Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23766 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23766 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8710-2024 proposto da:
Adunanza camerale
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME domiciliate ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica de i propri difensori come in atti, rappresentate e difese dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE e per essa la sua procuratrice RAGIONE_SOCIALE in persona della procuratrice speciale Dott.ssa NOME COGNOME domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica de l proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’ Avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
OPPOSIZIONE ESECUZIONE
Estinzione di procedura esecutiva –
Riassunzione –
Pretesa irritualità
R.G.N. 8710/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 2/4/2025
COGNOME, domiciliato presso il proprio l’indirizzo di posta elettronica, rappresentato e difeso da sé medesimo, ex art. 86 cod. proc. civ.;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 65/2024 della Corte d’appello di Trieste, pubblicata il 12/02/2024;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 02/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 65/24, del 12 febbraio 2024, della Corte d’appello di Trieste, che -nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 1009/23, del 13 novembre 2023, del Tribunale di Udine – ha confermato il rigetto del reclamo, ex art. 630 cod. proc. civ., proposto dalle stesse avverso l’ordinanza di reiezione dell’ opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. e contestuale istanza di declaratoria di estinzione della procedura esecutiva immobiliare a loro carico, che si sosteneva irritualmente riassunta da RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘).
Riferiscono, in punto di fatto, le odierne ricorrenti di aver subito una procedura espropriativa immobiliare su iniziativa d ell’ Avvocato NOME COGNOME in forza di titolo esecutivo costituito da un provvedimento che liquidava, in favore del medesimo e di un altro legale (nella loro comune qualità di difensori antistatari), le spese di un giudizio civile.
In tale procedura intervenivano altri soggetti e, in particolare, per quanto qui di interesse, oltre ad un ulteriore legale, l’Avvocato NOME COGNOME le società Banca Popolare di Vicenza e Banca
Berica Residential 1 (la quale ultima aveva ‘cartolarizzato’ i crediti della prima, assistiti da garanzia ipotecaria su due delle tre unità immobiliari pignorate). Posta la Banca Popolare di Vicenza in pendenza della procedura esecutiva suddetta – in liquidazione coatta amministrativa, i crediti della stessa formavano oggetto di cessione in favore della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘SGA’), la quale ha poi mutato ragione sociale in RAGIONE_SOCIALE.
Fissata udienza, in data 3 dicembre 2019, innanzi al giudice dell’esecuzione, in occasione della stessa, mentre veniva dato atto dell’estinzione della procedura relativa a due dei tre immobili pignorati, venduti all’asta con conseguente distribuzione del ricavato, quella concernente la terza unità immobiliare (la sola non gravata da alcuna ipoteca) veniva, invece, sospesa ex art. 601 cod. proc. civ., per dar corso ad un giudizio divisionale endoesecutivo. Il giudice dell’esecuzione, infatti, rilevava che ‘i l cessionario di uno dei crediti dei creditori intervenuti’ – peraltro, non presente a quell’udienza -‘non ha rinunciato alla esecuzione o al credito e che potrebbe ancora riassumere il processo esecutivo’.
A tanto, appunto, provvedeva RAGIONE_SOCIALE, che si costituiva per la prima volta nella procedura il 20 gennaio 2020, con ‘ricorso per riassunzione ed intervento ex art. 111 cod. proc. civ.’.
Disposta, dunque, la vendita anche del terzo immobile, le odierne ricorrenti proponevano opposizione ex art. 615 cod. proc. civ. con contestuale istanza di estinzione, e ciò sul presupposto della carenza di legittimazione processuale attiva di RAGIONE_SOCIALE, conseguente al mancato intervento della società cedente, Banca Popolare di Vicenza, posta in liquidazione coatta amministrativa.
Respinta l’opposizione e la conseguente istanza di estinzione, il relativo provvedimento veniva fatto oggetto di reclamo,
rigettato dal giudice di prime cure, con decisione poi confermata in appello.
Avverso la sentenza della Corte giuliana hanno proposto ricorso per cassazione le già opponenti, sulla base – come si è detto – di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 75, 77, 111, 392, 499, 500, 565, 627 e 630 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1260, 2272, 2278, 2308, 2309 e 2310 cod. civ., oltre che degli artt. 83 e 84 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, come modificato dal d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181, e degli artt. 194, 200 e 201 legge fall., censurando la sentenza impugnata in relazione alla mancata dichiarazione di estinzione del giudizio esecutivo per tardività, inammissibilità d ell’atto di riassunzione e di intervento di AMCO e , comunque, carenza di legittimazione processuale attiva della stessa.
Assumono le ricorrenti di aver già evidenziato in appello che l’apertura della liquidazione coatta amministrativa della Banca Popolare di Vicenza, titolare del credito azionato in via esecutiva, ‘ha determinato la perdita della sua capacità processuale ed il suo scioglimento’, sicché ‘l’intervento a suo tempo spiegato in data 12 maggio 2017, faceva capo ad un soggetto creditore diverso che doveva essere sostituito ai sensi dell’art. 111 cod. proc. civ.’. Di conseguenza, non poteva ‘più stare in giudizio la persona fisica che la rappresentava fin quando era in bonis , in quanto soltanto «i commissari liquidatori hanno la rappresentanza legale della banca, esercitano tutte le azioni a essa spettanti e procedono alle operazioni della liquidazione»’ (art. 84 del d.lgs. n. 385 del 1993), con ‘l’obbligo per loro di interve nire nella procedura nei termini di
legge, per far valere il proprio diritto di credito, fino a quando la procedura esecutiva non venga definita’.
Orbene, precedentemente alla data della riassunzione di AMCO, per il mutuo deteriorato per cui è causa emesso dalla Banca Popolare di Vicenza ‘nessuno si era regolarmente costituito nella procedura esecutiva per la Banca Popolare di Vicenza in l.c.a., né tanto meno per la S.G.A. S.p.a.; né, del resto, nessuno aveva reso la dovuta precisazione del credito, in relazione al credito deteriorato in o ggetto’. L’atto di intervento di AMCO risulterebbe tardivo, ‘ in quanto compiuto non solo successivamente all’udien za di vendita, ma anche a quella di assegnazione del 3 dicembre 2019, ai sensi dell’art. 499 cod. proc. civ.’.
Precisano, infatti, le ricorrenti che il credito della AMCO era garantito da ipoteca di secondo grado sul secondo degli immobili pignorati (e poi venduti), vendita il cui ricavato è stato devoluto integralmente alla Banca Intesa Sanpaolo, sicché tale credito – a seguito della vendita e del trasferimento del bene all’aggiudicatario, con conseguente cancellazione di tutte le ipoteche -diveniva chirografario e non più ipotecario e privilegiato. Ne consegue, pertanto, che l’intervento di AMCO deve considerarsi tardivo, ai sensi dell’articolo 565 cod. proc. civ.
Orbene, la sentenza impugnata, pur partendo da un giusto presupposto, ovvero che ‘con la messa in liquidazione coatta amministrativa la Spa Banca Popolare di Vicenza non venne meno come soggetto giuridico’, non ne trae le dovute logiche conseguenze. Essa, infatti, confonderebbe, a dire delle ricorrenti, il ‘venir meno’ del soggetto sottoposto alla procedura amministrativa di liquidazione coatta amministrativa e, dunque, la perdita della capacità giuridica, ‘con la sua capacità di stare in giudizio, che si t raduce, nel caso di specie, con l’obbligo – e non la semplice facoltà – da parte dei suoi legali rappresentati
(commissari liquidatori) di intervenire tempestivamente nella procedura esecutiva’.
Errerebbe, dunque, la sentenza impugnata nell’affermare che ‘il creditore intervenuto’ – senza chiarire, però, quale, dato che la società ‘ in bonis ‘ è soggetto giuridico differente dalla società in liquidazione coatta amministrativa, nonché dalle successive cessionarie ‘sarebbe stato sempre presente nella procedura esecutiva’, sebbene non fosse stata ‘formalizzata la costituzione dei nuovi suoi rappresentanti’. Difatti, osservano le ricorrenti, ciò che si contesta ‘non è la semplice titolarità del credito , ma la legittimazione processuale a stare in giudizio, che obbliga il commissario liquidatore ad intervenire: in difetto di quest’ultimo intervento, quello originariamente spiegato dalla Banca in bonis , a suo tempo efficace, non è più sufficiente a dare impulso all’esecuzione’.
La conclusione è, dunque, che il ‘mancato intervento del Commissario Liquidatore prima e della cessionaria RAGIONE_SOCIALE poi hanno determinato una carenza di legittimazione processuale non sanabile, visto che la messa in liquidazione della Banca Popolare di Vicenza risale al 25 maggio 2017′, mentr e la ‘procedura esecutiva immobiliare, invece, era stata sospesa in data 5 gennaio 2018 in attesa della definizione della causa divisionale sul terzo lotto’.
3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 154, 170, 184bis (ora abrogato), 291, 303, 305, 307, 627, 630 e 632 cod. proc. civ., dell’art. 125 disp. att. cod. proc. civ., in relazione alla mancata dichiarazione di estinzione del giudizio esecutivo per nullità di notifica dell’atto di riassunzione e intervento di AMCO, conseguente al mancato
rispetto dei termini assegnati dal giudice dell’esecuzione e alla mancata rimessione in termini.
Assumono le ricorrenti che la sentenza impugnata, pur partendo da un principio di fondo inconfutabile, quello secondo cui il ricorso in riassunzione vada tempestivamente depositato nei termini previsti dall’art. 627 cod. proc. civ., ‘erroneamente conclude nel ritenere che tale incombente sia di per sé sufficiente a validarlo, risultando irrilevanti le vicende successive relative alla sua notificazione’.
Si sottolinea che il giudice dell’esecuzione, ‘con decreto di fissazione di udienza del 21 febbraio 2020, aveva fissato l’udienza per la comparizione delle parti all’11 marzo 2020, «assegnando termine al ricorrente per la notifica del ricorso e del presente decreto fino al 3 Marzo 2020»’. Tuttavia, ‘tale notifica è avvenuta’ – evidenziano le ricorrenti – in forma tardiva ed irrituale soltanto in data 3 luglio 2020, senza previa rimessione in termini del rinnovo notifica da parte del Giudice ed è pertanto nu lla’. Difatti, la notifica ‘andava eseguita esclusivamente alle parti presso il domicilio eletto dei sottoscritti difensori costituiti e non alle parti personalmente’, come invece avvenuto, peraltro solo nei confronti di NOME COGNOME ma non di NOME COGNOME
Orbene, nella prima udienza utile – quella del 19 novembre 2020 – fissata per la comparizione delle parti, e ciò a seguito dei vari rinvii d’ufficio per emergenza Covid -19, il giudice dell’esecuzione ‘avrebbe dovuto verificare non solo la ritualità e regolarità dell’intervento della RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, ma anche il rispetto dei termini da lui stesso stabiliti per l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ.’; né, d’altra parte, a sanare la nullità potrebbe valere l’opposizione proposta da esse COGNOME e COGNOME, giacché tale iniziativa ‘non va intesa come costituzione nel processo esecutivo così riassunto, ma solo come mera opposizione’.
Infine, si rileva che, sebbene l’omessa notifica della riassunzione depositata nel termine fissato dal Giudice non comporti declaratoria di estinzione ‘ ex re ‘ , è altrettanto vero che sussiste, ‘una volta rilevata la nullità o irregolarità della notifica, l’onere di disporre una rimessione in termini assegnando un nuovo termine perentorio per la rinnovazione della notifica, in forza dell’applicazione analogica d egli artt. 291 e 154 cod. proc. civ.: rimessione in termini che, nel caso in esame, non vi è stata, né richiesta dalla parte onerata né ordinata e/o disposta dal Giudice’.
3.3. Il terzo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 91 cod. proc. civ . e dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Sostengono le ricorrenti che ‘una volta accertato il fondamento dei motivi dell’odierno gravame e del precedente appello, sussistendo tutti i presupposti per l’accoglimento del reclamo, in applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., non trova alcuna ragione di essere la condanna delle ricorrenti alla rifusione delle spese dei due gradi precedenti del giudizio, né tanto meno la condanna ai sensi del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 stabilita sia nella sentenza oggi impugnata che in quella del primo grado’.
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con due distinti controricorsi, la società RAGIONE_SOCIALE e il Sagliocca, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ., dapprima per il 19 dicembre 2024, e poi per la data odierna.
Le ricorrenti e il controricorrente COGNOME hanno presentato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato.
8.1. Il primo motivo non è fondato.
8.1.1. Deve escludersi che, nel caso in esame, ricorra l’estinzione ex art. 631 cod. proc., la quale – come rammenta la sentenza impugnata ‘può conseguire per inattività solo ad esito di due immediatamente successive udienze nel corso delle quali alcun creditore sia comparso’.
Nella specie, l’estinzione non può certo ricollegarsi – come evidenzia la Corte territoriale ‘alla sola mancata presenza all’udienza del 3 dicembre 2019’, trattandosi di ipotesi (questa della mancata partecipazione ad una sola udienza) che è ‘esclusa dalla lettera della legge’ .
Né, d’altra parte, può attribuirsi rilievo alla circostanza che la società Banca Popolare di Vicenza fosse stata posta in liquidazione coatta amministrativa, trattandosi di un’evenienza che – secondo quanto riconoscono, in definitiva, le stesse ricorrenti – non ne comporta ‘ ipso iure ‘ la perdita della capacità giuridica dell’ente interessato, ove non si voglia considerare che essa rileva solo con le specifiche modalità previste dalla legge processuale per la sua propalazione, pacificamente qui non ricorrenti.
Parimenti infondata è la pretesa delle ricorrenti secondo cui, essendo i commissari liquidatori i soli soggetti abilitati a stare in
giudizio per un ente sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, sarebbe stato necessario un ‘atto di impulso’ da parte dei medesimi, in mancanza del quale dovrebbe, pertanto, ravvisarsi un sopravvenuto difetto di capacità processuale della società Banca Popolare di Vicenza. Invero, a riattivare la procedura esecutivo è stato il soggetto cessionario del credito, il quale tanto ha fatto a norma dell’art. 111 cod. proc. civ., non quale interventore per credito autonomo, ciò che avrebbe connotato come tardivo il suo intervento.
8.2. Anche il secondo motivo non è fondato.
8.2.1. Ha osservato, correttamente, la sentenza impugnata che la mancata notifica nel termine all’uopo fissato – del ricorso per riassunzione, che sia stato però tempestivamente depositato (come avvenuto nel caso di specie), comporta solo l’ordine di rinnovazione della notifica impartito dal giudice; sicché solo in presenza di inerzia nell’ottemperarvi si determina l’effetto estintivo ex artt. 307 e 630 cod. proc. civ.
Nella specie, tale ordine risulta mancato, sia pure in ragione dell’emergenza pandemica, ma la notifica si è avuta, ‘ ab ovo ‘, presso una delle due debitrici personalmente. E tale circostanza, in uno a quella dell’effettivo dispiegamento delle difese da parte dell’altra, vale a sanare l’eventuale profilo di invalidità : infatti, non può sostenersi che l’opposizione proposta da esse COGNOME e COGNOME sia inidonea ad integrare sanatoria per raggiungimento dello scopo, perché ‘non va intesa come costituzione nel processo esecutivo così riassunto’, giacché essa, comunque, attesta che le odierne ricorrenti fossero state rese edotte dell’av venuta riassunzione e, al contempo, della tempestività della notifica dei relativi atti ad almeno una di loro.
D’altra parte, irrilevante è pure la circostanza che esse avessero eletto domicilio presso il difensore, giacché – sulla scorta di quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 20 luglio 2016, n. 14916) – la notificazione in un luogo diverso dal domicilio eletto, ove l’atto risulti consegnato al destinatario, non è inesistente, ma ‘ nulla ed è suscettibile di sanatoria per effetto della costituzione in giudizio dell’intimato, ancorché effettuata al solo fine di eccepire la n ullità’ ( da ultimo, Cass. Sez. Lav., ord. 28 marzo 2018, n. 7703, Rv. 648261-02).
8.3. Infine, il terzo motivo è inammissibile.
8.3.1. Esso, infatti, non deduce alcun autonomo e specifico vizio di legittimità della statuizione sulle spese, prospettando la caducazione della stessa alla stregua di ‘ res sperata ‘, quale conseguenza all’accoglimento del ricorso, presentandosi, così, alla stregua di un ‘non motivo’ (Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01; Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).
Quanto, invece, alla censura che attiene alla (pretesa) insussistenza del presupposto per la condanna al pagamento del doppio contributo unificato in appello, deve ribadirsi che ‘l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pr evisto dall’art 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dipende dalla coesistenza di due presupposti, l’uno di natura processuale, e cioè che il giudice abbia adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui verifica spetta al giudice ordinario, l’altro di natura sostanziale, ovvero che la parte che ha proposto l’impugnazione sia tenuta al versamento del contributo unificato iniziale, soggetto al sindacato del giudice tributario’ (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 6-1, ord. 22 febbraio 2021, n. 4731, Rv.
660741-01; nello stesso senso già Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-02).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, in relazione alle attività in concreto rispettivamente svolte dai controricorrenti.
Da precisare, poi, che non può trovare accoglimento la pretesa del COGNOME che la liquidazione delle spese avvenga ‘in solido coi difensori’, dal momento che egli risulta patrocinato da sé medesimo, ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ. , non risultando, così, altri difensori, in favore dei quali possa compiersi la richiesta attribuzione.
A carico delle ricorrenti, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME a rifondere, alla Società RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate, quanto alla prima, in € 6.100,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge , nonché, quanto al secondo, in € 6.500,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della