Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8918 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
Oggetto:
società cooperativa edilizia p.a. impugnazione deliberazione esclusione socio
AC -28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27607/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e dife sa dall’ avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 563/2020, pubblicata il 23 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza n. 10865/2015 del locale Tribunale che aveva respinto la domanda da lei proposta avente per oggetto l ‘ impugnazione della deliberazione del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE (in prosieguo, breviter : ‘la società’) con cui era stata disposta la sua esclusione dalla compagine sociale per grave inadempimento alle obbligazioni ricadenti sul socio, segnatamente per non aver corrisposto le quote di preammortamento del mutuo contratto dalla società in vista della convenzione stipulata con il Comune di Roma per la concessione del diritto di superficie finalizzato all’ edificazione degli alloggi da assegnare in proprietà ai soci, ciò che costituiva l’oggetto dell’attività sociale.
La società ha resistito con controricorso.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che la risoluzione di diritto della convenzione stipulata con il Comune di Roma non influiva sulla legittimazione processuale della società, né poteva far ritenere cessata la materia del contendere, atteso che in atti era documentata solo la proposta di risoluzione, ancora non adottata dal Comune, e che, sotto diverso aspetto, la domanda oggetto di lite prescindeva dalla questione della sussistenza della convenzione medesima; b) che era inammissibile per genericità il motivo di appello con cui la COGNOME censurava la
decisione di primo grado inerente all’accertamento della sua responsabilità per aver omesso di pagare le rate di preammortamento del mutuo contratto dalla società, avendo il Tribunale valutato sia le prove del suddetto inadempimento, sia la gravità del medesimo in relazione alle sue conseguenze; c) che inammissibili per novità erano le censure in appello con cui la COGNOME per la prima volta contestava l’esistenza della propria morosità e i criteri per la determinazione del prezzo massimo di cessione dell’alloggio, quest’ultima ritenuta ‘ questione appena accennata nelle premesse dell’atto di citazione in primo grado ‘, posto che in primo grado le deduzioni difensive inerivano ad alcune violazioni formali della deliberazione di esclusione e alla contestazione del prezzo di acquisto conseguente a maggiorazione per presunte migliorie non autorizzate, nonché a variazioni progettuali ritenute arbitrarie.
4. Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
a) «Primo motivo di gravame (Art. 360, I comma n. 3 c.p.c.). Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1456 c.c. e dell’art. 107 del d. lgs. 267 del 2000 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali -Funzioni e responsabilità della dirigenza).», deducendo che ove, come nella specie, la convenzione urbanistica stipulata dalla società in vista dell’ edificazione degli alloggi sia stata risolta di diritto ai sensi dell’art. 1456 cod. civ., come nella specie pacificamente accaduto, nessuno spazio potevano assumere i successivi passaggi amministrativi interni all ‘ ente locale, posto che l’ effetto civilistico della risoluzione si era comunque indefettibilmente già consolidato.
Il motivo è inammissibile, perché versato totalmente in fatto, posto che pretende da questa Corte una rivalutazione del materiale probatorio acquisito in atti, finalizzato a qualificare come definitivamente risolta la convenzione urbanistica tra la società controricorrente e l’ente locale. La Corte territoriale ha accertato in fatto (pag. 5 della sentenza) che le determine dirigenziali dell’ente locale erano state adottate nell’ambito del complesso procedimento amministrativo finalizzato alla valutazione delle sorti della convenzione stipulata con la società, e che erano state adottate al termine della fase istruttoria del procedimento amministrativo, non essendo state ancora prese dal Comune le decisioni definitive di carattere provvedimentale. Per ciò che in questa sede può essere oggetto di consentita indagine, va rilevato che, in diritto, è corretta l’ affermazione della Corte di appello inerente alla necessità che fosse definito il procedimento ammnistrativo con cui il Comune intendeva sciogliersi dagli effetti obbligatori della sottoscritta concessione. Questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 2669 del 05/03/1993) ha infatti insegnato che, in tema di convenzioni urbanistiche, l’ intervenuta sottoscrizione a opera dell’ente pubblico non rende il rapporto del tutto assimilabile a un contratto tra privati, rimanendo invece integra (nonostante qualsiasi patto contrario) la potestà pubblicistica del Comune di liberarsi dal vincolo contrattuale in relazione a sopravvenute esigenze di pubblico interesse; la conclusione del procedimento amministrativo avente a oggetto la sorte della convezione si pone, quindi (alla stregua di quanto argomentato dalle citate Sezioni Unite in motivazione), come antecedente logico-necessario per l’azione del privato fondata sull’ applicazione delle regole privatistiche del
diritto dei contratti. Tanto comporta, nella specie, l’infondatezza della censura in esame dove pretende di ritenere ipso iure risolta la convezione per effetto di una clausola risolutiva espressa automatica, in assenza della relativa deliberazione provvedimentale dell’ ente pubblico sottoscrittore di volersene avvalere. E ciò del tutto a prescindere dall’ulteriore espressione del Comune di Roma nella Deliberazione di Assemblea Capitolina prot. QI 57145 del 6 aprile 2022, che parte controricorrente inammissibilmente rispetto alle produzioni consentite dall’art. 372 cod. proc. civ. – allega alla propria memoria conclusiva in questa sede.
b) «Secondo motivo di gravame (Art. 360, I comma nn. 3 e 5 c.p.c.). – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346, 1418, 2379, 2473 bis, 2479 ter e 2533 del codice civile, nonché dell’art . 24 della Costituzione -Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.», deducendo che la Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione inerente alla nullità per genericità dell’art. 9 dello statuto sociale , ove si prevedeva l’esclusione del socio, affidata peraltro a ipotesi del tutto incerte e per nulla specifiche.
Il motivo è inammissibile, posto che non rispetta i requisiti di autosufficienza, non deducendo come, dove e quando la domanda di nullità dell’art. 9 dello statuto della società sarebbe stata ritualmente introdotta in lite e coltivata nei successivi gradi del giudizio. Adempimento da ritenersi vieppiù necessario, in quanto la sentenza della Corte territoriale dell ‘ avvenuta formulazione di siffatta domanda non fa cenno alcuno, il che avrebbe dovuto indurre la ricorrente a dimostrare le relative
modalità di rituale formulazione e, semmai, lamentarsi all’esito dell’ error in procedendo consistito nell’ omesso esame.
c) «Terzo motivo di gravame (Art. 360, I comma nn. 3 e 5 c.p.c.). – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1207, 1218, 1219, 1273, 1353 e 1460 del codice civile. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 delle l. 865/71. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 del d.P.R. 380/2001. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, ultimo comma, della convenzione urbanistica rogata per notaio COGNOME Trasatti rep. 40883 del 19 settembre 2007 e dell’art. 11 del ‘disciplinare generale’ allegato ‘B’ quest’ ultima convenzione, anche in relazione alla violazione, da parte della resistente, degli artt. 3, 7 e 9 dello statuto sociale e degli artt. 2 e 16 del contratto di prenotazione alloggio. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2527 del codice civile e dell’art. 16 del contratto di prenotazione alloggio, nonché degli artt. 1337, 1338 e 1892 c.c. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 della l. 2248/1865 per aver deciso, la Corte di appello, in senso diametralmente opposto a quello indicato da queste norme su punti essenziali della causa. – Violazione e/o falsa applicazione dell’art . 295 c.p.c.», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente giudicato generica la contestazione in appello inerente alla rilevanza dell ‘ incertezza sul prezzo massimo di cessione dell’alloggio quale eccezione di inadempimento rispetto all’ obbligo di pagamento della quota di mutuo, del resto da considerarsi essenziale per l’ attuazione del contratto di prenotazione dell’alloggio che, in carenza, era affetto da nullità, rilevabile d’ ufficio dal giudice; ciò che avrebbe comportato la fondatezza d ell’ eccezione di inadempimento, da ritenersi del tutto legittima alla luce del grave inadempimento
della società all’obbligo di determinare correttamente il prezzo di cessione dell’alloggio, laddove in realtà mancava del tutto un piano finanziario finale che la società avrebbe dovuto predisporre per rendersi adempiente, circostanza che rendeva pienamente legittimo il rifiuto di pagamento delle rata da parte della socia prenotataria e per conseguenza illegittima la disposta esclusione; sotto altro profilo, del tutto ignorate erano le deduzioni difensive della COGNOME inerenti all’applicazione analogica dell’art. 1892 cod. civ. a proposito della reticenza dolosa nel contratto di assicurazione, da ritenersi analogicamente applicabile alla fattispecie, come pure alla natura pacifica, in quanto non contestata e comunque ex adverso ammessa in giudizio, della falsità degli atti querelati in primo grado e relativi alla tabella riepilogativa della determinazione del prezzo massimo di cessione degli alloggi.
«Quarto motivo di gravame (Art. 360, I comma nn. 3, 4 e 5 c.p.c.). – Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 221 e ss. c. p.c., dell’art. 2697 del codice civile e dell’art. 24 della Costituzione -Nullità della gravata sentenza in relazione agli artt. 132 cpc e 74 disp. att. c.p.c. nonché dell’art. 111 c.p.c. -Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.», deducendo che la Corte di appello avrebbe erroneamente invertito l’ onere probatorio, travisando anche le prove, dove ha dato per acquisita la prova dell’ esistenza di un prezzo massimo di cessione, in realtà mai fissato con certezza.
I motivi terzo e quarto possono essere congiuntamente esaminati, in quanto si rivelano inammissibili per la stessa ragione: essi non si confrontano, ma anzi totalmente
prescindono, dalla ratio decidendi della sentenza impugnata che ha dichiarato l’ inammissibilità -per genericità e parziale novità -delle censure inerenti alla contestazione dell’ inadempimento dell’ odierna ricorrente all’ obbligo contrattualmente assunto con la società di pagare la corrispondente quota del mutuo, e all ‘ allegazione, valutata come nuova in appello – senza alcuna specifica contestazione nel ricorso – della pretesa rilevanza, ancor prima che fondatezza, delle contestazioni riguardanti il prezzo massimo di cessione degli alloggi rispetto alla validità della deliberazione di esclusione , che è l’unica domanda su cui la sentenza di primo grado ha giudicato, essendo l’altra oggetto di diverso giudizio che risulta ancora sospeso, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., in attesa della definizione della presente lite.
La soccombenza regola le spese, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna COGNOME NOME a rifondere alla RAGIONE_SOCIALE le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 marzo 2025.