Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27243 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27243 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16774/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE, COGNOME NOME e COGNOME NOME, domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO dal l’AVV_NOTAIO NOME (CODICE_FISCALE), il quale la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO da ll’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 306/2023 depositata il 31/1/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/6/2024 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
Il Tribunale di Milano, su ricorso di RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) emetteva il 27 gennaio 2017 decreto ingiuntivo per il pagamento di euro 737.635,83, oltre interessi, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dei fideiussori di quest’ultima , NOME COGNOME e NOME COGNOME, a titolo di canoni dovuti per un contratto di locazione finanziaria del 3 agosto 2006 avente ad oggetto una macchina da stampa.
Gli ingiunti si opponevano, ma con sentenza n. 8654/2021 il Tribunale rigettava l’opposizione.
RAGIONE_SOCIALE, NOME e NOME proponevano appello, cui resisteva RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e in cui interveniva RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) quale mandataria delle cessionarie del preteso credito, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
La Corte di Milano rigettava il gravame con sentenza del 31 gennaio 2023.
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME e COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Si sono difesi con rispettivo controricorso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Considerato che:
Il primo motivo è diviso in due submotivi: sub A si denuncia nullità parziale della sentenza impugnata in relazione agli articoli 115 c.p.c. e 50 TUB quanto a lla pretesa non contestazione dell” estratto conto ‘ dei crediti azionati prodotto da RAGIONE_SOCIALE; sub B, in subordine, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 645 c.p.c. e 2697 c.p.c. quanto alla prova di parziale estinzione dell’obbligazione.
1.1 Quanto al submotivo sub A, si sostiene che durante il giudizio di primo grado, scaduto però il termine per proporre mezzi istruttori, RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto da controparte una nota di credito del 30 luglio 2019 per euro 295.728,20 -attinente al ricollocamento della macchina da stampa, che controparte aveva ritirato nel luglio 2019- nonché cinquantadue note di credito del 18 maggio 2018 -relative al recupero d’Iva da parte di RAGIONE_SOCIALE per un totale di euro 238.071,25 .
Complessivamente, dunque, RAGIONE_SOCIALE aveva recuperato la somma di euro 533.829,45; pertanto, con nota del 25 settembre 2020, RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto la revoca del decreto ingiuntivo e la rideterminazione del suo residuo debito.
Controparte però, all’udienza appositamente fissata del 24 marzo 2021, contestava ‘la rilevanza della documentazione prodotta … in quanto sopravvenuta’ all’emissione del decreto ingiuntivo; tuttavia, non contestava il contenuto della documentazione stessa.
Solo con nota del 30 aprile 2021 di RAGIONE_SOCIALE -nelle more costituitasi quale mandataria della cessionaria del credito- veniva prodotta quella che veniva definita una copia, non sottoscritta, dell’estratto conto relativo al rapporto con RAGIONE_SOCIALE, nota da cui sarebbe emerso un credito verso quest’ultima, al netto dei suddetti recuperi, dell’importo di euro 795.982.
All’udienza del 5 maggio 2021 tenuta a trattazione scritta RAGIONE_SOCIALE non era nelle condizioni per contestare, non potendo telematicamente vedere i documenti ed essendo già scaduto – il 30 aprile 2021 – il secondo termine per note, per cui solo nella memoria conclusionale aveva poi contestato l’estratto conto perché ‘semplice <> mancante della conformità ex art. 50 TUB e relativa a presunti crediti maturati in data successiva al deposito del ricorso
monitorio (1.4.2016) e pertanto non oggetto del presente giudizio’; inoltre tali crediti non sarebbero stati mai fatti valere, né lo avrebbero potuto ‘difettando la prova della loro esistenza’.
Il Tribunale affermava che ‘la terza intervenuta cessionaria’ aveva prodotto un ‘ estratto conto alla data del 29. 11. 2020, solo genericamente contestato da parte opponente’, per cui non si poteva ritenere che ‘ gli importi riconosciuti a RAGIONE_SOCIALE in seguito alla risoluzione del contratto’ avessero ‘ridotto il debito per canoni scaduti di cui al decreto, potendo invece rilevare a definizione dell’intero rapporto’.
Con il sesto motivo d’appello gli attuali ricorrenti censuravano ciò, negando di avere ‘solo genericamente contestato’ tale estratto.
A questo punto i ricorrenti riportano (ricorso, pagine 8-10) il passo motivazionale della sentenza d’appello che giustifica il rigetto del sesto motivo del gravame, opponendovi che la corte territoriale non avrebbe esaminato le censure sulla efficacia probatoria del documento, che la contestazione non sarebbe stata affatto generica in primo grado e altresì che sarebbe stata reiterata in appello ‘l’eccezione di inutilizzabilità del documento in quanto copia a uso interno, mancante della conformità ex art. 50 TUB, relativo a presunti crediti maturati in data successiva al deposito del ricorso monitorio (1.4.2016) e pertanto non oggetto del giudizio’, ancora aggiungendo che tali crediti non sarebbero mai stati fatti valere, né lo avrebbero potuto ‘difettando la prova della loro esistenza’. Pertanto il giudice d’appello avrebbe violato gli articoli 115 c.p.c. e 50 TUB, considerato che, ‘disconosciuta l’efficacia probatoria del documento’, si sarebbe adempiuto ‘l’onere di specifica contestazione’, onde non avrebbe potuto avere efficacia tale estratto conto.
1.2 Come submotivo B, proposto in subordine, si denuncia violazione degli articoli 645 c.p.c. e 2697 c.c.: il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto di quanto la creditrice aveva recuperato dopo l’emissione del decreto ingiuntivo, cioè la somma di euro 295.728,20 per il ricollocamento della macchina e la somma di euro 238.071,25 per il recupero Iva, giungendo così a un totale di
euro 533.829,45, da detrarre quindi dal credito ingiunto, il che trasformerebbe la somma in realtà dovuta in euro 203.806,38. Avrebbe errato il Tribunale ritenendo non assolto l’onere di specifica contestazione ex articolo 115 c.p.c., dal momento che gli opponenti avrebbero invece specificamente contestato, sostenendo che si trattava di documenti privi di requisiti ai sensi dell’articolo 50 TUB -copia a uso interno ; il giudice d’appello però avrebbe erroneamente ritenuto il difetto di prova da parte degli opponenti su tale documentazione. Al contrario, avrebbe dovuto essere la creditrice a dimostrare il suo credito.
Non sarebbe poi comprensibile l’asserto del giudice d’appello che le somme incassate potevano decurtarsi da quanto dovuto come penale; si critica pure l’affermazione della corte territoriale che l’accredito Iva sarebbe solo ‘una partita di giro’ , per cui RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto comunque pagarla quando la creditrice l’aveva ‘già integralmente recuperata’.
2.1 Riassumendo la sostanza di queste censure, si rileva che i ricorrenti lamentano che il giudice d’appello, nonostante il sesto motivo del gravame, non abbia tenuto in conto (proprio come il primo giudice) il fatto che durante il processo la stessa creditrice aveva rilasciato alla opponente TCS – che le aveva poi prodotte – note di credito che avrebbero portato con il loro importo successivo di euro 533.829,45 un importo da decurtare rispetto a quello di cui era stato ingiunto il pagamento in via monitoria; e lamentano pure che entrambi i giudici di merito, per rafforzare la pretesa non incidenza di ciò, hanno poi ritenuto provato, tramite un estratto conto che tale non sarebbe, una debenza includente un plus rispetto a quanto ingiunto, così da pervenire a una debenza complessiva di euro 795.982 (in forza, appunto, della produzione documentale dell’intervenuta RAGIONE_SOCIALE) e confermare in tal modo il decreto ingiuntivo di euro 737.635,83.
2.2 La c orte d’appello, a proposito del sesto motivo del gravame (pagine 10 ss. della sentenza), ne sintetizza il contenuto come denuncia di violazione degli articoli 50 TUB e 115 c.p.c. ‘per mancata corretta considerazione delle note di credito’ che attengono app unto a una somma complessiva di euro 533.829,45
e per difetto di valore dell’estratto conto ‘a uso interno’ – con il quale, come si è visto, si è fatta ‘ricrescere’ la debenza -.
La corte territoriale aderisce in toto al Tribunale (e non è tematica da ricondurre all’articolo 360, primo comma, n.5 , bensì n.3 c.p.c.)
2.3 Erroneo risulta allora ictu oculi , e assorbente di ogni altro profilo del motivo, quel che il giudice d’appello ha ritenuto, conformemente al primo giudice, in ordine alla valenza probatoria del preteso ‘estratto conto’.
2.3.1 Come si è visto, NOME si costituiva il 17 marzo 2021 (cfr. sentenza d’appello, pagina 3) ma soltanto con la nota di trattazione del 30 aprile 2021 produceva il documento che il giudice d’appello ha ritenuto ex adverso solo genericamente contestato – che sarebbe stato un ‘estratto conto’, da cui sarebbe derivata la prova della sussistenza dell’ulteriore credito che, sommato con il dovuto ‘già al netto delle note di credito’, portava a un debito ‘superiore a quello oggetto del provvedimento monitorio’ (sentenza, pagina 11).
Come pure si è visto, seguendo la linea già tracciata in primo grado, con il sesto motivo d’appello gli attuali ricorrenti avevano lamentato che il primo giudice ‘aveva erroneamente ritenuto che l’estratto conto … fosse stato solo genericamente contestato da parte opponente’ , laddove era stata dedotta la in idoneità probatoria dell’estratto conto stesso, ovvero la mancanza di conformità rispetto all’articolo 50 TUB , norma che consente di radicare il decreto ingiuntivo ‘ anche in base all’estratto conto, certi ficato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido ‘.
Gli appellanti, precisamente, come già avevano eccepito in primo grado subito dopo la produzione dal preteso estratto conto (si veda ricorso, pagina 7), hanno appunto eccepito la mancanza ‘della conformità ex art. 50 TUB’, trattandosi di ‘semplice <>’: è inequivoca l’eccezione come denuncia del mancato certificato del dirigente previsto dalla norma, e la corte territoriale stessa ha percepito il sesto motivo del gravame , nell’illustrarlo, proprio come violazione dell’articolo 50, ‘a nulla valendo … l’estratto conto ex art. 50 … non
certificato e recante la dicitura <>, tempestivamente contestato’ (sentenza, pagina 11).
2.3.2 Emerge inequivocamente, a tale stregua, che il giudice d’appello ha errato nell’affermare (ancora a pagina 11 della sentenza) che sarebbe stato ‘solo genericamente contestato dagli attori’ ( sic ) l’estratto conto: al contrario, come il giudice d’appello aveva appena esposto nel riassumere il contenuto del sesto motivo del gravame, gli attuali ricorrenti avevano denunciato la violazione dell’articolo 50 TUB per mancata certificazione. E quindi ciò conduce alla fondatezza del primo motivo, assorbendone ogni ulteriore argomento.
Con il secondo motivo si denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione o falsa applicazione degli articoli 2, secondo comma, lettera a), l. 287/1990 e 1957 c.c., nonché nullità parziale della fideiussione e conseguente decadenza ai sensi dell’articolo 1957 c.c.
3.1 Il primo e il secondo motivo d’appello – osservano i ricorrenti – avevano reiterato l’eccezione di nullità parziale della garanzia fideiussoria prestata da NOME per violazione del citato articolo 2, secondo comma, lettera a), in relazione allo ‘schema di fideiussione omnibus predisposto dall’ABI’ delle cui clausole 2, 6 e 8 il decreto del 2 maggio 2005 n. 55 emesso dalla Banca d’Italia ha dichiarato la nullità, confermata recentemente da NUMERO_DOCUMENTO. E tale invalidità non può certo limitarsi alla fideiussione omnibus , costituendo un principio generale di tutela della libertà di concorrenza.
Nel caso de quo sussisterebbe, ancora sostengono i concorrenti, nullità parziale della clausola d) della fideiussione ex articolo 1419 c.c., per cui deve applicarsi l’articolo 1957 c.c. Essendo trascorsi il 3 gennaio 2016 sei mesi dalla scadenza dell’ultimo canone – 3 luglio 2015 -, ed essendo stato depositato ricorso monitorio il 1 aprile 2016, la fideiussione all’epoca del ricorso sarebbe decaduta ai sensi dell’articolo 1957, primo comma, c.c. , costituendo la clausola d) delle condizioni di contratto una ‘mera trasposizione dell’art.6’ dello schema ABI.
3.2 La Corte d’appello avrebbe allora violato ‘le regole di interpretazione’ e quelle ‘in tema di qualificazione’, confliggendo la sua decisione con
l’insegnamento delle stesse Sezioni Unite. Inoltre, la clausola e) del contratto, che prevede pagamento a semplice richiesta scritta, non verrebbe a inibire l’applicazione del limite di cui all’articolo 1957 c.c. ‘non essendo tale contratto, per ciò solo, definibile come contratto autonomo di garanzia in assenza della esclusione per il garante della possibilità di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale’ ( qui si invoca Cass. 19693/2022).
4.1 Come quando ha affrontato il sesto motivo d’appello, anche sotto questo profilo la corte territoriale si arrocca, per così dire, su una pretesa genericità della censura dell’appellante, per poi avvalersi di argomenti che, in realtà, sono evidentemente generici oltre che errati.
Afferma infatti il giudice d’appello che ‘l’asserita conformità della fidejussione … con lo schema Abi’ sarebbe una censura del tutto generica, apodittica e a livello ‘di puro enunciato’; inoltre non sarebbe in discussione una ‘fideiussione omnibus o che riproduca pedissequamente … detto schema, anzi essendo evidenti le personalizzazioni’ ; e i contraenti avrebbero ‘specificamente espresso la propria volontà sinallagmatica al riguardo anche specificamente ai fini di cui all’art. ( sic ) 1341 e 1342 c.c.’ (sent enza, pagine 5-6).
Immediatamente prima di questi asserti – sentenza, pagina 5 – il giudice d’appello aveva però rilevato : ‘gli appellanti ribadiscono la propria eccezione di nullità parziale della fideiussione in parola con riferimento alla clausola <> delle relative condizioni, in quanto mera trasposizione dell’art.6 del menzionato schema di contratto ABI, secondo il mo dello che la Banca d’Italia ha ritenuto contrastante con il divieto di intese anticoncorrenziali, con la conseguenza che la garanzia deve considerarsi non più sussistente ex art. 1957 c.c.’; e la motivazione della sentenza prosegue ( ibidem ) con la descrizione dei dati cronologici pertinenti che sarebbero stati forniti sempre dagli attuali ricorrenti.
4.2 È quindi palesemente infondata l’affermazione del giudice d’appello che gli appellanti non fossero stati precisi nel formulare la loro censura; né il giudice d’appello spiega perché non si tratterebbe di una fideiussione omnibus , a parte che – e questo è dirimente – S.U. 41994/2021 non richiede espressamente
quest’ultima, bensì si riferisce ai contratti di fideiussione ‘a valle’ di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante , per cui se vi fosse la clausola nulla del modello ABI, quantomeno in parte qua il contratto sarebbe a valle.
4.3 La corte territoriale asserisce poi la sussistenza di specifici sostegni alla fideiussione così come stipulata, senza però indicare in che cosa questi sostegni consisterebbero per scioglierla dalla nullità di cui all’articolo 1419 c.c.: le ‘evidenti personalizzazione’ non spiega neppure che cosa siano, e d’altronde le sottoscrizioni ex articoli 1341 e 1342 c.c. non sono certo idonee a eliminare una siffatta nullità di origine unionale.
Sostiene altresì la corte territoriale che gli attuali fideiussori ‘avrebbero prestato in ogni caso la garanzia’ perché ‘persone legate alla debitrice principale’, e che lo stesso provvedimento della Banca d’Italia osserva, ‘al fine di conservare la validità delle pattuizioni …, quantomeno con riferimento alle clausole n on colpite da nullità, che il fideiussore è normalmente cointeressato … alla prestazione della garanzia’. Non si vede l’incidenza di ciò, poiché non è per questo che la nullità inficia la clausola contrattuale in esame, fondandosi invece sulla necessaria tutela della libertà di concorrenza, come rilevato dalle Sezioni Unite nell’arresto del 2021; il che subito dopo viene riconosciuto riferendosi all’interesse pubblico – dallo stesso giudice d’appello (sentenza, pagina 6).
4.4 La corte territoriale, infine, conclude nel senso che sarebbe stata ‘validamente’ dispensata la concedente dai termini di cui all’articolo 1957 c.c. (sentenza, pagina 7): ma tale risultato interpretativo – per non dire assertivo deriva, come si è visto, da null’altro che una completa e continua divergenza dalla nullità parziale riconosciuta dal giudice nomofilattico, vale a dire da una inequivoca violazione di legge.
Anche il secondo motivo, pertanto, deve essere accolto.
5. Alla fondatezza nei suindicati termini dei motivi consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame facendo applicazione dei suindicati disattesi principi.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’ Appello di Milano, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 20 giugno 2024