Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16883 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16883 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
Condominio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2266/2020 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– Ricorrente –
Contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME.
– Controricorrente –
E contro
CONDOMINIO RESIDENCE DELLE COGNOME.
– Intimato –
Avverso la sentenza del la Corte d’appello di Bari n. 2379/2019 depositata il 15/11/2019.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 10 giugno 2025.
Rilevato che:
Con citazione notificata il 20 maggio 2010, NOME COGNOME convenne davanti al Tribunale di Trani NOME COGNOME per ottenere la rimozione di opere lesive del suo diritto di proprietà (aggetto di rami e sostituzione della muratura a luce con una cieca a confine tra le proprietà delle parti) ed il ripristino dello stato anteriore.
Il convenuto contestò la domanda e chiamò in causa il Condominio RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME , padre dell’attrice, spiegò intervento adesivo.
La causa, parzialmente istruita, fu dichiarata interrotta all’udienza del 20/01/2016, sulla dichiarazione del difensore di NOME COGNOME che era sopravvenuta la morte del proprio assistito.
Con istanza depositata il 05/02/2016, il convenuto espose che, decorso il termine di cui all’art. 305 c.p.c., l’eventuale mancata riassunzione nei confronti degli eredi di NOME COGNOME litisconsorte facoltativo, avrebbe provocato l’estinzione di quella parte soltanto del giudizio, che invece sarebbe proseguito tra le parti rimaste, sì che ‘dal 20.4.2016 la causa sarà dichiarata estinta nei confronti di COGNOME NOME ed eredi e dovrà essere rimessa sul ruolo con fissazione dell’udienza per la decisione ex art. 281 sexies c.p.c.’.
Il 27/06/2016 il convenuto depositò istanza di riassunzione e chiese fissarsi udienza per la prosecuzione tra le parti diverse dagli eredi di NOME COGNOME
Il Tribunale di Trani, con sentenza n. 334 del 2017, dichiarò l’estinzione del giudizio, non riassunto entro il 20 /04/2016 nei confronti di alcuna parte;
proposta impugnazione da NOME COGNOME la Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio di NOME COGNOME e del Condominio RAGIONE_SOCIALE , ha respinto l’appello e ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del giudizio e al risarcimento del danno ex art.
96 c.p.c. in favore degli appellati, sul rilievo che, per il suo contenuto intrinseco, l’istanza depositata il 05/02/2016 non potesse considerarsi un’istanza di riassunzione del giudizio in quanto priva della richiesta di fissazione dell’udienza ex art. 303 c.p.c.;
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi, cui ha NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Condominio Residence delle Vele è rimasto intimato.
In prossimità dell’udienza , le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
preliminarmente, ritiene il Collegio che siano prive di fondamento le eccezioni sollevate in controricorso in punto di inammissibilità del ricorso per: difetto di specificità; cd. doppia conforme; contrasto con l’orientamento consolidato della S.C. ; mancata individuazione dell’ error in procedendo o del principio di diritto che si assume violato.
Specificamente, ripercorrendo la sequenza dei rilievi critici: il ricorso è sufficientemente chiaro e consente alla Corte di comprendere il contenuto delle censure ivi proposte; non opera il principio della doppia conforme che si riferisce al vizio, qui non dedotto, di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.; come immediatamente si vedrà, le tesi del ricorrente non contrastano con un consolidato indirizzo nomofilattico; gli errores in procedendo sono descritti in maniera chiara; non è necessario che la parte enunci, in ricorso, il principio di diritto che assume essere stato disatteso dal giudice di merito;
il primo motivo denuncia ‘violazione dell’art. 112 e 113 I comma c.p.c., da 1362 a 1371 c.c., 156 I comma c.p.c., 156 III comma c.p.c., 289 c.p.c. e falsa applicazione degli artt. 303 c.p.c., 305 c.p.c. e 302 c.p.c., 105 c.p.c.’ .
La sentenza sarebbe viziata per non avere colto che le istanze del convenuto, del 05/02/2016 e del 27/06/2016, intervenute (tempestivamente) entro il semestre dall’ordinanza emessa dal giudice istruttore all’udienza del 20/01/2016, che dichiarava l’interruzione del processo, erano qualificabili come istanze ex art. 289 c.p.c. di prosecuzione del giudizio tra le parti rimaste dopo la morte dell’interventore.
Ed infatti, continua il ricorrente, avendo il terzo (NOME COGNOME) svolto intervento adesivo dipendente in controversia attinente a cause scindibili, non configurandosi quindi un’ipotesi di litisconsorzio necessa rio, l’evento interruttivo riguardante una causa non ha riverberato i propri effetti sull’altra, sicché, non avendo il giudice disposto la separazione delle cause e in mancanza di riassunzione del giudizio nell’interesse della parte colpita dall’evento interruttivo, si è determinata l’estinzione parziale del giudizio nei confronti di tale parte, ed il processo relativo all’intero giudizio avrebbe dovuto proseguire non potendosi configurare l’estinzione anche dell’originario giudizio.
Nel dettaglio, si assume che siano stati violati : (i) l’art. 112 c.p.c. che impone al giudice di qualificare la domanda attenendosi al suo contenuto sostanziale; (ii) l’art. 103 c.p.c. per non avere rilevato che il terzo era litisconsorte facoltativo e non necessario; (iii) il principio iura novit curia sancito dall’art. 113 comma 1 c.p.c.; (iv) l’art. 156 comma 1 c.p.c. non sussistendo i presupposti per rilevare l’inosservanza della forma del ricorso in riassunzione, nella specie non necessario non ricorre ndo l’ipotesi del litisconsorzio necessario; (v) l’art. 156 comma 3 c.p.c., per non avere il giudice di merito compreso che le istanze del 05/02/2016 e del 27/06/2016 avevano raggiunto il loro scopo, consistente nel sollecitare la prosecuzione del giudizio tra
le parti rimaste dopo l’estinzione del giudizio nei confronti del litisconsorte facoltativo deceduto;
il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 c.p.c., 103, 289 c.p.c.: data la nullità del procedimento sin dalla mancata prosecuzione del 20/01/2016, la sentenza sarebbe viziata a causa dell’o messa pronuncia sulle domande ed eccezioni di merito proposte dalle parti;
il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 2909 c.c., 324, 115, 116 c.p.c.: si imputa alla Corte di Bari di non avere rilevato il giudicato esterno, eccepito dal convenuto, in relazione alla domanda di NOME COGNOME avente ad oggetto la protensione dei rami, domanda che era stata respinta dallo stesso giudice distrettuale con sentenza n. 440 del 2014, passata in giudicato.
Sotto altro profilo, si lamenta, per un verso, che non sia stata valorizzata la deposizione del teste NOME COGNOME il quale aveva dichiarato che, recatosi nei luoghi di causa qualche giorno prima dell’inizio della causa, aveva constatato che non vi era nessun aggetto di rami sulla proprietà Seccia; per altro verso, che non sia stato applicato il principio di non contestazione in relazione alla produzione della relazione tecnica del direttore dei lavori, che confermava che il muro in comune – con la condotta idrica, non a vista, che passava al suo interno – tra le proprietà COGNOMECOGNOME era stato autorizzato e voluto da entrambi i confinanti;
il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 91, 96 comma 3 c.p.c.: sulla premessa che soccombente sarebbe l’attrice, il ricorrente evidenzia che i giudici di merito avrebbero dovuto condannare quest’ultima, e non il convenuto, al pagamento delle spese e, in conclusione, chiede gli vengano rimborsate le somme che ha versato a titolo di spese all’attrice e al suo procuratore antistatario;
il primo motivo è fondato, e ciò comporta l’assorbimento delle restanti censure, logicamente subordinata alla prima.
Per la giurisprudenza della Corte (Sez. 3, Sentenza n. 24546 del 20/11/2009, Rv. 610949 -01; Sez. 1, Sentenza n. 7710 del 07/06/2000, Rv. 537369 -01; Sez. 2, Sentenza n. 10350 del 02/12/1994, Rv. 488991 -01; in termini, Cass. n. 32228/2018, indicata in ricorso), la dichiarazione di interruzione del processo, emessa erroneamente per difetto del presupposto richiesto dall ‘ art. 300 c.p.c., non comporta la nullità degli atti successivi del processo, che sia stato proseguito per impulso di una delle parti nel rispetto del contraddittorio con le altre. In tal caso si configura, a seguito dell ‘ omessa fissazione dell ‘ udienza per il prosieguo, una fattispecie equiparabile, in via analogica, a quella prevista dall ‘ art. 289 c.p.c. (che prevede l ‘ integrazione ad istanza di parte dei provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell ‘ udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali), con il conseguente onere della parte di richiedere al giudice l ‘ integrazione del provvedimento con la fissazione dell ‘ udienza di prosecuzione della causa.
Inoltre, in caso di trattazione unitaria di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili, l ‘ evento interruttivo relativo ad una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento di cui è parte il soggetto colpito dall ‘ evento (Cass. Sez. U. 5 luglio 2007, n. 15142). Con la conseguenza che, in una simile ipotesi, l ‘ eventuale ordinanza che dichiari interrotto il processo produce gli effetti di cui agli artt. 300 e ss. c.p.c. esclusivamente con riferimento alla causa in cui si è verificato l ‘ evento interruttivo (mentre l ‘ altra causa non separata resta in una ‘ fase di stallo ‘ o ‘ di rinvio ‘ , destinata necessariamente a
cessare per effetto della riassunzione della causa interrotta o dell ‘ estinzione di essa).
A ffinché la causa non colpita dall’evento interruttivo si rivitalizzi e possa proseguire, è necessario un impulso di parte, nel senso che è imprescindibile che la parte interessata proponga istanza di riassunzione (analogamente a quanto previsto dall’art. 289 c.p.c.) entro il termine perentorio di sei mesi dalla dichiarazione di interruzione, verificandosi, in assenza di tale istanza, l’estinzione del giudizio per mancata tempestiva riassunzione.
Ricostruiti gli aspetti processuali, diventa evidente la ragione di accoglimento del motivo: la Corte di Bari non si è uniformata a questi principi perché, pur muovendo dall’implicito presupposto che la controversia attiene a cause scindibili, ed è per questo che qualifica NOME COGNOME come ‘ litisconsorte facoltativo ‘ , si sofferma sull’istanza del 05/02/2016 , per escludere che, in mancanza di richiesta di fissazione di udienza, essa possa essere considerata come un’istanza di riassunzione, ma trascura che il convenuto, con la seconda istanza del 27/06/2016, e dunque entro il termine perentorio di sei mesi ex art. 289 c.p.c. dall’ordinanza di interruzione dell’intero giudizio del 20/01/2016, aveva (tempestivamente) chiesto la riassunzione del giudizio relativo alla causa scindibile non colpita dall’evento interruttivo . Sicché, al contrario di quanto ritiene la Corte di merito, il Tribunale avrebbe dovuto fissare una nuova udienza per la prosecuzione del giudizio relativo alla causa scindibile originariamente proposta e dichiarare estinto il giudizio limitatamente alla causa scindibile scaturita dall’intervento adesivo svolto da NOME COGNOME
6. in conclusione, accolto il primo motivo, assorbiti i restanti, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice
a quo , al quale è demandato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione