Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 9946 Anno 2024
RAGIONE_SOCIALE Ord. Sez. U Num. 9946 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINAN ZA
sul ricorso iscritto al n. 29477/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIOCOGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
NOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME NOME
-controricorrenti-
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE VERONA
-intimato- avverso SENTENZA di TRIB.SUP. DELLE ACQUE PUBBLICH ROMA n. 180/2022 depositata il 09/09/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale conclude chiedendo che la Corte voglia dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Il RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) è attualmente titolare di concessione di derivazione di acqua dal fiume RAGIONE_SOCIALE, tramite il canale ‘Biffis’, dal nome del suo ideatore, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, a sua volta concessionaria di derivazione di acque per uso elettrico. Le concessioni, originariamente rilasciate alla fine degli anni Venti del secolo scorso, furono rinnovate nel tempo ad opera di una pluralità di provvedimenti emessi in favore dei soggetti subentrati ai concessionari originari fino ad arrivare ai titolari attuali (ai fini che interessano in questa sede non occorre la ricostruzione analitica dei vari passaggi). Fra i vari provvedimenti via via intervenuti occorre fare menzione del decreto interministeriale n. 2100 del 24.04.1938, con il quale furono formalizzati, nel Titolo 1°, gli ‘Obblighi e condizioni cui sono vincolate le concessioni delle derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico , mentre, nel titolo 2°, veniva disciplinata la concessione di derivazione ad uso irriguo.
In particolare, l’art. 1, che determina la portata massima derivabile dal canale in 1350 moduli (135 mc/s), stabilisce la portata destinata a
scopo irriguo in 180 moduli già assentiti ed altri 70 moduli per ‘eventuali futuri usi irrigui.’ Per un totale complessivo di 250 moduli (25 mc/s).
Il decreto interministeriale n. 2100/1938 delega espressamente a sovrintendere all’esecuzione delle opere e ad esercitare le funzioni amministrative inerenti alla concessione il RAGIONE_SOCIALE, in quanto il canale ‘Biffis’ andava ad assolvere ad esigenze territoriali tutte interne alla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE).
Quanto alla concessione ad uso irriguo, con successivo decreto interministeriale n. 19 del 10.12.1968 veniva rilasciata al RAGIONE_SOCIALE la concessione di utilizzare la portata di moduli 20 per produrre, nel periodo annuo dal 15 aprile al 30 settembre, energia elettrica (nella quantità predefinita dal provvedimento) per l’azionamento di un impianto di sollevamento ad uso irriguo del proprio comprensorio. I moduli da usare per uso irriguo furono aumentati, con un successivo provvedimento, di 30 unità, restando invariati i moduli da prelevare ad uso energia.
L’ultimo provvedimento di rinnovo è il decreto NUMERO_DOCUMENTO. 205 del 24 giugno 2013, emesso dal RAGIONE_SOCIALE.
Tale provvedimento veniva impugnato da RAGIONE_SOCIALE, concessionaria della derivazione idroelettrica, avanti al TSAP con ricorso rubricato al numero di RG 258/13, mediante quattro motivi di gravame.
Per quanto ancora interessa, con il quarto motivo (‘Eccesso di potere per omessa indicazione delle cautele e determinazione del compenso per l’uso dell’acqua e delle opere di proprietà del Preesistente concessionario -violazione dell’art. 47 del r.d. n.1775/1933)’, la ricorrente sosteneva che il provvedimento impugnato, concedendo di derivare acqua mediante il canale vettore ‘Biffis’ non solo ad uso irriguo, ma anche per produzione di forza motrice, con sottrazione
d’acqua per produzione di energia e couso di opere altrui comportava un indebito arricchimento del RAGIONE_SOCIALE in danno della concessionaria ad uso energia, sottoposta al pagamento dei relativi oneri concessori, oltreché alla fornitura gratuita di energia elettrica per servizi pubblici alla Provincia di Trento (art. 13 D.P.R. n.670/1972).
Il TSAP, con la sentenza n. 67/2016, respingeva interamente il ricorso, ritenendo infondata anche tale censura, e tanto in forza del rilievo che «il contestato utilizzo di acqua per la produzione di energia elettrica non risulta idoneo a comportare un incremento dell’acqua sottratta alla ricorrente».
Con ricorso notificato il 20.5.2016, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva la cassazione della sentenza n. 67/2016, articolando quattro motivi.
In particolare, con il quarto motivo di ricorso, la già menzionata sentenza veniva censurata proprio nella parte in cui essa aveva escluso l’applicabilità al caso di specie della previsione dell’indennizzo di cui all’art. 47, comma 1, del T.U. del 1933. Secondo la ricorrente, tale indennità sarebbe ancorata al solo fatto obiettivo dei costi patiti dal precedente concessionario per la realizzazione delle opere di derivazione.
Con sentenza n. 4995/18 del 2.3.2018, la Corte di cassazione ha accolto tale motivo, riconoscendo che l’argomentazione del TSAP «circa l’assenza di incremento della derivazione di acqua, si pone in contrasto con la ratio dell’art. 47 cit., il quale non subordina affatto l’erogazione del compenso alla entità o all’incremento, rispetto al passato, della derivazione. Dal che la sussistenza del vizio di falsa applicazione di norma di diritto. La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto, con conseguente rinvio al Tribunale Superiore per un nuovo esame ». Nella motivazione di Cass. 4995 del 2018, ora
in esame, si legge il seguente passaggio: «Le disposizioni del primo comma dell’art. 47 del t.u. 1775/33 non si applicano solo alle utenze totalmente nuove, ma anche nell’ipotesi di rinnovo di concessioni preesistenti» (Trib. Sup. Acque Pubbliche, n.44 del 18/03/1999)».
In esito alla cassazione con rinvio della sentenza del TSAP n. 67/2016, con ricorso notificato il 19.04.18 RAGIONE_SOCIALE riassumeva il giudizio, chiedendo all’adito Tribunale di pronunciarsi sulla domanda di annullamento del decreto del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE n. 205 del 24.06.2013, con riferimento al quarto motivo di ricorso già dedotto nella precedente fase processuale, e secondo l’interpretazione dell’art. 47, comma 1 del T.U. del 1933 fornita dalle Sezioni Unite.
Nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, il ricorso in riassunzione è stato respinto con sentenza n. 172/2019, pubblicata il 2.8.2019, con la quale, il TSAP, ferma l’interpretazione dell’art. 47 T.U. acque pubbliche fornita dalle Sezioni Unite, ha osservato che «nel caso qui in esame è tuttavia incontroverso che quella rilasciata al RAGIONE_SOCIALE non sia una nuova concessione bensì il rinnovo di una concessione risalente nel tempo e, per quel che più rileva, precedente ovvero preesistente la concessione di cui è oggi titolare la RAGIONE_SOCIALE. Per essere ancora più chiari, ripercorrendo la vicenda storica che ha interessato il tratto di fiume oggetto di causa, la prima concessione ad essere rilasciata fu quella ad uso irriguo in favore dei danti causa dell’odierno RAGIONE_SOCIALE, sul finire degli anni Venti del secolo scorso, cui seguì, pochi anni più tardi, quella a fini idroelettrici rilasciata alla RAGIONE_SOCIALE, alla quale attraverso diversi passaggi, è subentrata l’odierna RAGIONE_SOCIALE. Non solo i rapporti tra le due concessioni e i relativi titolari furono definiti in un atto del 1938 ponendo a carico del concessionario idroelettrica RAGIONE_SOCIALE una serie di cautele, ma nel 1968 la richiesta della stessa NOME di conseguire quel medesimo compenso che è adesso qui invocata dalla RAGIONE_SOCIALE, fu respinta proprio in ragione del fatto che NOME non era e non
poteva considerarsi nuovo utente. Alla luce di tutti questi elementi di fatto si deve allora concludere come manchi il primo dei presupposti necessari per dichiarare il diritto al compenso richiesto dalla RAGIONE_SOCIALE, non essendo la sua concessione preesistente nel tempo a quella di cui è titolare il RAGIONE_SOCIALE (cfr., quanto alla necessità che l’utenza sia precedente, Tsap, n. 57/2005). Ne consegue la reiezione del ricorso».
Con ricorso notificato il 11.11.2019 l’originaria ricorrente ha chiesto la cassazione della sentenza TSAP n. 172/19, deducendo quale unico motivo di gravame la violazione dell’art. 384, comma 1, c.p.c. e dell’art. 47 del TU n. 1775 del 1933, sotto un duplice profilo, il secondo dei quali volto a censurare l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui «la prima concessione ad essere rilasciata fu quella ad uso irriguo». In realtà dal decreto interministeriale n. 2100 del 1938, secondo la tesi della ricorrente, emergeva «la nascita contestuale delle due concessioni; precisamente con R.D. 5 settembre 1929 n. 7253».
Le Sezioni unite, con ordinanza n. 15568 del 14.4.2021, hanno rigettato il ricorso, rilevando, quanto a tale profilo di censura, che esso, «nella prospettazione della società ricorrente, si presenterebbe quale errore revocatorio, non suscettibile di essere fatto valere con il ricorso per cassazione, giacché il giudice non si sarebbe avveduto di quanto inequivocabilmente risultante da un documento acquisito agli atti di causa, ossia il Decreto Interministeriale n. 2100 del 1938, incorrendo in un asserito errore di percezione».
Con ricorso notificato il 15.11.2019, la medesima ricorrente ha promosso autonomo giudizio avanti il TSAP per la revocazione della già menzionata sentenza n. 172/2019 per errore di fatto e x art. 395, n. 4 c.p.c. In particolare, costituiva oggetto di denunzia l’affermazione della sentenza secondo cui ‘la prima concessione ad essere rilasciata fu
quella ad uso irriguo in favore del dante dell’odierno RAGIONE_SOCIALE ‘. Il giudice di rinvio non si sarebbe avveduto di quanto inequivocabilmente risultante da un documento acquisito agli atti di causa, ossia il decreto interministeriale n. 2100 del 1938, dal quale emergeva la nascita contestuale delle due concessioni, ‘assentite al RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) con R.D. 5 settembre 1929 n. 7253 e con cui le concessioni stesse furono accordate alla RAGIONE_SOCIALE per sè o per RAGIONE_SOCIALE da costituirsi, mentre le concessioni d’acqua ad uso irriguo assentite col citato R.D. 5 settembre 1929 furono partitamente attribuite ai Consorzi partecipanti al RAGIONE_SOCIALE‘
Con la sentenza n. 180 del 9.9.2022 il TSAP ha ritenuto l’inammissibilità del ricorso per revocazione: « L’ errore di fatto revocatorio deve fondarsi su un punto non controverso della causa (così come dedotto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) laddove, nel caso di specie, la lite era focalizzata sulla pre -esistenza delle concessioni di cui erano titolare la ricorrente e il RAGIONE_SOCIALE, circostanza sulla quale si è pronunciato (con ampia motivazione volta a individuare i fatti che militavano a favore del giudizio di pre -esistenza della concessione del RAGIONE_SOCIALE) il giudice con la sentenza qui impugnata».
Per la cassazione di tale sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso affidato a un unico motivo.
La RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso, depositando anche la memoria.
L’unit
à di RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il solo motivo di ricorso denunzia ‘violazione dell’art.360, comma 1, n. 5 c.p.c., con riferimento all’art. 111, comma 6 della Costituzione’.
La ricorrente richiama il contenuto letterale del decreto interministeriale del 1938, il quale smentirebbe l’assunto, posto a base della decisione oggetto dell’istanza di revocazione, secondo il quale la concessione ad uso irriguo preesisteva a quella ad uso elettrico, essendo la due concessioni coeve. Si evidenzia che, in tale provvedimento, si legge testualmente: ‘Visto il R.D. 1 giugno 1933 n. 670, con cui furono revocate le concessioni di grande derivazione d’acqua per PRODUZIONE DI RAGIONE_SOCIALE ELETTRICA dall’RAGIONE_SOCIALE in provincia di RAGIONE_SOCIALE, assentite al RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE) con R.D. 5 settembre 1929 n. 7253 e con cui le concessioni stesse furono accordate alla RAGIONE_SOCIALE per se o per RAGIONE_SOCIALE da costituirsi, mentre le concessioni d’acqua ad USO IRRIGUO assentite col citato R.D. 5 settembre 1929 furono partitamente attribuite ai Consorzi partecipanti al RAGIONE_SOCIALE
Ciò posto, la ricorrente sostiene che «se il Giudice della sentenza impugnata per revocazione si fosse avveduto di quanto inequivocabilmente risultante dal documento acquisito agli atti di causa (il decreto interministeriale del 1938 cit.) la decisione sarebbe stata diversa ».
Con il motivo in esame si denunzia ancora il vizio di motivazione apparente, in quanto, con la sentenza impugnata, il TSAP non rende affatto percepibili le ragioni della sua decisione.
Il ricorso è inammissibile. L’errore revocatorio dedotto dinanzi al TSAP consisteva in ciò: il tribunale adito, nel definire in sede di rinvio il giudizio, aveva ritenuto che la concessione ad uso irriguo fosse precedente a quella ad uso elettrico, mentre l’anteriorità dell’una concessione rispetto all’altra sarebbe smentita dal decreto interministeriale del 1938, dal quale risulta, sulla base della sola considerazione del suo contenuto letterale, che le due concessioni, ad uso irriguo e ad uso elettrico, erano sorte contemporaneamente.
Il TSAP, investito dell’istanza di revocazione, ha rigettato il ricorso in forza della motivazione sopra riportata: l’anteriorità dell’una concessione rispetto all’altra costituiva la questione essenziale della controversia, sulla quale la sentenza ha pronunziato, ritenendo che la concessione ad uso irriguo fosse preesistente a quella ad uso elettrico. Con il motivo in esame, si sostiene in primo luogo che la sentenza, qui impugnata, incorre nel vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n.5, c.p.c. di omesso esame di un fatto decisivo, identificato nel contenuto letterale del già menzionato decreto del 1938.
In questo senso, il motivo si condanna da sé, perché il denunziato vizio di omesso esame riguarderebbe non il fatto (il rapporto cronologico fra le diverse concessioni), oggettivamente considerato dalla decisione, ma un elemento istruttorio (il documento che lo comprovava). È pacifico nella giurisprudenza di questa Suprema corte che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (Cass. n, 28887/2019; n. 2498/2015; S.U. n. 8053/2914). Ma al di là di questo rilievo, già sufficiente a giustificare l’inammissibilità dell’unico motivo di ricorso, si deve aggiungere che la censura non coglie la ratio decidendi . Il TSAP ha rigettato l’istanza di revocazione non perché abbia condiviso il giudizio in fatto, proposto nella sentenza impugnata, sul rapporto cronologico fra le due concessioni, ma perché ha ritenuto che il ‘fatto’ a cui la ricorrente riferiva l’errore denunziato (l’anteriorità dell’una concessione rispetto all’altra) costituisse punto controverso della decisione, mancando quindi i presupposti della revocazione.
Consegue da tali considerazioni che il denunziato vizio di omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, c.p.c., non sussistente in concreto in rapporto all’oggetto della supposta omissione (che non è
un fatto, ma un elemento istruttorio), non è ravvisabile già in linea di principio in rapporto alla ratio decidendi , che si esaurisce nella negazione dei presupposti della revocazione per una ragione del tutto diversa e indipendente da qualsiasi considerazione del provvedimento del 1938. Tale ragione, infatti, è esclusivamente riferita, da un lato, all’oggetto della lite (‘ focalizzata sulla pre -esistenza delle concessioni di cui erano titolare la ricorrente e il RAGIONE_SOCIALE ‘), dall’altro, al contenuto della decisione impugnata, nel cui ambito la pre -esistenza della concessione è stata considerata « circostanza sulla quale si è pronunciato (con ampia motivazione volta a individuare i fatti che militavano a favore del giudizio di pre -esistenza della concessione del RAGIONE_SOCIALE) il giudice con la sentenza qui impugnata ».
Nello stesso tempo le considerazioni che precedono, circa la ratio univoca della decisione impugnata, rendono palese anche l’insussistenza del denunziato vizio di motivazione apparente, peraltro impropriamente dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. e non invece quale causa di nullità della sentenza ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass. n. 20648/2015). Vale il principio secondo il quale il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico -giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020; n. 27112/2008; S.U. n. 22232/2016). Nel caso in esame, invece, come sopra chiarito, la motivazione della sentenza rende perfettamente percepibili le ragioni del decisum , consistenti, appunto, nell’avere il TSAP ritenuto che il supposto errore ineriva a un fatto controverso, oggetto di pronunzia. Si deve ancora aggiungere che tali argomentazioni non soltanto sono
obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, ma sono in linea di principio anche del tutto corrette. Ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., infatti, rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. n. 9527/2019; n. 27094/2011).
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno di essi, in € 5.000, 00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200, 00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili