Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15685 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15685 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 5071-2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, domiciliat i ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica dei propri difensori come in atti, rappresentati e difesi dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
ING COGNOME, in persona dei procuratori speciali, Dott.ssa NOME COGNOME e Dott.ssa NOME COGNOME domiciliat a ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
Oggetto
LEASING
Revocazione ex art.
391- bis c.p.c. –
Inammissibilità del
ricorso
R.G.N. 5071/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 04/02/2025
Adunanza camerale
Avverso l ‘ordinanza n. 21844/23 di questa Corte di Cassazione depositata in data 20/07/2023;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
, dello
FATTI DI CAUSA
NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di un unico motivo, per la revocazione, ex art. 391bis , comma 1, cod. proc. civ., dell’ordinanza di questa Corte n. 21844/23, del 20 luglio 2023, che ha ne ha respinto il ricorso avverso la sentenza n. 362/20, del 9 aprile 2020, della Corte d’appello di Brescia, di rigetto, a propria volta, del gravame dai medesimi proposto avverso la sentenza n. 7134/16, del 22 giugno 2016, del Tribunale della stessa città, così confermando la reiezione dell’opposizio ne proposta da costoro -e dalla società RAGIONE_SOCIALE allora in liquidazione (della quale NOME COGNOME era l’amministratore unico ed il cui capitale sociale era detenuto dai di lui figli, NOME, NOME e NOME) -avverso il provvedimento monitorio conseguito dalla società RAGIONE_SOCIALE per l’importo di € 112.058,23.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver deciso, nell’anno 2006, che la società poi dichiarata fallita –RAGIONE_SOCIALE (il cui capitale sociale era detenuto al 99% da I.R.G.) vendesse ad RAGIONE_SOCIALE un capannone industriale, sede della sua attività, bene immobile che l’acquirente avrebbe poi fatto oggetto di locazione finanziaria in favore proprio di I.R.G., la quale, a propria volta, lo avrebbe dato in comodato alla venditrice. A fronte, dunque, del pagamento del prezzo di acquisto -pari a € 1.800.000,00 da parte di RAGIONE_SOCIALE si impegnava a versare, a titolo di canone della locazione finanziaria da
corrispondersi in 179 rate, l’importo complessivo di € 2.526.715,06, prevedendosi in suo favore anche la facoltà di acquistare la proprietà del bene, al termine della locazione, mediante il pagamento della ulteriore somma di € 540.000,00.
Conclusi, dunque, in data 17 dicembre 2007 i due contratti, di compravendita del capannone e di locazione finanziaria dello stesso, in pari data gli odierni ricorrenti sottoscrivevano -per l’ipotesi in cui I.R.G. si fosse resa inadempiente all’obbligazione di pagamento dei canoni -una fideiussione, fino all’importo massimo di € 2.346.715,68. Peraltro, a completare tale operazione, posta in essere attraverso i suddetti contratti collegati, RAGIONE_SOCIALE si impegnava a subentrare nella locazione finanziaria, in caso di inadempimento di I.R.G. nel pagamento dei canoni, con facoltà, in tal caso, di acquistare al termine della stessa la proprietà dell’immobile (del quale, in ogni caso, conservava la disponibilità per l’intero periodo di durata della locazione).
Successivamente, in data 10 giugno 2009, Ing Lease e RAGIONE_SOCIALE stipulavano un ‘ addendum ‘ al contratto di locazione finanziaria, rinegoziando il corrispettivo globale della stessa, fissato in € 3.008.287,21, lasciando invece immutato il prezzo di riscatto dell’immobile.
Resasi I.R.G. inadempiente alla propria obbligazione, Ing COGNOME conseguiva nei confronti della stessa, nonché dei fideiussori Griffini, il suddetto provvedimento monitorio, oggetto di opposizione da parte degli ingiunti.
Assumevano, in particolare, gli opponenti che la complessiva operazione negoziale realizzata integrasse un ‘ lease and sale back ‘, posto in essere in violazione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 cod. civ., tesi, tuttavia, non recepita dal da ambo i giudici di merito, che rigettavano la proposta opposizione.
Esperivano i Griffini ricorso per cassazione avverso la pronuncia d’appello, sulla base di tre motivi.
Il primo motivo denunciava -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2744 e 1344 cod. civ., per non avere la Corte bresciana rilevato la funzione di ‘garanzia’ dell’operazione ‘ inter partes ‘ e non averne dichiarato la nullità per violazione del divieto del patto commissorio. Si censurava, in particolare, la sentenza impugnata, là dove -pur rilevando il collegamento negoziale tra i diversi contratti stipulati -aveva omesso di considerare che, nell’ambito dell’operazione ‘trilaterale’ (vendita -leasing-comodato) intercorsa tra le tre società, RAGIONE_SOCIALE non ha pagato a RAGIONE_SOCIALE il corrispettivo per il trasferimento dell’immobile, ma ha in realtà erogato un vero e proprio finanziamento in favore di quest’ultima, garantito dal trasferimento di proprietà dell’immobile.
Il secondo motivo denunciava -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza o del procedimento, con riferimento all’art. 132, comma, n. 4), cod. proc. civ., perché la Corte d’appello, con motivazione ‘apparente’, avrebbe rigettato le domande degli odierni ricorrenti volte ad accertare la ‘sproporzione’ tra le obbligazioni delle parti, nascenti dal contratto di locazione finanziaria.
Il terzo motivo denunciava -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, perché la Corte d’appello , rigettate le istanze istruttorie formulate dagli odierni ricorrenti in primo e secondo grado, dirette a provare la sussistenza di un patto commissorio, aveva poi respinto le domande degli stessi odierni ricorrenti, dichiarando non provati i requisiti applicativi di cui all’art. 2744 cod. civ., violando cos ì anche l’art. 2697 cod. civ.
Questa Corte rigettava il ricorso, sul rilievo che, nella specie, difettassero i ‘presupposti richiesti dalla giurisprudenza per ricavare che il contratto in questione avesse scopo di garanzia (con conseguente violazione del divieto del patto commissorio) piuttosto che di finanziamento, e cioè: (a) la presenza di una situazione credito debitoria preesistente o contestuale alla vendita; (b) una sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene alienato; (c) l’a pprofittamento da parte del finanziatore dello stato di debolezza dell’utilizzatore’. La pronuncia oggi impugnata, inoltre, escludeva la ricorrenza del vizio di motivazione apparente, rilevando come il contenuto della sentenza sottoposta al vaglio di legittimità consentisse ‘di individuare chiaramente il percorso logico e giuridico tramite il quale la Corte è pervenuta alla propria decisione’. Infine, quanto al terzo motivo di ricorso, ne veniva affermata l’inammissibilità, sul rilievo che esso sollecitasse una ‘ valutazione sulla rilevanza ed ammissibilità delle prove che non può essere rimessa alla Corte di legittimità’ .
Avverso l’ordinanza di questa Corte hanno proposto ricorso per revocazione i Griffini, sulla base -come detto -di un unico motivo.
3.1. Esso denuncia -ex art. 395, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -l’esistenza di un errore revocatorio, per avere questa Corte ‘erroneamente ritenuto che nella fasi precedenti del giudizio « inter partes », si fosse svolta una CTU, che in realtà -seppure richiesta -non era stata disposta né dal Tribunale di Brescia né dalla Corte d’Appello’.
Si legge, infatti, nell’ordinanza impugnata per revocazione che ‘la Corte territoriale dà compiuto, articolato e analitico conto, sulla base delle risultanze della CTU, di tutti gli elementi in base ai quali l’operazione in questione difettava dei presuppo sti
richiesti dalla giurisprudenza per ricavare che il contratto in questione avesse scopo di garanzia (con conseguente violazione del divieto del patto commissorio) piuttosto che di finanziamento’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, eccependosi anche ‘ la temerarietà del ricorso avversario ‘, con richiesta di provvedere ex art. 96 cod. proc. civ., stante la colpa grave dei ricorrenti.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
8. Il ricorso è inammissibile.
8.1. Il denunciato errore percettivo investe la decisione assunta da questa Corte in relazione al primo motivo del proposto ricorso per cassazione.
Tale decisione, tuttavia, risulta fondata su due concorrenti ‘ rationes ‘, una sola delle quali potrebbe, in ipotesi, essere messa in crisi dal prospettato vizio revocatorio.
Si legge, infatti, nell’ordinanza di questa Corte (a pag. 7) che il primo motivo dell’allora proposta impugnazione ‘ postula la violazione delle norme richiamate in rubrica sul presupposto di
una diversa lettura di merito della vicenda che -nella sostanza -i ricorrenti sollecitano a questa Corte di legittimità; le censure investono dunque gli accertamenti di fatto e le valutazioni della Corte territoriale, e da quest’ultima articolatamente motivati, pretendendo così un non consentito riesame dei presupposti di fatto indispensabili per accertare l’asserita violazione del divieto del patto commissorio ‘ .
A tale ‘ ratio ‘, il provvedimento oggi impugnato ne ha affiancata un’altra (pag. 8), ritenendo il primo motivo di ricorso per cassazione ‘ inammissibile anche ex art 360bis , n. 1 , cod. proc. civ. ‘, per essersi la sentenza del giudice d’appello uniformata a ‘ principi consolidati della giurisprudenza di legittimità ‘ in merito alla validità dello schema contrattuale del ‘ sale and lease back ‘; conclusione che questa Corte ha ritenuto essere stata tratta, dal giudice d’appello, sulla base , tra l’altro, di una con sulenza tecnica d’ufficio che gli odierni ricorrenti per revocazione deducono non essere stata mai disposta ed effettuata.
Orbene, il lamentato errore percettivo -aver ritenuto esistente un fatto (lo svolgimento della consulenza) che, in realtà, non era tale -potrebbe, come detto, inficiare la seconda delle ‘ rationes ‘, in forza delle quali è stata dichiarata l’inammissibilità del primo motivo di ricorso per cassazione, ma non la prima, ovvero la natura ‘fattuale’ del motivo stesso.
Di conseguenza, deve qui darsi seguito al principio secondo cui, ove il provvedimento impugnato sia sorretto ‘ da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l ‘ omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l ‘ autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre
l ‘ annullamento ‘ del provvedimento (tra le molte, Cass. S ez. 6-5, ord. 18 aprile 2017, n. 9752, Rv. 643802-01).
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Non sussistono, invece, i presupposti per provvedere a norma dell’art. 96 cod. proc. civ., come da richiesta della controricorrente, ovvero per risarcire il danno da ‘temerarietà’ della proposta impugnazione, non essendo stato dedotto in cosa tale danno si sarebbe esattamente sostanziato.
Occorre, infatti, rammentare che la liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata, ex art. 96 cod. proc. civ., ‘ postula che la parte istante abbia quantomeno assolto l ‘ onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari ad identificarne concretamente l ‘ esistenza ed idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa ‘ (Cass. Sez. 3, ord. 30 maggio 2023, n. 15175, Rv. 668000-01).
A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a rifondere, alla società RAGIONE_SOCIALE, le spese del presente
giudizio di legittimità, liquidate in € 4. 5 00,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della