Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9046 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9046 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7884/2022 R.G., proposto da
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME, dall ‘avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona della procuratrice speciale NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura generale del 29.10.2010 notaio NOME COGNOME Bologna su foglio separato allegato alla memoria di costituzione del 10.1.2024,
–
contro
ricorrente
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ricorrente incidentale
–
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
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contro
ricorrente
–
Fideiussione -Garanzia a prima richiesta -Escussione fraudolenta Prova
ad. 14.01.2025
per la cassazione della sentenza n. 5/2022 della CORTE d’APPELLO di Bologna pubblicata il 3.1.2022; udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 14.1.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 26.9.2017 il Tribunale di Bologna rigettò l’opposizione svolta da Unicredit s.p.a. (innanzi indicata come Unicredit) al decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME per il pagamento di euro 34.479,27, quale importo dovuto in forza della fideiussione «a prima richiesta» prestata in favore d ell’affittuaria RAGIONE_SOCIALE (incorporata dal 19.12.2011 da RAGIONE_SOCIALE , d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE ) per il pagamento dei canoni semestrali di affitto d’azi enda ottobre 2013-aprile 2014. Il Tribunale, inoltre, accolse la domanda di regresso svolta dall’opponente verso Antress.
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza pubblicata il 3.1.2022, in accoglimento dell ‘appello principale proposto da Antress e di quello incidentale svolto da Unicredit, ed in riforma della sentenza del Tribunale di Bologna, revocò il decreto ingiuntivo, condannando NOME COGNOME alla restituzione di quanto percepito dalla garante, nonché Unicredit alla restituzione in favore di Antress di quanto da questa pagato in forza della sentenza impugnata.
Notò la Corte d’appello, per quanto ancora rileva nella presente sede, che la domanda avanzata da NOME COGNOME era stata limitata all’escussione della garanzia riguardo al mancato pagamento dei canoni per il semestre ottobre 2013 -aprile 2014, ma che il contratto d’affitto d’azienda con la notifica del ricorso per sequestro giudiziario, promosso dalla prima dinanzi al Tribunale di Rimini con ricorso depositato il 29.8.2013, si era già risolto per effetto della comunicazione di volersi valere della clausola risolutiva espressa contenuta nel l’art. 6 del contratto . Clausola, quest’ultima , che qualificava qualsiasi ritardo nel pagamento del canone come grave inadempimento comportante ‘la risoluzione in tronco del contratto’. Nel ricorso per sequestro giudiziario la ricorrente, a fronte della morosità di RAGIONE_SOCIALE nel pagamento della semestralità da corrispondere al
15.4.2013, aveva riferito che i gravi inadempimenti indicati ‘costituiscono sicuramente motivo di risoluzione contrattuale per inadempimento di controparte anche alla luce della clausola risolutiva espressa prevista dall’art. 6 del contratto’. La ricorrente, pertanto, aveva manifestato in modo non equivoco la volontà di valersi della clausola risolutiva espressa, così estinguendo il rapporto in essere a far data dalla notifica (avvenuta il 24.9.2013) del ricorso ex art. 670 cod. proc. civ. e determinando la cessazione delle obbligazioni connesse, compresa quella del pagamento del canone, a ciò non ostando l’eventuale riserva di agire per il risarcimento del danno.
La pretesa del pagamento dei canoni, pertanto, era priva di causa, data l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto prima ancora della maturazione del diritto ai canoni ( 15.10.2013), mentre eventuali danni lamentati dall’affittante afferivano ad altra e diversa azione. Con il che doveva ritenersi fondata l’ exceptio doli generalis formulata da Unicredit in quanto basata su una prova liquida della fraudolenta escussione della «garanzia a prima richiesta».
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di sei motivi. Resiste con controricorso Unicredit, che a sua volta ha proposto ricorso incidentale affidato ad un solo motivo. NOME ha risposto con controricorso al ricorso incidentale.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, deve essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso, oggetto di verifica d’ufficio da parte della Corte in ordine alla tempestività dell’impugnazione (v. Cass., sez. 6 -I, 7 giugno 2021, n. 15832), in assenza della produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369, comma secondo, n. 2, cod. proc. civ.).
Infatti, nel ricorso si asserisce che la sentenza impugnata sarebbe stata notificata in data 11.1.2022 a mezzo p.e.c., ma dall’esame degli atti alla data dell’adunanza risulta depositata soltanto copia autentica della sentenza senza la relata dell’indicata notificazione (ovvero dei messaggi di spedizione e di ricezione, neppure prodotti dalla parte controricorrente (v. Cass., sez. un., 6 luglio 2022, n. 213489). La prova di resistenza (v. Cass., sez. 6-III, 10 luglio 2013, n. 17066) con riferimento alla data di pubblicazione della sentenza, avvenuta il 3.1.2022, non consente di considerare tempestivo il ricorso calcolando il decorso del temine breve da essa, atteso che il ricorso è stato notificato in data 11.3.2022, mentre il termine scadeva il 4.3.2022.
Sussiste, pertanto, l’improcedibilità del ricorso ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ. (v. Cass., Sez. Un., 6 luglio 2022, n. 21349).
In ogni caso, quand’anche così non fosse, il ricorso è in fondato per le ragioni di seguito illustrate.
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
La ricorrente lamenta la nullità della sentenza per la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. a causa del l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni ritualmente proposta ed erroneamente esclusa dalla Corte d’appello. Infatti, la somma di euro 34.479,27 era stata richiesta in via alternativa a titolo di canone di affitto d’azienda scaduto in data 15.10.20 23 e mai pagato ovvero a titolo di risarcimento dei danni da inadempimento che aveva comportato la risoluzione del contratto di affitto. A sostegno della sua prospettazione la ricorrente invoca quanto indicato nel ricorso ex art. 638 cod. proc. civ., nella comparsa di costituzione in sede di procedimento ex art. 645 cod. proc. civ., nonché nel l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, nel quale era stato riconosciuto che i profili risarcitori erano stati ‘accennati nel ricorso monitorio’ . Con il che non si sarebbe potuto dubitare che la domanda di euro 34.479,27 sia stata fatta ‘anche a titolo di risarcimento dei danni da inadempimento’ .
3.1. Il motivo è palesemente infondato.
La ricorrente prospetta la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento dei danni ‘ritualmente proposta dalla difesa della sig.ra COGNOME ed erroneamente ritenuta non proposta’ .
Il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (v. Cass., sez. II, 26 gennaio 2021, n. 1616). Dalla lettura della sentenza, data l ‘ intervenuta risoluzione del contratto per effetto della notifica del ricorso per sequestro giudiziario, a valere come invocazione della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di affitto d’azienda , risoluzione che la stessa ricorrente nel motivo dichiara essere avvenuta il 29.9.2013 (v. pag. 14 del ricorso), emerge chiaramente come la Corte d’appello abbia preso in esame il profilo della sussistenza, o no, del credito per i canoni relativi al periodo ottobre 2013 -aprile 2014, che sarebbe maturato il 15.10.2023, così da rendere una pronuncia coerente con la domanda svolta in sede monitoria e ribadita in sede di opposizione.
Per converso, la corte ha escluso e, quindi, ha preso in esame, il profilo risarcitorio alla base del motivo, là dove, a proposito della distinzione fra le fattispecie previste dagli artt. 1453 e 1456 cod. civ. , ha evidenziato che ‘la risoluzione del contratto ex art. 1456 cod. civ. ha la funzione di sostituire la pronuncia giudiziale costitutiva del la risoluzione … anche se ciò non esclude la possibilità di agire per il risarcimento del danno , stante l’autonomia delle due azioni … Ne consegue che una eventuale riserva (della parte non inadempiente) di agire per i danni subiti dall’inadempimento non è incompatibile con la manifestazione della volontà di avvalersi della risoluzione di diritto del contratto, la quale produce comunque gli effettivi estintivi del rapporto’ (pa gina 8, punto 20).
La pretesa del pagamento dei canoni, pertanto, è stata ritenuta priva di causa, data l’intervenuta risoluzione di diritto del contratto prima ancora della maturazione del diritto ai canoni (15.10.2013), mentre eventuali danni lamentati dall’affittante afferivano ad altra e diversa azione non esercitata in quella sede,
in quanto limitata ‘al pagamento dei soli canoni anticipati ‘ (v. pagina 9, punto 26). Erroneamente, quindi, la ricorrente quest’oggi ha dedotto in termini di omessa pronuncia quella che è in realtà una contestazione delle ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione.
Con il secondo motivo è denunciat o, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti rappresentato dalla restituzione dell’azienda avvenuta il 22.10.2013 successivamente alla scadenza del canone di affitto (al 15.10.2013) ‘con i relativi corollari giuridici in ordine all’applicazione dell’art. 1591 cod. civ. e quindi alla debenza del detto canone da 1.10.2013 sino al 22.10.2013’.
La ricorrente lamenta l’omesso esame dell’avvenuta restituzione dell’azienda il 22.10.2013 (dato pacifico tra le parti e riconosciuto nella sentenza) da parte della Corte d’appello, che, invece, ha fatto riferimento per la soluzione della questione alla risoluzione in base alla clausola risolutiva espressa a decorrere dalla notifica del ricorso ex art. 670 cod. proc. civ. Viceversa, se il fatto indicato fosse stato preso in esame, la vicenda sarebbe stata sussunta nell’ambito dell’art. 1591 cod. civ., per esse re il conduttore tenuto al pagamento del corrispettivo fino alla riconsegna, ‘salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno’. Obbligo, quest’ultimo, rientrante nel perimetro della garanzia prestata, perché ‘a garanzia dell’esatto e puntuale pagamento del c anone di locazione nonché di tutti gli obblighi contrattuali’.
Con il quarto motivo è denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti: la mancata rilocazione dell’azienda dal momento della restituzione da pa rte di Antress avvenuta il 22.10.2013 sino al 1°.4.2014., ‘cui seguono i relativi corollari giuridici in ordine all’applicazione dell’art. 1453 cod. civ. e quindi al risarcimento dei danni da inadempimento per lesione dell’interesse contrattuale posi tivo’.
La ricorrente lamenta l’omesso esame da parte della Corte d’appello dell a mancata rilocazione dell’azienda tra la data di restituzione e l ‘avvenuta stipulazione del nuovo contratto di locazione (stagionale) con decorrenza
dall’1.4.2014 e, conseguentemente, della mancata percezione dei canoni, a causa dell’errata ‘perimetrazione’ della domanda come rivolta ai soli canoni scaduti e non anche ai crediti risarcitori da inadempimento. Se il fatto indicato fosse stato preso in esame, la vicenda sarebbe stata sussunta nell’ambito dell’art. 1453 cod. civ., nel cui perimetro si colloca il risarcimento del danno per i canoni maturati successivamente al rilascio e maturandi fino alla rilocazione.
6. Entrambi i motivi sono inammissibili.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. La ricorrente non indica un fatto, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, ord., 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, ord., 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, ord., 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., ord., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106). Da questo punto vista, pertanto, non avendo la ricorrente indicato il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24
gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.).
La ricorrente nel lamentare l’omesso esame della restituzione dell’azienda il 22.10.2013 e la mancata rilocazione della stessa tra il 22.10.2013 ed il 1°.4.2014 , sulla cui base, rispettivamente, sarebbero stati dovuti ai sensi dell’art. 1591 cod. civ. il canone dal 1°.10.2013 sino al 22.10.2013 ed i canoni maturati dal rilascio e maturandi fino alla rilocazione, prospetta delle questioni in diritto per erronea sussunzione della fattispecie, sì che entrambi i motivi si configurano come inammissibili in quanto piegano verso un riesame del merito della decisione ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte (v., Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054 ‘ è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione’).
Con il terzo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1456 e 1334 cod. civ., ‘atteso che la domanda proposta dalla sig.ra COGNOME trova in parte (ossia quanto ad € 4.214,32, indennità di occupazione dal 1.10.2013 al 22.10.2013) disciplina e titolo nell’art. 1591 cod. civ. applicabile anche al contratto di affitto di azienda’.
La ricorrente lamenta che, a causa del mancato esame della restituzione dell’azienda in data 22.10.2013, la corte è incorsa nell’erronea sussunzione della fattispecie negli artt. 1456 e 1334 cod. civ. e non, come dovuto, nell’art. 1591 cod. civ., al fine di valutare la debenza del canone scaduto dopo la risoluzione del contratto , ma prima della restituzione dell’azienda , posto che il conduttore è
tenuto al pagamento del corrispettivo fino alla riconsegna, ‘salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno’.
Con il quinto motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1456 e 1334 cod., ‘atteso che la domanda proposta dalla sig.ra COGNOME trova per la restante parte (€ 30.264,95 , ossia il credito risarcitorio per i canoni non percepiti a far data dalla restituzione del bene avvenuta il 22.10.2013 sino alla decorrenza del nuovo contratto con altra società del 01.04.2014) disciplina e titolo nell’art. 1453 cod. civ.’
La ricorrente lamenta che, a causa del mancato esame della mancata rilocazione dell’azienda dal 22.10.2013 sino all’1.4.2014 , la corte è incorsa nell’erronea sussunzione della fattispecie negli artt. 1456 e 1334 cod. civ. e non, come dovuto, nell’art. 1453 cod. civ ., al fine di ritenere dovuto il risarcimento del danno per i canoni maturati sino dal rilascio e maturandi fino alla rilocazione.
Entrambi i motivi sono inammissibili ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
La ricorrente non si è confrontata con la complessiva ratio decidendi enunciata dalla Corte d’appello, di qui l’inammissibilità del motivo svolto, giusta il principio di diritto consolidato affermato da Cass. n. 359 del 2005 (Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità,
risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ.), ribadito, ex multis , da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017; da ultimo da Cass. n. 1341 del 2024.
La ricorrente, infatti, investe la sola motivazione indicata al punto 26 (pag. 9 della sentenza), ma non si è confrontata con la complessiva motivazione riportata nei punti da 14 a 25 (pagina 6 e ss. della motivazione), dove la Corte d’appello ha chiarito come, per effetto d ella comunicazione della volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nell’art. 6 del contratto di affitto d’azienda avvenuta con la notifica in data 24.9.2013 del ricorso per sequestro giudiziario, fosse già intervenuta la risoluzione di diritto del contratto («in tronco») ‘e, quindi, la cessazione anche delle obbligazioni ivi previste (ed in particolare il pagamento dei canoni di affitto, fermo restando il risarcimento dei danni da occupazione abusiva per il ritardo nella riconsegna dei beni che pacificamente è avvenuta il 22.10.2013 )’.
Ad ogni modo, avendo ammesso nel ricorso che la risoluzione non era stata consensuale , ma per inadempimento dell’affittuaria ‘anche alla luce della clausola risolutiva espressa dell’art. 6 del contratto’ (v. pagina 6 del ricorso) e poi nella memoria ai sensi dell’art. 380 bis. 1, cod. proc. civ. che il contratto si è risolto ‘in base alla clausola risolutiva espressa’ (pagina 7), la Muggetti avrebbe dovuto enunciare una censura idonea a spiegare perché la sussunzione operata dalla corte nell’art. 1456 cod. civ. sarebbe erronea, mentre in questa sede ha prospettato in modo apodittico il corretto inquadramento negli artt. 1453 e 1591 cod. civ. della vicenda, assumendo che la causa petendi articolata nel giudizio includesse anche il preteso risarcimento dei danni.
Costituisce principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle
funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).
I motivi, pur rubricati come falsa applicazione di norme di legge, nascondono in realtà contestazioni di merito in ordine alle valutazioni condotte dalla corte di merito e quindi si sostanziano in censure in fatto sulla motivazione del provvedimento, senza tener conto degli strettissimi limiti in cui è consentito dedurre in cassazione il vizio della motivazione. Infatti, il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (v. Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429 e 10712 del 2024).
Con il sesto motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo , n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 1175, 1375 e 1460 cod. civ.
La ricorrente censura l’errata interpretazione degli ambiti applicativi dell’ exceptio doli generalis , là dove è stato ritenuto esservi prova liquida dell’abusiva richiesta avanzata, ‘per essere evidente, certo ed incontestabile il venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causa’ . Posto che la debenza del canone di affitto trovava fondamento negli artt. 1591 e 1453 cod. civ., la ricorrente aveva correttamente escusso «a prima richiesta» il fideiussore per ottenere l’adempimento delle obbligazioni già s cadute e ancora dovute, ‘non essendo intervenuto alcun effetto liberatorio richiesto espressamente dalla fideiussione medesima’.
Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. art. 366, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.
Anche a prescindere dall’improprio richiamo dell’art. 112 cod. proc. civ. , poiché si censura la decisione assunta dalla Corte d’appello, la ricorrente deduce l ‘errata interpretazione degli ambiti applicativi dell’ exceptio doli generalis . In disparte il profilo indicato dalla ricorrente, là dove assume di aver correttamente escusso la fideiussione ‘non essendo intervenuto alcun effetto liberatorio richiesto dalla fideiussione medesima’ , NOME COGNOME non investe la ratio decidendi espressa dalla Corte d’appello a proposito della ritenuta sussistenza di una «prova liquida» a proposito dell’escussione fraudolenta stante la ritenuta risoluzione di diritto del contratto («in tronco»). Non avendo impugnato tale ratio decidendi , il motivo è inammissibile per difetto di decisività.
Unicredit nel ricorso incidentale lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., relativo al principio di causalità applicato al criterio della soccombenza, rispetto alla statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, di condanna a rifondere le spese di lite di primo e secondo grado in favore della terza chiamata Antress.
Il ricorso incidentale proposto da Unicredit è stato notificato in data 13.4.2022, successivamente alla notifica della sentenza avvenuta l’11. 1.2002 e, quindi, è tardivo. L ‘interesse ad impugnare il capo autonomo delle spese nasceva direttamente dalla sentenza della Corte d’appello e non dal ricorso principale , che non ha investito il rapporto autonomo tra Unicredit e la terza chiamata.
Come è stato reiteratamente affermato da questa Corte, ‘ La statuizione della sentenza che provvede sulle spese di giudizio costituisce un capo autonomo della decisione; ne consegue che l’impugnazione avverso di essa deve essere proposta in via autonoma e non per mezzo di impugnazione incidentale tardiva, che è, per tale ragione, inammissibile ‘ (v. , Cass. 18 settembre 2006, n. 20126; 24 febbraio 2020, n. 4845; 12 dicembre 2011, n. 26507. Già in precedenza nello stesso senso, Cass. 9 novembre 1983, n. 6622; 8 marzo 1984, n. 1602; 27 febbraio 1986, n. 1271). Non risulta pertinente al caso di specie il precedente rappresentato da Cass. 28 novembre 2023, n. 33015, che richiama Cass. 5 settembre 2022, n. 26139, in quanto afferente ad un processo con solo due parti,
mentre il presente ha ad oggetto due distinti rapporti, il secondo dei quali (quello tra Unicredit e terza chiamata) non attinto dal ricorso principale.
Nel caso di specie, tuttavia, data l’improcedibilità del ricorso principale , il ricorso incidentale tardivo diviene inefficace non in base ad un’applicazione analogica dell’art. 334, comma secondo, cod. proc. civ., dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale, ma ad un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità (v., Cass., sez. un., 14 aprile 2008, n. 9741; sez. 6-V, 4 febbraio 2014, n. 2381; sez. III, 19 luglio 2018,n.19188; 9 luglio 2020, n. 14497).
Il ricorso principale, pertanto, deve essere dichiarato improcedibile, mentre il ricorso incidentale va dichiarato inefficace.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico solidale della ricorrente e di Unicredit s.p.a., anch’essa soccombente data la tardività del ricorso incidentale.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso principale ed inefficace quello incidentale; condanna la ricorrente e Unicredit s.p.a. alla rifusione in via solidale delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE che liquida in euro 200,000 per esborsi ed euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte