Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 455 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 455 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7589/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, INDIRIZZO. INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
-ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME;
– controricorrenti – avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 24/2018 depositata il 12/01/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 03.01.2008 RAGIONE_SOCIALE conveniva innanzi al Tribunale di Bergamo RAGIONE_SOCIALE per sentire dichiarare risolto il contratto di somministrazione di cosmesi decorativa «cotto» stipulato il 22.12.2005 con la società convenuta per inadempimento di quest’ultima, e sentire condannare la medesima al pagamento della penale contrattualmente pattuita e/o al risarcimento dei danni, nonché accertare che nulla era dovuto dall’attrice a ti tolo di penale.
1.1. A sostegno della sua pretesa, RAGIONE_SOCIALE spiegava che, con il contratto di somministrazione, si era impegnata a commissionare alla RAGIONE_SOCIALE la produzione di cosmesi decorativa «cotto» per un importo annuale minimo di € 500.000,00 per il 2006, € 550.000,00 per il 2007, € 610.000,00 per il 2008, con la previsione che, in caso di mancato raggiungimento di detto fatturato alla fine di ogni anno, Gotha avrebbe riconosciuto a RAGIONE_SOCIALE. il 36% del mancato fatturato annuale, mentre RAGIONE_SOCIALE si impegnava a pagare a NOME una penale di € 100.000,00 per ogni infrazione riguardante il singolo cliente.
Il Tribunale di Bergamo, in accoglimento dell’eccezione sollevata dalla convenuta, dichiarava la sua incompetenza.
2.1. La causa veniva riassunta da NOMECOGNOME e NOME COGNOME -già soci della RAGIONE_SOCIALE sciolta in data 23.09.2008 -innanzi al Tribunale di Crema, il quale rigettava la domanda proposta dagli attori in riassunzione per carenza di legittimazione attiva. Affermava il Tribunale che la RAGIONE_SOCIALE era stata sciolta in data 23.09.2008 senza messa in liquidazione per «inesistenza di attività da realizzare né passività da estinguere» e che i soci, senza fare riferimento al contenzioso avviato da RAGIONE_SOCIALE, si
limitavano a regolare la sorte di «eventuali crediti o debiti attualmente non quantificabili» prevedendone la ripartizione secondo le rispettive quote di partecipazione societaria.
2.2. NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello avverso detta sentenza innanzi alla Corte d’Appello di Brescia, al fine di ottenere, quali successori dell’estinta RAGIONE_SOCIALE, la risoluzione del contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE per inadempimento di quest’ultima e la sua condanna al pagamento della somma di € 333.376,71.
La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza qui impugnata, accoglieva integralmente il gravame, condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento – in ossequio alla penale pattuita nel contratto pari al 36% del mancato fatturato annuale di € 120.574,23 per il 2007, di € 219.600,00 per il 2008. A sostegno della sua decisione, per quanto ancora rileva in sede di legittimità, la Corte osservava che:
-estinta la società RAGIONE_SOCIALE in assenza di liquidazione, si determina un fenomeno successorio in virtù del quale si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato (Cass. n. 16638 del 10.08.2015, che conf. Cass. Sez. U, n. 6071 del 12.03.2013);
nel caso di specie, detta presunzione di rinuncia sarebbe stata superata da prova contraria, ravvisabile nella dicitura contenuta nell’atto di scioglimento della RAGIONE_SOCIALE, ove i due soci
dichiaravano che: «eventuali crediti o debiti, attualmente non quantificabili, saranno rispettivamente a favore e a carico di loro medesimi in proporzione alla quota spettante a ciascuno»;
ne discendeva l’avvenuto trasferimento dalla società ai due soci di tutti i residui crediti (e debiti) della società, con conseguente legittimazione attiva (e passiva) nel presente giudizio.
Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi e illustrandolo con memoria depositata in prossimità dell’adunanza.
Resistevano con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce falsa applicazione degli artt. 2312 e 2495 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. La Corte d’Appello avrebbe applicato in modo errato le norme menzionate riconoscendo la successione di NOME COGNOME nelle (mere) pretese giudiziarie e nei diritti incerti della RAGIONE_SOCIALE al momento della sua cancellazione e, conseguentemente, la sua legittimazione attiva a proseguire il giudizio instaurato dalla società estinta. L’impugnata sentenza risulta, così, in insanabile contrasto con il principio di diritto espresso da questa Corte in virtù del quale: « all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non si trasferiscono ai soci le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti ed illiquidi» (Cass. Sez. U, nn. 6070, 6071, 6072 del 12.03.2013).
1.1. Preliminarmente, deve disattendersi l’eccezione di improcedibilità del ricorso, ex art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., elevata dai controricorrenti per mancata indicazione specifica degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda. A parte che la
violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, 1 cod. proc. civ., rende il ricorso inammissibile, non improcedibile, in ogni caso, come correttamente messo in rilievo nella memoria della ricorrente, il ricorso si basa su questioni di diritto affrontate dalle Corte d’appello di Brescia (interpretazione della volontà delle parti espressa in una clausola contrattuale, interpretazione di norme di legge), rispetto alle quali le censure mosse dalla ricorrente si rivelano adeguatamente argomentate e documentate.
1.2. Tanto premesso, il motivo è fondato.
L’art. 2495 cod. civ. vigente ratione temporis recita: «1. Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. 2. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società».
Già nel 2010, questa Corte ha pronunciato tre sentenze, rese a Sezioni Unite, con le quali ha chiarito che, anche nelle società di persone, la cancellazione determina il venir meno della loro capacità e soggettività, se pure soltanto con effetto dichiarativo e non costitutivo, negli stessi termini in cui analogo effetto (costitutivo) si produce per le società di capitali (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4060 del 22/02/2010, Rv. 612083 -01; n. 4061 e 4062; Cass. Sez. 1, n. 26196 del 19.12.2016, Rv. 642761 – 01; Cass. Sez. 3, n. 12155 del 14.06.2016).
L’art. 2495, comma 2, cod. civ. ammette la cancellazione e, quindi, l’estinzione di una società dal registro delle imprese anche se essa ha
ancora debiti verso terzi: proprio per questa evenienza dispone espressamente il comma secondo per il quale, ferma appunto restando l’estinzione della società, gli eventuali creditori insoddisfatti possono sempre agire contro gli ex soci, nei limiti di quanto da questi ultimi percepito ad esito della liquidazione; e contro i liquidatori, ove il mancato pagamento sia dipeso da loro colpa. Nulla, invece, espressamente dispone con riguardo ai processi pendenti in cui sia parte la società della cui estinzione si tratta, né è possibile rinvenire altrove una norma che disciplini in modo diretto la fattispecie.
1.3. I successivi interventi di questa Corte hanno inteso risolvere tale problema, in funzione della tutela di interessi ritenuti prevalenti: da un lato, la rapida conclusione del procedimento estintivo della società e, quindi, la certezza dei rapporti giuridici; dall’altro, la salvaguardia delle ragioni dei creditori della società in liquidazione in presenza di debiti certi ed esigibili.
Con ulteriori tre sentenze gemelle questa Corte ha, infatti, enunciato il principio di diritto per cui: «Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nel limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, ” pendente societate “, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa,
con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013 (Rv. 625323 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6071 del 12/03/2013, Rv. 625328 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 6072 del 12/03/2013, Rv. 625329 – 01).
L’esigenza di certezza dei rapporti giuridici e di tutela dei creditori si avverte in particolare nell ‘ estensione della rinuncia di cui al punto b) del principio di diritto riportato: la stessa Corte, infatti, ha chiarito (con l’ultima delle sentenze coeve: Cass. Sez. U, n. 6072 del 2013) che la domanda di risarcimento del danno per eccessiva durata del processo non è una «mera pretesa», ma un vero e proprio diritto di credito, ancorché illiquido; diritto di credito da ritenersi rinunciato con la cancellazione: «la scelta del liquidatore di procedere … alla cancellazione della società dal registro, senza prima svolgere alcuna attività volta a far accertare il credito o farlo liquidare, può ragionevolmente essere interpretata come un’univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito (incerto o comunque illiquido) privilegiando una più rapida conclusione del procedimento estintivo».
1.3.1. In altri termini, le Sezioni Unite distinguono tra sopravvivenze «certe» (oggetto di successione a favore degli ex soci) ed «incerte», o «mere pretese» (destinate ad estinguersi per rinuncia con l’estinzione della società), ed il criterio prescelto è quello della iscrivibilità a bilancio di liquidazione. Sicché solo se il processo pendente alla data di cancellazione dell’ente abbia ad oggetto le prime, opererà il meccanismo descritto di interruzione del procedimento e
riassunzione nei confronti degli ex soci. Diversamente, gli ex soci non potranno azionare in un nuovo giudizio le sopravvivenze attive definite «mere pretese», ancorché già azionate, ed il processo eventualmente su di esse pendente alla data della cancellazione della società sarà destinato ad estinguersi.
1.3.2. Alla luce dei ricordati interessi di portata e carattere generale, in funzione dei quali questa Corte ha orientato la disciplina dei rapporti pendenti di società cancellate dal registro delle imprese, si deve escludere che la rinuncia alle sopravvivenze «incerte» possa essere rimessa alla volontà potestativa degli ( ex ) soci, sostenuta -come nel caso che ci occupa – dal fatto che l’atto di scioglimento della società contenesse una clausola di riserva di ripartizione di «eventuali crediti o debiti, attualmente non quantificabili, rispettivamente a favore e a carico » (clausola che, peraltro, la stessa Corte distrettuale definisce non eccessivamente chiara: v. sentenza p. 15, terzo rigo). Infatti, tale clausola -indipendentemente dal suo rilievo -potrebbe essere riferita ad attività non compiutamente venute ad esistenza al momento della redazione del bilancio conclusivo, così da rappresentare nuovi elementi patrimoniali attivi, mentre, nella specie, il preteso credito reclamato discendeva dalla verifica giudiziale de ll’ asserito inadempimento della committente; credito da inadempimento che, al momento dello scioglimento, la società ben avrebbe potuto far valere, e invece non ha inteso azionare, così tacitamente ma inequivocamente rinunciandovi (v. Cass. Sez. 1, n. 2369 del 15.11.2016, resa in un caso analogo in cui la fase di liquidazione di una s.n.c. era stata omessa per essere già stati onorati tutti i debiti sociali, ma esisteva delega ad un socio a riscuotere le sopravvenienze attive ed a pagare eventuali debiti ulteriori).
1.4. In definitiva, si chiede ai soci (in un’ottica di responsabilizzazione in funzione di tutela di interessi generali) di deliberare l’estinzione della società solo dopo aver concretizzato tutte le possibili potenziali situazioni giuridiche attive, altrimenti quelle definite «mere pretese» si devono considerare rinunciate per sempre.
Con il secondo motivo si deduce falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367 e 1368 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. La ricorrente lamenta la violazione dei canoni di ermeneutica nell’interpretare l’atto di sciogl imento della RAGIONE_SOCIALE, tanto da rinvenire in esso la volontà di trasmettere ai soci le pretese giudiziarie mosse nei confronti dell’odierna ricorrente.
2.1. Avendo questa Corte accolto il primo motivo di gravame, il secondo resta assorbito.
Poiché il giudizio d’appello non poteva essere proseguito per difetto di legittimazione attiva di COGNOME COGNOME, ex soci dell’estinta RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio.
Le spese di lite del giudizio di appello possono essere compensate, mentre quelle del grado di legittimità seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara improcedibile il giudizio di appello.
Compensa le spese di lite del giudizio di appello e condanna i controricorrenti a rifondere a RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 11.472,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda