioglimento del mandato conferito alla capogruppo RAGIONE_SOCIALE per effetto del fallimento della RAGIONE_SOCIALE, era onere della curatela dimostrare la porzione del credito facente capo alla capogruppo, in corrispondenza della parte di lavori di sua spettanza, è evidente che ha ritenuto che la questione dell’ an debeatu r fosse strettamente legata a quella del quantum, tanto è vero che è giunta alla conclusione che non era stato fornito alcun elemento idoneo a consentire l’accertamento della misura del credito effettivamente spettante alla parte che aveva agito in giudizio.
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., 1223, 1226 e 2056 c.c..
Si duole la ricorrente che la Corte d’Appello non ha fatto erroneamente ricorso al criterio di liquidazione equitativa, nonostante fosse stato riconosciuto il diritto di credito del fallimento.
Il motivo è assorbito sulla base di quanto osservato con riferimento al quarto motivo.
Non si liquidano le spese di lite, non avendo l’intimata svolto difese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte sia della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma in data 11.4.2025