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Esclusione socio cooperativa: motivi inammissibili

Una socia impugnava la delibera di esclusione da una cooperativa edilizia per il mancato pagamento delle quote di un mutuo. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. I motivi del ricorso sono stati ritenuti inammissibili perché tentavano una rivalutazione dei fatti, mancavano di autosufficienza e, soprattutto, non si confrontavano con la vera ragione della decisione impugnata (la genericità e novità delle censure sollevate in appello). Il caso sottolinea l’importanza di formulare motivi di impugnazione specifici e pertinenti alla ratio decidendi della sentenza che si intende contestare.

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Esclusione Socio Cooperativa: Quando l’Appello Diventa Inammissibile

L’esclusione socio cooperativa è una delle vicende più delicate nella vita di una società cooperativa, specialmente quando riguarda cooperative edilizie e il sogno di una casa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre spunti cruciali su come devono essere strutturati i motivi di impugnazione per evitare una declaratoria di inammissibilità. Il caso analizza la vicenda di una socia esclusa per morosità, il cui ricorso è stato respinto non per il merito della questione, ma per vizi procedurali e di impostazione difensiva. Vediamo nel dettaglio i fatti e le ragioni della decisione.

I Fatti del Contendere

Una socia di una cooperativa edilizia impugnava la delibera del consiglio di amministrazione che ne disponeva l’esclusione. La motivazione addotta dalla cooperativa era il grave inadempimento della socia, consistito nel mancato pagamento delle quote di preammortamento di un mutuo. Tale mutuo era stato contratto dalla cooperativa per edificare alloggi da assegnare in proprietà ai soci, in virtù di una convenzione stipulata con l’ente comunale per la concessione di un diritto di superficie.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello avevano respinto le doglianze della socia, confermando la legittimità dell’esclusione. La socia, non rassegnata, proponeva ricorso per cassazione basato su quattro motivi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali. La decisione si fonda sull’analisi critica dei singoli motivi di ricorso, che sono stati ritenuti inadeguati a superare il vaglio di legittimità. La Corte non è entrata nel merito della fondatezza dell’esclusione, ma si è fermata a un giudizio preliminare sulla correttezza formale e sostanziale dell’impugnazione.

Le Motivazioni: Analisi dei Motivi di Ricorso

La Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della ricorrente, evidenziando le ragioni che rendevano i motivi inammissibili.

Primo Motivo: La Risoluzione della Convenzione Urbanistica

La ricorrente sosteneva che la convenzione tra la cooperativa e il Comune si fosse risolta di diritto per l’attivazione di una clausola risolutiva espressa. Secondo la sua tesi, questo avrebbe privato la cooperativa della sua legittimazione. La Corte ha respinto questa argomentazione, qualificandola come un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Inoltre, ha chiarito un importante principio di diritto: nelle convenzioni urbanistiche con enti pubblici, la potestà pubblicistica dell’ente prevale. Ciò significa che la risoluzione del rapporto non può avvenire automaticamente come in un contratto tra privati, ma richiede la conclusione di un procedimento amministrativo formale da parte dell’ente pubblico. Senza tale provvedimento, la convenzione resta efficace.

Secondo Motivo sull’esclusione socio cooperativa: La Nullità dello Statuto

La socia lamentava la nullità di una clausola dello statuto sociale (l’art. 9) che prevedeva l’esclusione socio cooperativa in base a ipotesi ritenute generiche e incerte. Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile, ma per una ragione diversa: la mancanza di “autosufficienza”. La ricorrente non ha dimostrato nel suo ricorso dove, come e quando avesse sollevato tale questione nei precedenti gradi di giudizio. Poiché la sentenza d’appello non ne faceva menzione, era onere della ricorrente provare di averla ritualmente introdotta nel processo, cosa che non è avvenuta.

Terzo e Quarto Motivo: Genericità e Novità delle Censure

Questi due motivi, esaminati congiuntamente, rappresentano il cuore della decisione. La ricorrente contestava l’incertezza sul prezzo massimo di cessione dell’alloggio, sollevando un’eccezione di inadempimento per giustificare il mancato pagamento delle quote. La Corte di Cassazione ha rilevato come questi argomenti ignorassero completamente la ratio decidendi della Corte d’Appello. Quest’ultima, infatti, aveva già dichiarato inammissibili tali censure perché ritenute “generiche” e “parzialmente nuove”, in quanto sollevate in modo compiuto per la prima volta solo in appello. Il ricorso per cassazione, invece di contestare questa specifica valutazione di inammissibilità, ha riproposto le stesse questioni di merito. In pratica, ha ignorato il vero motivo della decisione impugnata, rendendo così il ricorso stesso inammissibile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in esame è un monito fondamentale per chiunque intenda impugnare una sentenza. Non è sufficiente avere ragione nel merito; è indispensabile strutturare l’impugnazione in modo tecnicamente corretto. La decisione evidenzia tre principi chiave:

1. Non si possono introdurre fatti nuovi in Cassazione: La Suprema Corte giudica solo sulla corretta applicazione del diritto, non può riesaminare i fatti del processo.
2. Il ricorso deve essere autosufficiente: Chi ricorre deve fornire alla Corte tutti gli elementi per decidere, dimostrando di aver già sollevato le questioni nei gradi precedenti.
3. È necessario confrontarsi con la ratio decidendi: Il motivo di impugnazione deve attaccare la specifica ragione giuridica su cui si fonda la sentenza impugnata. Ignorarla e riproporre le proprie tesi di merito equivale a presentare un ricorso destinato all’inammissibilità.

In una convenzione urbanistica tra un privato e un ente pubblico, una clausola risolutiva espressa opera automaticamente?
No. Secondo la Corte, l’ente pubblico mantiene una potestà pubblicistica che gli permette di liberarsi dal vincolo contrattuale solo in base a sopravvenute esigenze di pubblico interesse e al termine di un procedimento amministrativo. La risoluzione non è automatica come nei contratti puramente privatistici.

Per quale motivo un ricorso per cassazione può essere dichiarato inammissibile per “mancanza di autosufficienza”?
Un ricorso è inammissibile per mancanza di autosufficienza quando non contiene tutti gli elementi necessari per consentire alla Corte di decidere la questione sollevata. Ad esempio, se si lamenta l’omessa pronuncia su una certa domanda, il ricorrente deve specificare nel ricorso in quale atto e in che termini quella domanda era stata precedentemente e ritualmente formulata.

Cosa succede se i motivi di appello e di ricorso per cassazione non affrontano la specifica ragione della decisione (ratio decidendi) del giudice precedente?
Se i motivi di impugnazione non si confrontano direttamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata, ma si limitano a riproporre le proprie argomentazioni di merito, vengono dichiarati inammissibili. L’impugnazione deve criticare il ragionamento giuridico del giudice precedente, non ignorarlo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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