Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8023 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 8023 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 27132/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso da ll’AVV_NOTAIO, come da procura in calce al ricorso
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, come da procura in calce al controricorso
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE, corrente in INDIRIZZO, in persona de ll’amministratore pro tempore , domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso da ll’ AVV_NOTAIO, come da procura in calce al controricorso
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Messina n. 263/2021, depositata il 11.6.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16.1.2024 dal AVV_NOTAIO relatore AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, locatrice di un immobile ‘ad uso diverso’ sito in INDIRIZZO, per un canone mensile di € 850,00, convenne in giudizio la conduttrice RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME , suo fideiussore, esponendo che la società, con lettera racc. del 20.4.2006, era receduta dal contratto ‘ a causa di improvvisi problemi economici ‘, a far data dal 31.5.2006; che, tuttavia, la società convenuta aveva riconsegnato l’immobile solo in data 1.3.2007, senza corrispondere i canoni nel frattempo maturati da maggio 2006; chiese quindi la condanna dei convenuti, in solido, al pagamento dei canoni di locazione per il periodo maggio 2006-febbraio 2007 e al rimborso delle somme dovute per consumi idrici e per oneri condominiali, previa detrazione della somma di € 2.550,00 versata dalla società conduttrice a titolo di deposito cauzionale. Costituitisi in giudizio, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE
e contro
NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, difesa da sé stessa ex art. 86 c.p.c.
– controricorrente –
e contro
contestarono le avverse domande, evidenziando che il recesso dal contratto di locazione era tra l’altro dipeso dal cattivo funzionamento dell’impianto di fognatura condominiale, che aveva comportato ripetutamente la fuoriuscita di liquami e il danneggiamento della merce depositata, con conseguente impossibilità di proseguire il rapporto locativo; che la locatrice non aveva tempestivamente provveduto alle necessarie riparazioni, così cagionando danni ad essa società conduttrice. I convenuti chiesero, quindi, il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna dell’attrice al risarcimento dei danni subiti e al pagamento dell’indennità per perdita di avviamento. La AVV_NOTAIO venne autorizzata alla chiamata in causa del RAGIONE_SOCIALE, che a sua volta chiamò in causa l’amministratore, NOME COGNOME. Costituitisi i terzi chiamati, con sentenza n. 375/2019 del 19.4.2019 il Tribunale di Barcellona P.G. accolse la domanda della AVV_NOTAIO, condannando in solido la società RAGIONE_SOCIALE e il COGNOME al pagamento della somma di € 6.073,10 in favore della AVV_NOTAIO, oltre accessori, e condannando altresì i convenuti stessi alla rifusione delle spese processuali in favore sia dell’attrice che dei terzi chiamati. La Corte d’appello di Messina, nella dichiarata contumacia della RAGIONE_SOCIALE, rigettò il gravame di NOME COGNOME con sentenza dell’11.6.2021, evidenziando che del tutto correttamente il Tribunale aveva ritenuto la superfluità dei mezzi istruttori frattanto esperiti nel giudizio, stante l ‘inequivoca causa del recesso unilaterale della conduttrice, come manifestato nella lettera racc. del 20.4.2006, ossia la sussistenza di problemi economici, il che costituiva piena confessione stragiudiziale. Precisò il giudice d’appello, poi, che altretta nto correttamente l’onere della prova del fatto estintivo dell’obbligazione (ossia, l’aver
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tempestivamente restituito l’immobile locato) era stato addossato alla società conduttrice, posto che la AVV_NOTAIO aveva assolto l’onere a suo carico (con la dimostrazione del titolo contrattuale) e ne aveva allegato l’inadempimento; che la revoca dell’ordinanza ammissiva dei mezzi istruttori non costituiva ‘atto a sorpresa’; che il COGNOME non aveva impugnato la prima decisione nella parte in cui si negava il credito risarcitorio della società (né avrebbe potuto farlo), sicché la sua pretesa volta a dimostrare la sussistenza di un danno per effetto delle pretese precarie condizioni igieniche dell’immobile locato non poteva aver seguito; che correttamente era stato determinato l’importo condannatorio di € 6.073,10; che del pari la fideiussione del COGNOME non poteva dirsi estinta, posto che egli s’era costituito fideiussore di tutte le obbligazioni nascenti dal contratto e che comunque l’eccezione era inammissibile, posto che era stata sollevata per la prima volta in appello; che infine le spese di lite erano state addossate ai convenuti in forza del principio di causalità, sicché la prima decisione era esente da critiche, sul punto.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandosi a quattro motivi, illustrati da memoria, cui resistono con autonomi controricorsi NOME COGNOME, il RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME. La RAGIONE_SOCIALEBe.A è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo, si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per violazione di norme processuali e per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 75 e 81 c.p.c. nonché degli artt. 1956, 1957, 1936, 1937, 1941, 1942, 1362, 1364 e 1371 in relazione
all’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. Più in dettaglio, ci si duole della ‘ nullità per errore in iudicando e procedendo per declaratoria di inammissibilità del motivo terzo dell’appello e mancata declaratoria di carenza di legittimazione passiva del COGNOME NOME per intervenuta estinzione della fideiussione a seguito della cessazione del rapporto di locazione a seguito recesso accettato dal locatore ‘ . Si censura, cioè, l’impugnata sentenza nella parte in cui s’è ritenuta tardiva l’eccezione circa la propri a carenza di legittimazione passiva, derivante -in tesi -dalla decadenza dalla garanzia fideiussoria di cui all’art. 1957 c.c., trattandosi di mera difesa e non già di eccezione in senso stretto.
1.2 -Col secondo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare degli artt. 101 e 177 comma 2 c.p.c. e ss., l’errata qualificazione giuridica dell’azione e l’ omessa e/o carente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 , comma 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. Il ricorrente si duole di ‘ un vero e proprio abuso di giudizio da parte del giudice di prime cure ‘, laddove ha deciso di revocare l’ordinanza ammissiva delle prov e già assunte e della mancata riforma, sul punto, da parte della Corte d’appello , tanto più che detta revoca era basata su una pretesa confessione stragiudiziale della società conduttrice , per nulla opponibile ad esso COGNOME .
1.3 Col terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare dell’art. 2735 c.c. e dell’ art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 c.p.c. , per aver la Corte d’appello assunto la decisione sulla base di una prova -appunto, la pretesa confessione stragiudiziale della conduttrice -che non costituisce prova nei confronti del garante, coobbligato in solido. Aggiunge che l’onere della prova circa la permanenza del conduttore
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nell’immobile, ai fini di quanto previsto dall’art. 1591 c.c., grava sull’attore , e non sul convenuto, come erroneamente ritenuto dal giudice d’appello.
1.4 Col quarto motivo, infine, ai sensi dell’a rt. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si lamenta violazione dell’ art. 91 c.p.c. e del d.m. 55/2014, nonché omessa e/o carente motivazione , deducendosi l’ ingiusta condanna alle spese anche nei confronti dei chiamati in causa, nonché con riguardo alla eccessività della liquidazione, tenuto conto che essa avrebbe dovuto rapportarsi ad un’unica fase , e non anche a quella istruttoria (posto che l’ordinanza ammissiva delle prove era stata revocata) e decisionale. Inoltre, si sostiene che nel caso di più parti resistenti non può disporsi la condanna in favore di tutte le parti stesse, pro capite , bensì va liquidata un’unica somma, maggiorata.
2.1 -Preliminarmente, va disattesa l ‘eccezione di inammissibilità ex art. 348 -ter c.p.c., sollevata dalla AVV_NOTAIO e dal RAGIONE_SOCIALE, perché la questione della c.d. doppia conforme in facto attiene alla proponibilità del vizio di cui al vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., mentre la gran parte delle censure proposte dal COGNOME non sono ad esso riconducibili : ciò ad eccezione del terzo motivo, come si vedrà tra breve.
Vero è, piuttosto, che il ricorso è pervaso da una generale aspecificità, insufficiente esposizione dei fatti processuali e mancata puntuale indicazione di documenti richiamati e degli stessi atti del processo, in violaz ione dell’art. 366, comma 1, nn. 3, 4 e 6, c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis ), spesso omettendo di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata e non rispettando affatto -specie con riguardo ai pur denunciati errores in iudicando
-il granitico orientamento di questa Corte di legittimità, sul punto. Di tanto verrà dato conto nello scrutinio dei singoli motivi.
In proposito, è comunque appena il caso di precisare che il giudizio di cassazione è un giudizio impugnatorio a critica vincolata, in cui il ricorrente deve rivolgersi alla Corte individuando uno o più specifici vizi di legittimità -che, in tesi, affliggono la decisione impugnata -scegliendoli dal novero di quelli elencati dall’art. 360, comma 1, e nel rispetto, tra l’altro, dei requisiti di contenuto -forma di cui agli artt. 365 e 366 c.p.c. Al riguardo, è sufficiente qui richiamare, per tutte, la ampia motivazione di Cass., n. 15445/2023, anche per riferimenti.
3.1 -Ciò posto, il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. Anzitutto, già dalla rubrica emerge come il mezzo assuma la forma di un cumulo affastellato e disorganico di doglianze, sotto il velo di pretese plurime violazioni di disposizioni normative, senza che nel mezzo stesso se ne individui la portata precettiva e la consistenza, nonché il perché la Corte territoriale se ne sarebbe discostata. Ciò vale, in particolare, con riguardo alle richiamate norme in tema di esegesi del contratto, nonché di decadenza ex art. 1956 c.c.; inoltre, ad onta di quanto indicato in rubrica (col richiamo al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.), non viene indicato alcun fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice d’appello .
3.2 Per quanto può nel resto evincersi dalla lettura del mezzo in scrutinio, il ricorrente contesta anzitutto la decisione d’appello per essersi ivi ritenuto che l’eccezione di estinzione della fideiussione ex art. 1957 c.c. pacificamente proposta dal COGNOME, per la prima volta, solo in sede di gravame – costituisca eccezione propria (o in senso stretto), sostenendo trattarsi invece di mera difesa,
in quanto questione incidente sulla propria carenza di legittimazione passiva, deducibile in ogni stato e grado del giudizio.
Con una simile doglianza, invero, il ricorrente pretende di superare la motivazione della sentenza impugnata, che correttamente evoca la remota Cass. n. 1613/1963 (che, da quanto consta, è l’unica decisione di legittimità che espressamente, qualificando l’eccezione di decorso del termine semestrale come di decadenza, ne fa discendere nella sostanza, la natura di eccezione in senso stretto) , secondo cui ‘ Ai fini della sopravvivenza della fideiussione successivamente alla scadenza dell’obbligazione principale, il termine di sei mesi, di cui all’art 1957 cod. civ., entro il quale il creditore deve aver proposto le sue istanze contro il debitore, è termine di decadenza stabilito in materia non sottratta alla disponibilità delle parti. Pertanto, il fideiussore può rinunciare ad avvalersi della decadenza medesima espressamente, od anche implicitamente, non eccependola nel corso del giudizio di merito. In tale caso, il decorso del suddetto termine non può essere rilevato d’ufficio, né può essere dedotto, per la prima volta in Cassazione ‘ .
In proposito, non solo il ricorso non offre argomenti per diversamente opinare (sulla natura decadenziale del termine in parola si veda, per tutte, Cass., Sez. Un., n. 5572/1979), ma la stessa prospettazione del mezzo in esame -laddove si evoca la giurisprudenza sulla contestazione della legittimazione passiva in senso sostanziale – si risolve di per sé in un assurdo, dato che l’esistenza della legittimazione del fideiussore, ove egli non eccepisca il decorso del termine semestrale, rimane già per ciò solo indiscutibile (almeno sotto il profilo dell’art. 1957 c.c.).
Sotto diverso, ma concorrente, profilo, risulta in ogni caso evidente che il ricorrente finisce col confondere i concetti di esistenza e titolarità dell’obbligazione (dal lato attivo o passivo) e di legittimazione attiva o passiva (su cui si veda, ampiamente, Cass., Sez. Un., n. 2951/2016): qui si discute dell’essere egli obbligato, in quanto fideiussore, al pagamento del debito da parte dell’obbligata principale, ossia della società conduttrice ; l’essere o meno esistente la garanzia fideiussoria, dunque, attiene al merito (titolarità dell’obbligazione dal lato passivo) e non già alla legittimazione passiva, sicché non v’è dubbio che la pretesa estinzione della garanzia avrebbe dovuto in ogni caso veicolarsi nel giudizio di primo grado (e non già nel giudizio di merito latamente inteso, come lascia intendere il ricorrente, in memoria) già sul piano assertivo, t rattandosi di fatto verificatosi (in tesi) ben prima dell’avvio del giudizio stesso.
Considerazioni in tutto analoghe possono muoversi in ordine alla pur pretesa estinzione della fideiussione ex art. 1956 c.c., correttamente considerata anch’essa, dalla Corte peloritana, quale eccezione in senso stretto e dunque tardivamente proposta (si veda, al riguardo, Cass. n. 7050/1997). Va pure evidenziato che, quanto alla qualificazione della decadenza di cui all ‘art. 1956 c.c. operata dal giudice d’appello come eccezione in senso stretto, col motivo in esame non viene speso alcun argomento: la disposizione normativa viene apoditticamente evocata a pag. 22 del ricorso, con u n’affermazione del tutto generica ed assertoria ed in alcun modo correlata alla motivazione, donde, anche per tale profilo (come già anticipato) , l’inammissibilità della censura .
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3.3 -Sotto altro profilo, col mezzo in esame si deduce la pretesa estraneità della fideiussione alla responsabilità ex art. 1591 c.c., che il ricorrente assume essere addirittura di natura extracontrattuale.
Ora, a parte l’ erroneità di tale postulato (evidente essendo che la responsabilità del conduttore per tardivo rilascio dell’immobile locato trova fondamento nel contratto i cui effetti sono cessati, sicché è indiscutibile la relativa natura contrattuale), la censura si rivela ancora una volta inammissibile, perché non solo essa è basata sulla pretesa estinzione della fideiussione ex art. 1957 c.c. -questione già esaminata e, a tal punto, già coperta dal giudicato -, ma anche perché il giudice del merito ha accertato che la fideiussione stessa investiva tutte le obbligazioni nascenti dal contratto, comprese quelle di tipo risarcitorio. Ebbene, a fronte di tale accertamento fattuale circa l’estensione oggettiva dell’atto negoziale, il COGNOME non propone alcuna censura dotata della necessaria specificità, fermo restando che, sul punto, la decisione d’appello appare peraltro congruamente e logicamente motivata.
4.1 -Considerazioni fondamentalmente analoghe, sul piano generale, possono muoversi anche con riguardo al secondo motivo, anch’esso frammisto di censure di natura eterogenea e prive della necessaria specificità.
A parte quanto precede, il motivo viola anzitutto l’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c., essendosi omessa la riproduzione del contenuto della sentenza di primo grado, nella parte in cui avrebbe ‘revocato’ l’ ordinanza di ammissione delle prove. Infatti, posto che non si può porre nel nulla un accadimento processuale già verificatosi (ossia l’espletamento delle prove già avvenuto, come nella sostanza dedotto dal ricorrente), ma solo dichiararlo irrilevante, la conoscenza del tenore
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della sentenza è decisiva. Ciò tanto più che non è affatto chiaro se la revoca dell’ordinanza di ammissione dei mezzi istruttori l’abbia riguardata tout court (come parrebbe doversi evincere dal ricorso), ovvero solo per la parte che ancora non era stata eseguita (v. controricorsi della AVV_NOTAIO e del RAGIONE_SOCIALE).
In ogni caso, la C orte d’appello ha ben rilevato come la questione non rivesta la natura della decisione della ‘terza via’ da parte del Tribunale, e dunque che non possa configurarsi alcuna violazione del contraddittorio sul punto, giacché la decisione di primo grado -per come interpretata dal giudice d’appello – si è limitata ad attribuire maggiore rilevanza alla confessione stragiudiziale della società conduttrice rispetto a tutte le altre prove acquisite nel giudizio.
E tanto basta, ai fini che qui interessano, da un lato trattandosi di esplicazione del libero apprezzamento delle prove acquisite, ex artt. 115 e 116 c.p.c., riservato al giudice del merito e denunciabile in questa sede di legittimità sotto ristretti limiti (su cui si veda Cass., Sez. Un., n. 20867/2020) ; dall’altro, noto essendo che non può configurarsi decisione della ‘ terza via ‘ ove la questione rilevata investa profili di puro diritto, come è certamente nella specie, giacché da ll’ eventuale omessa sollecitazione delle parti imputabile al giudice, in proposito , ‘ può solo derivare un vizio di ‘ error in iudicando ‘ , ovvero di ‘ error in iudicando de iure procedendi ‘ , la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato ‘ (v. Cass. n. 15037/2018). Ciò tanto più che, come pure rilevato dalla Corte d’appello , si è trattato nella specie di utilizzare allegazioni e documenti già ampiamente acquisiti al processo e nient’affatto ‘a sorpresa’ .
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In buona sostanza, la Corte messinese ha dunque escluso che con l’ordinanza di revoca il Tribunale abbia voluto escludere dal mondo giuridico le prove già ammesse ed espletate (come pretenderebbe il ricorrente), evidenziando come, invece, la decisione abbia solo voluto attribuire alla confessione stragiudiziale della società un valore assorbente rispetto a tutti gli altri elementi istruttori di segno contrario. Pertanto, la censura avrebbe potuto dispiegare un certo significato -a voler superare gli aspetti deficitari già evidenziati -solo se tra le prove costituende frattanto espletate dinanzi al Tribunale ve ne fossero una o più avente valore di prova legale , in violazione dell’art. 115 c.p.c. (si veda la già citata Cass., Sez. Un., n. 20867/2020), ma dal ricorso nulla è possibile evincere in tal senso.
4.2 -Né, del resto, il ricorrente investe il rilievo della Corte messinese circa il fatto che il tenore della dichiarazione di recesso (con la connessa valenza confessoria) avrebbe potuto disinnescarsi solo dimostrando il suo vizio per errore o violenza: si tratta, anzi, di questione di cui il COGNOME si disinteressa del tutto, donde un ulteriore profilo di inammissibilità.
4.3 Il motivo si palesa poi ancora inammissibile laddove investe la decisione d’appello circa la ritenuta carenza di legittimazione del COGNOME in ordine alla anelata dimostrazione della sussistenza del danno in capo alla società conduttrice (già opposto in compensazione, impropria, alla locatrice), per non aver la società stessa gravato la prima decisione (e per essersi, nella sostanza, formato il giudicato interno sulla infondatezza della relativa domanda): infatti, la RAGIONE_SOCIALE era rimasta contumace nel giudizio d’appello, promosso dal solo COGNOME.
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La censura si risolve, anzitutto, in una sterile contrapposizione rispetto alla contraria decisione, anzi singolarmente assumendosi -in buona sostanza -che la domanda respinta in primo grado, proposta dalla parte rimasta contumace nel giudizio d’appello da altri pro mosso, possa costituire oggetto dell’effetto devolutivo se richiamata dall’appellante ad essa estranea, nonostante l’acquiescenza della stessa parte che l’aveva proposta.
A parte l’evidente incompatibilità della tesi col disposto (almeno) dell’art. 329 c.p.c., nonché con la stessa natura del giudizio d’appello e col connesso effetto devolutivo, deve comunque notarsi che la decisione impugnata è senz’altro correttamente motivata, anche con pertinenti richiami di giurisprudenza (Cass. n. 12225/2003; Cass. n. 31653/2019) , laddove si esclude che l’art. 1945 c.c. comporti la possibilità del fideiussore di sostituirsi all’obbligato principale nell’esercizio di azioni a quest’ultimo riservate (quale, appunto, la domanda risarcitoria), proprio per la natura accessoria della obbligazione del primo.
Né, ovviamente, l’assenza di litisconsorzio necessario tra debitore principale e fideiussore può giustificare, in sede di gravame, una eccezionale legittimazione attiva di quest’ultimo circa le domande dal primo proposte e non ulteriormente coltivate, come pure propugnato dal ricorrente, il principio richiamato in ricorso (p. 24) investendo la diversa questione della inscindibilità delle cause in sede di impugnazione ex art. 332 c.p.c., che qui non viene in rilievo.
5.1 -Il terzo motivo -al di là della sua stessa incerta formulazione, facendosi pure riferimento, in rubrica, ad un fatto il cui esame sarebbe stato omesso, senza però che esso sia individuato nel corpo del mezzo, nonché ad una motivazione che risulterebbe, in tesi, ‘ omessa, in parte inesistente ed in parte inadeguata ‘ ,
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ossia ad un preteso deficit motivazionale riconducibile al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non più in vigore dal 2012 -è in ogni caso inammissibile e/o infondato.
È anzitutto inammissibile laddove, nella sua confusa esposizione (con richiami anche alla già esaminata questione della pretesa violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c.), omette completamente di individuare la motivazione criticata.
In ogni caso, esso si rivela anche inammissibile laddove parrebbe sostenersi che la Corte peloritana , nell’attribuire rilevanza a fini decisori alla confessione stragiudiziale della società conduttrice, avrebbe violato l’art. 116 c.p.c. , perché essa non poteva costituire una prova utilizzabile nei suoi confronti: il mezzo, infatti, non rispetta i ristretti limiti in cui la disposizione può essere censurata in questa sede di legittimità (si veda la già citata Cass., Sez. Un., n. 20867/2020). Né si tiene conto del fatto che, in tema di litisconsorzio facoltativo, la confessione di un litisconsorte è liberamente apprezzabile da parte del giudice ex art. 2733, comma 3, c.c. (applicabile anche alla confessione stragiudiziale -v. Cass. n. 13019/2006), come è evidentemente avvenuto nella fattispecie, con valutazione non specificamente censurata dallo stesso ricorrente.
5.2 -Quanto poi all’ulteriore profilo agitato col mezzo in esame, ossia la pretesa erronea attribuzione dell’onere della prova circa la responsabilità risarcitoria, esso è evidentemente infondato.
La Corte messinese, una volta inquadrata (correttamente) la fattispecie del danno ex art. 1591 c.c. nell’ambito della responsabilità contrattuale, ne ha fatto discendere la piana applicazione del principio di vicinanza della prova, di cui al noto insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, e parametrato, nella
materia che occupa, da Cass. n. 9199/2003 nei seguenti termini: ‘ In un giudizio di risarcimento danni da ritardata restituzione dell’immobile, ex art. 1591 cod. civ., l’onere della prova relativo all’avvenuto pagamento del canone ed alla effettuata restituzione del bene locato incombe sul conduttore, trattandosi di fatti estintivi del diritto di credito del locatore, al quale il bene va restituito al termine del rapporto locativo quale sia stata la causa della sua cessazione, e che ha diritto al corrispettivo originariamente convenuto col conduttore in mora fino alla data di restituzione a titolo di risarcimento, salvo il maggior danno ‘ .
La censura è dunque infondata, perché non v’è stata alcuna attribuzione dell’onere della prova alla parte non tenutavi per legge: in sostanza, spettava alla RAGIONE_SOCIALEBe.A dimostrare di aver tempestivamente rilasciato l’immobile (o, al più, al fideiussore, che tanto era avvenuto), non già alla locatrice AVV_NOTAIO dimostrare che il rilascio era avvenuto oltre il termine pattuito.
6.1 -Il quarto motivo, infine, è inammissibile e comunque infondato.
Anzitutto, è inammissibile laddove si denuncia l’erroneità per violazione del d.m. sulle tariffe, senza analiticamente specificare il perché vi sarebbe stata un’unica fase, cui solo parametrare la liquidazione: non può infatti seriamente sostenersi che, a fronte di un giudizio di primo grado durato circa 12 anni, la decisione del Tribunale di revocare l’ordinanza di ammissione delle prove costituende possa aver eliso totalmente la fase istruttoria del giudizio stesso, la cui consistenza non è minimamente de scritta in ricorso, con conseguente violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.; analogamente può dirsi con riguardo alla fase decisoria. Il mezzo si rileva poi palesemente infondato laddove si pretende che la condanna alla rifusione delle spese in favore di più parti convenute non avvenga pro capite,
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ma in misura unica ed eventualmente maggiorata percentualmente: la regola invocata, infatti, riguarda l’ipotesi in cui i plurimi convenuti siano difesi da unico difensore, non certo quella opposta, in cui ciascun convenuto (o chiamato in causa) si sia avvalso di autonoma difesa, come nella specie.
Infine, non v’è dubbio che la condanna del COGNOME alla rifusione delle spese in favore dei chiamati in causa sia stata correttamente adottata dalla Corte d’appello , al lume del principio di causalità (da ultimo, Cass. n. 10364/2023), né essendo stata dedotta l’arbitrarietà della chiamata.
7.1 -Il ricorso è dunque nel complesso rigettato. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore di ciascun controricorrente in € 2.200,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno