Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15872 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15872 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9994/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
BANCA IFIS SPA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’avvocato NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di TRIBUNALE VENEZIA n. 1352/2020 depositata in data 21/9/2020; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/5/2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
Per quanto qui interessa, il Tribunale di Venezia, con sentenza del 21 settembre 2020, accoglieva la domanda, presentata da Banca RAGIONE_SOCIALE.ARAGIONE_SOCIALE di condannare RAGIONE_SOCIALE a corrisponderle la somma di euro 950.642,56 in relazione ad un rapporto contrattuale di factoring .
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello, cui la banca resisteva, e che la Corte d’appello di Venezia, con ordinanza ex articoli 348 bis e 348 ter c.p.c., dichiarava inammissibile.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale ha presentato ricorso articolato di due motivi, illustrati anche con memoria, da cui la banca si è difesa con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1352 c.c., degli articoli 1362 ss. c.c. e dell’articolo 1366 c.c., in relazione all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., nonché, in relazione all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo e discusso, qualificandolo deducibile anche ai sensi dell’articolo 348 ter c.p.c. essendo mancata ogni istruttoria.
Il Tribunale ha negato che sia intervenuta la concessione da parte del factor della copertura pro soluto , affermando che il contratto quadro di factoring di cui si tratta prevede che le parti si possano accordare per la cessione pro soluto solo dopo l’espressa richiesta scritta del fornitore NOME, la previa determinazione del limite quantitativo di tale garanzia, la conferma di quest’ultima in forma scritta da parte del factor , mentre nel caso in esame non vi sarebbe stata
nessuna espressa comunicazione formale della banca – che riveste il ruolo di factor – di attivazione di detta garanzia.
Il ragionamento del Tribunale sarebbe erroneo in punto di diritto, in quanto le parti, pur se stipulano un atto negoziale con forma scritta ex articolo 1352 c.c., possono comunque rinunciarvi in seguito, anche tacitamente, per cui il giudice avrebbe dovuto verificare se sussistevano fatti concludenti in tal senso; al contrario, e questo sarebbe il suo errore, avrebbe scelto ‘di non considerare in alcun modo i comportamenti concludenti delle parti’ , così incorrendo nella violazione del l’articolo 1352 c.c.
Il motivo prosegue, per dimostrare che cosa il primo giudice avrebbe dovuto valorizzare, con una ricostruzione della vicenda contrattuale (ricorso, pagine 1416), concludendo che Il Tribunale avrebbe scelto ‘di non dare rilievo a tali convergenti circostanze di fatto’ (pagina 16) : il che però ‘appare il frutto di un errore di impostazione giuridica’, aggiungendo alla violazione dell’articolo 1352 c.c. quella ‘soprattutto’ degli articoli 1362 ss. e 1366 c.c.
Il Tribunale avrebbe altresì omesso ‘di valutare le plurime circostanze di fatto decisive per il giudizio che le parti hanno avuto modo di dibattere (la predisposizione e l’invio della modulistica , l’applicazione delle commissioni, la rendicontazione con la conferma del pro soluto)’.
Si sostiene, infine, che ‘la deduzione di tale vizio sia preclusa ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c.’ perché la preclusione sancita da detta norma non opererebbe nel caso in cui l’istruzione probatoria sia del tutto mancata (Cass. 29222/2019).
Il secondo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1341-1342 e 1375 c.c.
L’interpretazione che il Tribunale avrebbe dato alla clausola del contratto di factoring (articolo 12), che subordina la concessione di garanzia pro soluto a espressa comunicazione di accettazione dal factor , apporterebbe alla clausola ‘una valenza vessatoria’; e l’attuale ricorrente di tale vessatorietà si sarebbe lamentata sia in primo sia in secondo grado, giacché in tal caso, per la mancata
approvazione scritta, gli articoli 11, 12 e 13 del contratto avrebbero dovuto qualificarsi clausole inefficaci e quindi non opponibili a RAGIONE_SOCIALE.
Ne l primo motivo si rinviene un’evidente inammissibilità, in quanto, pur avendo offerto nella premessa del ricorso una ricostruzione dei fatti anche abbastanza dettagliata, la ricorrente non vi ha inserito la stipulazione di un accordo per facta concludentia né, tantomeno, addotto che nella citazione di primo grado un siffatto accordo fosse stato fatto valere. In particolare, non si specifica se un motivo di appello abbia avuto ad oggetto la rinuncia tacita alla forma scritta. Accanto alla conseguente vi olazione dell’articolo 366, primo comma, n.6 c.p.c. si affianca, in effetti, l’introduzione nel ricorso di un novum : per entrambe queste correlate ragioni il motivo risulta inammissibile in quel che è il suo effettivo nucleo.
Patisce inammissibilità anche per la secondaria parte dedicata ad una ricostruzione dei fatti – appunto ictu oculi tardiva -, esondando così dai confini della cognizione del giudice di legittimità. Si censura infatti il risultato interpretativo che è riservato al giudice del merito.
Il secondo motivo dovrebbe fronteggiare la specifica motivazione che al riguardo ha reso il Tribunale, ma si astiene da questo necessario confronto, limitandosi all ‘affermazione assertiva che l’articolo 12 sarebbe una clausola vessatoria, con le conseguenze di legge per difetto di specifica approvazione per iscritto: questa genericità rende la censura del tutto inammissibile. Aggiungasi che la censura refluisce in un argomento di tipo fattuale in ordine alla ricorrenza dei presupposti di fatto della asserita vessatorietà.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito, da
parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 7000, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello del ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2024