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Escussione fraudolenta: no alla garanzia a richiesta

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una locatrice che, dopo aver risolto un contratto di affitto d’azienda, aveva chiesto il pagamento di una garanzia a prima richiesta per canoni non più dovuti. La Corte ha confermato la decisione di merito che qualificava tale richiesta come escussione fraudolenta, poiché la risoluzione del contratto, avvenuta prima della scadenza dei canoni, aveva estinto l’obbligazione principale. La richiesta del garante era quindi priva di causa e basata su una pretesa abusiva, bloccata tramite l’exceptio doli generalis.

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Garanzia a Prima Richiesta e il Limite dell’Escussione Fraudolenta

L’istituto della garanzia a prima richiesta rappresenta uno strumento fondamentale per la sicurezza delle transazioni commerciali. Tuttavia, la sua autonomia rispetto al contratto principale non è assoluta. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione fa luce sui limiti di tale autonomia, in particolare sul concetto di escussione fraudolenta. Questo articolo analizza il caso in cui un creditore, dopo aver autonomamente causato la risoluzione del contratto, ha tentato di incassare la garanzia per prestazioni non più dovute.

Il caso: la richiesta di pagamento dopo la risoluzione del contratto

La vicenda trae origine da un contratto di affitto d’azienda garantito da una fideiussione a prima richiesta prestata da un istituto di credito. A fronte del mancato pagamento di una rata del canone, la parte locatrice notificava all’affittuaria un ricorso per sequestro giudiziario, comunicando la propria volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto. Tale clausola prevedeva la risoluzione immediata del rapporto in caso di ritardo nei pagamenti.

Nonostante la risoluzione del contratto fosse quindi già avvenuta per sua stessa iniziativa, la locatrice chiedeva alla banca garante il pagamento di una somma corrispondente ai canoni che sarebbero maturati nel semestre successivo alla risoluzione. La banca si opponeva, sostenendo che la richiesta fosse illegittima, poiché il debito garantito si era estinto con la fine del contratto. La Corte d’Appello accoglieva le ragioni della banca e dell’affittuaria, revocando il decreto ingiuntivo ottenuto dalla locatrice e qualificando la sua pretesa come un’escussione abusiva della garanzia. La questione è così giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso principale della locatrice inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. I giudici hanno ritenuto che la pretesa della locatrice fosse infondata e che la sua azione configurasse un chiaro caso di escussione fraudolenta della garanzia.

La Corte ha inoltre dichiarato inefficace il ricorso incidentale presentato dalla banca, in quanto tardivo e comunque subordinato all’improcedibilità del ricorso principale. Di conseguenza, ha condannato entrambe le parti a rimborsare in solido le spese legali alla società affittuaria.

Le motivazioni: perché si configura l’escussione fraudolenta

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione del principio dell’exceptio doli generalis. Sebbene la garanzia a prima richiesta sia autonoma, il garante può rifiutare il pagamento quando la richiesta del beneficiario è palesemente abusiva o fraudolenta. Nel caso specifico, la frode era supportata da una “prova liquida”, ovvero immediatamente evidente e incontestabile.

La Corte ha osservato che la locatrice, manifestando la volontà di risolvere il contratto tramite la clausola risolutiva espressa, aveva essa stessa determinato la cessazione dell’obbligo di pagamento dei canoni futuri. Di conseguenza, la successiva richiesta di pagamento di tali canoni alla banca garante era priva di causa. Pretendere l’adempimento di un’obbligazione che si sa essere estinta per propria volontà costituisce un comportamento contrario a buona fede. La Corte ha chiarito che eventuali pretese della locatrice avrebbero dovuto essere inquadrate come risarcimento del danno da inadempimento, un’azione legale diversa e non esercitata in quella sede.

Conclusioni: il limite della buona fede nelle garanzie autonome

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: l’autonomia della garanzia a prima richiesta non costituisce una licenza per agire in malafede. Il principio di buona fede e correttezza contrattuale opera come un limite invalicabile anche in questo contesto. Un beneficiario non può avvalersi della garanzia per ottenere un pagamento che sa non essere dovuto. La decisione sottolinea che, in presenza di prove evidenti dell’abuso del diritto, il garante non solo può, ma deve rifiutare il pagamento per non rendersi complice di un’azione fraudolenta. Per le imprese e i professionisti, ciò significa che l’utilizzo di questi strumenti di garanzia deve sempre essere improntato alla lealtà e alla coerenza con le azioni intraprese nel rapporto contrattuale sottostante.

È possibile chiedere il pagamento di una garanzia a prima richiesta se il contratto principale è stato risolto per volontà del creditore?
No. La sentenza chiarisce che se il creditore ha manifestato la volontà di risolvere il contratto, estinguendo l’obbligazione principale (come il pagamento dei canoni futuri), la successiva richiesta di pagamento alla banca garante per quegli stessi canoni è priva di causa e configura un’escussione fraudolenta.

Cosa si intende per escussione fraudolenta di una garanzia?
Si ha un’escussione fraudolenta quando il beneficiario richiede il pagamento della garanzia in modo abusivo o in mala fede, ad esempio pretendendo l’adempimento di un’obbligazione che sa essere già estinta o inesistente. Tale comportamento viola il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Quale tipo di prova è necessaria per bloccare una richiesta di pagamento basata su una garanzia a prima richiesta?
Per bloccare il pagamento, è necessaria una “prova liquida”, cioè una prova di pronta e facile soluzione che dimostri in modo evidente e incontestabile la natura fraudolenta o abusiva della richiesta del beneficiario. Nel caso di specie, la prova era costituita dallo stesso atto con cui la creditrice aveva comunicato la volontà di risolvere il contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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