Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13016 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13016 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
Oggetto
Locazione di immobili Exceptio non rite adimpleti contractus -Ammissibilità – Condizioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24406/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso il suo studio in RomaINDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 2948/2021, pubblicata l’ 11 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato in data 9 ottobre 2013 NOME COGNOME intimò a NOME COGNOME sfratto per morosità, contestualmente citandola davanti al Tribunale di Roma per la convalida, in relazione ad appartamento ad essa concesso in locazione ad uso abitativo con contratto del 15 marzo 2012 (registrato il successivo 10 aprile), per il mancato pagamento dei canoni maturati da marzo a settembre 2013 per un ammontare complessivo di Euro 2.800,00 di cui chiedeva ingiungersi il pagamento.
L’intimata vi si oppose eccependo che:
─ aveva sempre pagato i canoni, sebbene l’immobile presentasse gravi vizi, tali da renderlo inabitabile ed insalubre sin dall’inizio del rapporto, risalente al 2004;
─ nel 2012 le era stato sottoposto un nuovo contratto di locazione, già predisposto dalla locatrice, che aveva sottoscritto in quanto rassicurata da quest’ultima che lo stesso serviva quale forma di tutela nei confronti del Fisco e che sarebbe stato registrato solo all’occorrenza;
─ solo successivamente aveva scoperto di essersi impegnata, con quel contratto, ad eliminare le infiltrazioni di acqua e le macchie di umidità presenti nell’appartamento, a compensazione dei canoni dovuti dal 15 settembre 2012 al 14 febbraio 2013.
In via riconvenzionale chiese la condanna della locatrice al risarcimento dei danni subiti e, previa rideterminazione del canone, alla restituzione dei maggiori esborsi effettuati.
Concessa l’ordinanza di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ. e
disposto il mutamento del rito, il Tribunale, disattese le richieste istruttorie della COGNOME, pronunciò sentenza (n. 21631 del 2014) con la quale dichiarò risolto il contratto per inadempimento della conduttrice, che condannò al pagamento dei canoni non corrisposti.
Ritenne, infatti, difettare la prova del pagamento dei canoni intimati e valutò come maggiormente grave tale inadempimento nella comparazione con quello di contro eccepito, considerato che la conduttrice aveva continuato ad abitare nell’immobile locato sospendendo totalmente i pagamenti. Rigettò, inoltre, la domanda di riduzione del canone, a motivo della incontestata conoscenza dei vizi da parte della conduttrice.
Con sentenza n. 2948/2021, resa pubblica l’11 giugno 2021, la Corte d’appello di Roma , rigettando il gravame interposto dalla COGNOME, ha confermato tale decisione, condannandola alle spese del grado.
Ha, infatti, rilevato che:
─ la predetta, per sua espressa ammissione, aveva conoscenza dello stato dei luoghi sin dal 2004;
─ pur avendo verificato l’ingravescenza del fenomeno infiltrativo, aveva nondimeno conservato la detenzione dell’appartamento e si era anzi determinata a stipulare un nuovo contratto, impegnandosi all’esecuzione dei lavori necessari ad eliminare i vizi noti;
─ tali lavori non risultavano essere stati eseguiti, atteso che il tecnico nominato in sede di RAGIONE_SOCIALE non ne aveva rinvenuto traccia;
─ i n tale quadro correttamente il Tribunale aveva escluso la rilevanza dei capitoli della prova testimoniale articolati dall’appellante e l’applicabilità delle previsioni degli artt. 1578 e 1460 cod. civ., atteso che, in situazione di piena conoscibilità della gravità dei vizi dell’immobile e in considerazione della pregressa detenzione quasi decennale e dell’ammessa costante ingravescenza degli inconvenienti,
la conduttrice non aveva adempiuto all’obbligo di eliminarli, assunto contrattualmente, ed aveva invece sospeso unilateralmente il pagamento del canone di locazione, pur conservando il godimento dell’immobile;
per converso, la Corte ha ritenuto dubbia l’ ipotizzabilità di un comportamento inadempiente della locatrice, vista la pattuita compensazione di una annualità di canoni con gli esborsi necessari all’eliminazione dei vizi noti alla data di stipulazione del contratto del 2012;
ha ritenuto, inoltre, non convincente l’argomentazione difensiva dell’appellante secondo cui dagli accertamenti peritali effettuati in sede di A.RAGIONE_SOCIALE era emerso trattarsi di vizi strutturali, necessitanti per l’eliminazione di opere molto più costose dell’importo del canone annuale accettato in compensazione, poiché tale accertamento risultava intervenuto successivamente al conclamato grave inadempimento della COGNOME e non poteva valere come giustificazione postuma.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui resiste NOME COGNOME depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata da rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia « violazione e falsa applicazione degli artt. 1575 e 1576 c.c. disciplinanti gli obblighi del locatore, nonché dell’art. 1460 c.c. relativo all’eccezione di inadempimento con riferimento alla sospensione del pagamento dei
canoni di locazione (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.) ».
Sostiene che lo stato di fatiscenza dell’immobile, risultante dalle foto acquisite e nemmeno contestato da controparte, avrebbe dovuto giustificare la proposta exceptio inadimpleti contractus ed escludere pertanto la fondatezza della avversa domanda di risoluzione per inadempimento.
Con il secondo motivo denuncia « violazione e falsa applicazione degli artt. 1575 e 1576 c.c. disciplinanti gli obblighi del locatore, con riferimento alla domanda di riduzione del canone (art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.) ».
Per le medesime considerazioni svolte a fondamento del primo motivo, deduce che il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare legittima anche la richiesta di riduzione del canone.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia « omesso esame di fatti decisivi controversi per omessa considerazione delle risultanze dell’ATP (art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.) » da cui emergeva l’imputabilità dello stato di fatiscenza a vizi strutturali la cui eliminazione non poteva essere posta a carico della conduttrice.
Con il quarto motivo -rubricato « nullità della sentenza per motivazione apparente e/o contrasto tra affermazioni inconciliabili (art. 360 comma primo n. 4 c.p.c.) » ─ la ricorrente lamenta la contraddittorietà con precedenti passaggi argomentativi dell’affermazione contenuta in sentenza secondo l’a.t.p., essendo intervenuto successivamente al conclamato grave inadempimento della COGNOME, « non può valere come giustificazione postuma ».
Con il quinto motivo ─ rubricato « omesso esame di fatti decisivi per avere la Corte omesso la considerazione di elementi fattuali dedotti nei capitoli di prova non ammessi e nelle c.t.u. richieste (art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.) » ─ la ricorrente si duole , infine, della mancata ammissione delle prove richieste.
Al termine della illustrazione del motivo la ricorrente osserva, inoltre, che le opere necessarie a eliminare i fenomeni infiltrativi, essendo questi imputabili a vizi strutturali, non potevano essere assolutamente poste a carico della conduttrice mediante la compensazione con un’annualità di canoni di locazione, e che la clausola contrattuale che ciò prevedeva doveva considerarsi affetta da nullità assoluta, per contrarietà alla norma imperativa di cui al su menzionato art. 1576 c.c..
6. Il primo motivo è infondato.
Secondo pacifico insegnamento, l’obbligo del locatore di effettuare le riparazioni necessarie a mantenere l’immobile in buono stato locativo, di cui all’art. 1576 c.c.., riguarda gli inconvenienti eliminabili nell’ambito delle opere di manutenzione e, pertanto, non può essere invocato per rimuovere guasti aventi causa in fenomeni non transitori o deterioramenti rilevanti (quali quelli che, secondo quanto pacificamente emerge dalla sentenza e dalle stesse indicazioni della ricorrente, affliggono l’immobile per presenza di umidità e formazione di condensa), rispetto ai quali la tutela del locatario resta affidata alle disposizioni dettate dagli artt. 1578 e 1581 c.c. per i vizi della cosa locata (Cass. 25/05/2010, n. 12712; 13/11/2019, n. 29329). Ne discende che, non potendosi configurare un inadempimento del locatore, non è nemmeno attuabile il rimedio di cui all’art. 1460 cod. civ. consentito solo a fronte di un inadempimento della controparte.
7. Il secondo motivo è parimenti infondato.
L’art . 1578 cod. civ. ─ cui, come detto, occorre riferirsi per il governo in iure della fattispecie ─ al primo comma prevede che « se al momento della consegna la cosa locata è affetta da vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso pattuito, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, salvo che si tratti di vizi da lui conosciuti o
facilmente riconoscibili ». Dispone poi l’art. 1579 cod. civ.: « il patto con cui si esclude o si limita la responsabilità del locatore per i vizi della cosa non ha effetto, se il locatore li ha in mala fede taciuti al conduttore oppure se i vizi sono tali da rendere impossibile il godimento della cosa ». Infine, dispone l’art. 1580 cod. civ.: « se i vizi della cosa o di parte notevole di essa espongono a serio pericolo la salute del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti, il conduttore può ottenere la risoluzione del contratto, anche se i vizi gli erano noti, nonostante qualunque rinunzia ».
Rapportato alla fattispecie concreta quale accertata in sentenza e pacificamente emergente dalle indicazioni delle parti, il combinato disposto di tali norme conduce a ritenere che:
─ trattandosi di vizi certamente conosciuti dalla conduttrice e, come si rileva in sentenza, tali da non impedirle di accettare la conclusione del contratto (secondo quanto esposto si sarebbe in realtà trattato della formalizzazione di un rapporto di fatto risalente a diversi anni prima), prevedente l’accollo delle spese necessarie a porvi rimedio in cambio dell’esonero del pagamento dei canoni per una annualità, correttamente è stata esclusa nella fattispecie anche l’invocabilità di una riduzione del canone, implicando quel patto una deroga convenzionale alla disciplina dettata dall’art. 1579 cod. civ . (deroga che, diversamente da quanto postulato dalla ricorrente al termine della illustrazione del quinto motivo, è espressamente consentita dalla norma sia pure con i detti limiti di efficacia);
─ ai sensi dell’art. 1580 cod. civ., ove si tratti di vizi che, per quanto noti e accettati, pongano in pericolo la salute della conduttrice o dei suoi familiari, rimane in astratto percorribile (solo) il rimedio della risoluzione, su richiesta del conduttore, rimedio che però nella specie la conduttrice non ha richiesto.
I motivi terzo e quinto si appalesano inammissibili.
Lo sono anzitutto per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 6/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).
Può comunque soggiungersi che, alla luce delle considerazioni che precedono, le circostanze che, anche per l’omessa ammissione di mezzi istruttori, si assumono non considerate, non avrebbero comunque potuto condurre a diversa qualificazione giuridica della fattispecie.
Per la stessa ragione deve dirsi inammissibile anche il quarto motivo.
Il vizio di motivazione apparente, quand’anche sussistente (ma ciò deve negarsi, essendo perfettamente comprensibile la motivazione), si rivelerebbe irrilevante dal momento che la natura strutturale dei vizi denunciati (la cui origine e gravità risulterebbe acclarata dall’ a.t.p. della cui mancata acquisizione si duole la ricorrente) non avrebbe potuto che condurre ai medesimi esiti qualificatori sopra esposti.
Per le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato.
Ne discende, per il principio della soccombenza, la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese in favore della controricorrente, liquidate come da dispositivo.
11. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.400 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza