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Esercizio abusivo professione: nullo il contratto

Una società di parrucchieri ha citato in giudizio una società di servizi, sostenendo la nullità del contratto per la gestione contabile e del lavoro a causa dell’esercizio abusivo di professione. La Corte di Cassazione, annullando la decisione della Corte d’Appello, ha stabilito che un contratto per attività riservate a professionisti iscritti all’albo è nullo se tali attività vengono svolte in modo sistematico e organizzato da un soggetto non autorizzato. Il caso è stato rinviato per una nuova valutazione alla luce di questo principio.

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Esercizio Abusivo Professione: Contratto Nullo e Obbligo di Restituzione

Un contratto per la fornitura di servizi contabili e fiscali è valido se la società che li eroga non è iscritta ad alcun albo professionale? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3495/2024, offre una risposta chiara, legando la nullità del contratto al reato di esercizio abusivo professione. Questa decisione sottolinea l’importanza di affidarsi a professionisti qualificati e le gravi conseguenze per chi opera senza i requisiti di legge.

I Fatti del Caso: Un Contratto Sotto Esame

Una società di parrucchieri si era affidata per anni a una società di servizi per la gestione di svariate attività: dalla tenuta della contabilità all’elaborazione delle buste paga, dalla presentazione delle dichiarazioni fiscali alla cura dei rapporti previdenziali.

Successivamente, la società cliente scopriva che la società di servizi non era iscritta ad alcun albo professionale (né dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, né dei Consulenti del Lavoro) e che, quindi, svolgeva tali attività senza averne titolo. Di conseguenza, la citava in giudizio chiedendo al tribunale di dichiarare nullo il contratto per violazione di norme imperative e di condannare la società di servizi alla restituzione di tutte le somme pagate nel corso degli anni, oltre al risarcimento dei danni.

L’Iter Giudiziario e l’Importanza dell’Esercizio Abusivo Professione

Il percorso giudiziario del caso è stato altalenante. In primo grado, il Tribunale ha dato ragione alla società di parrucchieri, dichiarando la nullità del contratto e ordinando la restituzione di oltre 51.000 euro.

Tuttavia, la Corte di Appello ha ribaltato completamente la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, le attività svolte non rientravano tra quelle “esclusivamente” riservate per legge ai professionisti iscritti agli albi, e quindi il contratto doveva considerarsi valido.

La questione è quindi approdata in Corte di Cassazione, che ha cassato la sentenza d’appello e fornito principi di diritto fondamentali per distinguere tra attività lecita e esercizio abusivo professione.

La Sistemataticità dell’Attività Rende Abusiva la Professione

Il punto centrale della decisione della Cassazione è la coerenza tra l’ordinamento penale e quello civile. La Corte ha richiamato un orientamento consolidato della giurisprudenza penale (inaugurato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 11545/2012), secondo cui anche attività non “esclusivamente” riservate possono integrare il reato di esercizio abusivo della professione.

Ciò avviene quando tali attività, tipiche di una professione protetta, sono svolte da un soggetto non abilitato in modo:

* Continuativo e sistematico
* Organizzato
* Retribuito

Questo comportamento crea nell’utente l’apparenza di trovarsi di fronte a un vero professionista, tradendo l’affidamento del cliente e violando l’interesse pubblico alla tutela di determinate competenze.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare la profonda evoluzione della giurisprudenza in materia. La decisione d’appello si basava su precedenti superati, senza tener conto del discrimine fondamentale introdotto dal D.Lgs. 139/2005 e dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza penale.

Secondo la Cassazione, se una condotta integra il reato di esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.), il contratto d’opera professionale che ne è alla base non può che essere considerato nullo per violazione di norme imperative, ai sensi dell’art. 2231 c.c. Ammettere il contrario significherebbe consentire a chi commette un reato di pretendere legittimamente un compenso per la sua attività criminosa, creando un’incoerenza intollerabile all’interno dell’ordinamento giuridico.

La Corte ha quindi rinviato la causa alla Corte di Appello, in diversa composizione, affinché riesamini il caso attenendosi a questi principi. Il nuovo giudice dovrà valutare se le prestazioni fornite dalla società di servizi, per le modalità continuative, organizzate e remunerate con cui sono state svolte, abbiano di fatto integrato un esercizio abusivo professione, con conseguente nullità del contratto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche per imprese e professionisti.

1. Per le imprese clienti: Sottolinea l’importanza cruciale di verificare sempre che i fornitori di servizi professionali (contabili, fiscali, legali, di consulenza del lavoro) siano regolarmente iscritti ai rispettivi albi. Affidarsi a soggetti non abilitati non solo espone a rischi di cattiva gestione, ma rende nullo il rapporto contrattuale, sebbene possa dar diritto alla restituzione di quanto pagato.

2. Per i fornitori di servizi: Chi opera nel settore della consulenza contabile e fiscale senza essere iscritto a un albo corre un doppio rischio. Da un lato, quello penale, per il reato di esercizio abusivo della professione. Dall’altro, quello civile, di vedersi dichiarare nullo il contratto e di essere condannato a restituire tutti i compensi ricevuti, perdendo il diritto a qualsiasi pagamento per il lavoro svolto.

Un contratto con chi svolge abusivamente una professione contabile è valido?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se le attività svolte integrano il reato di esercizio abusivo di una professione, il relativo contratto d’opera è nullo per violazione di norme imperative, e quindi non produce alcun effetto giuridico.

Quali attività contabili e fiscali sono considerate “riservate” a professionisti iscritti all’albo?
La legge (in particolare il D.Lgs. 139/2005 per i commercialisti e la L. 12/1979 per i consulenti del lavoro) definisce un ambito di attività riservate. Tuttavia, la Cassazione chiarisce che il concetto va oltre la mera elencazione, includendo anche atti che, sebbene non esclusivi, sono tipici e caratteristici della professione.

Cosa succede se un’attività non è “esclusivamente” riservata ma viene svolta in modo continuativo e organizzato da un non iscritto?
Proprio in questo caso si configura l’esercizio abusivo della professione. La Cassazione afferma che lo svolgimento in forma sistematica, organizzata e remunerata di attività tipiche di una professione protetta, tale da creare l’apparenza di un legittimo esercizio professionale, integra il reato e, di conseguenza, comporta la nullità del contratto civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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