Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1450 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1450 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
R.G.N. 23226/21
C.C. 13/12/2023
Appalto -Corrispettivo -Revocazione
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione (iscritto al N.R.G. 23226/2021) proposto da:
Fallimento della RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA, in persona del suo curatore pro -tempore , rappresentato e difeso, in forza di decreto autorizzativo del Giudice delegato del 30 luglio 2021, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali ex soci della cancellata RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA;
-intimati – avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 7061/2021, pubblicata il 12 marzo 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 dicembre 2023 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 14 marzo 2009, il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Genova, la RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna al pagamento di euro 111.816,91, a titolo di corrispettivo dei lavori ottenuti in subappalto, relativi alla costruzione di un autosilo ubicato nel Comune di Bogliasco.
La RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio, assumendo che la controparte aveva abbandonato il cantiere e aveva così ritardato l’ultimazione delle opere. Proponeva, pertanto, domanda riconvenzionale volta ad ottenere il risarcimento del danno provocato dai maggiori oneri sostenuti per riappaltare le opere, dalle penali addebitategli dalla committente principale, dal prezzo delle forniture non onorate dalla società attrice.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1968/2013, depositata il 12 giugno 2013, rigettava la domanda principale e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava la Curatela fallimentare al pagamento, in favore della COGNOME, della somma di euro 55.870,56.
2. -Proponeva appello il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE mentre la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE rimaneva contumace.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 463/2016, pubblicata il 26 aprile 2016, respingeva l’appello e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia impugnata.
Al riguardo, la pronuncia della Corte territoriale rilevava: – che il corrispettivo dell’appalto non era pari ad euro 274.873,59, come fissato con l’atto di ‘conferma prezzi’ del 12 settembre 2006, ma all’importo di euro 236.926,00, come previsto dal successivo contratto del 10 ottobre 2006, atto che conteneva la definitiva regolazione degli interessi dei contraenti; – che sussisteva, inoltre, la prova dell’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, poiché quest’ultima aveva abbandonato il cantiere senza che, alla scadenza del termine contrattuale del 30 giugno 2007, i lavori fossero stati ultimati; – che non aveva poi rilievo che il subappalto fosse antieconomico, essendo la RAGIONE_SOCIALE consapevole, fin dall’inizio, di quanto avrebbe ottenuto dall’esecuzione del contratto, non giustificandosi alcun ritardo o inadempimento; – che il consulente tecnico d’ufficio aveva correttamente calcolato l’importo spettante alla COGNOME (di euro 55.870,56), quale differenza tra il corrispettivo del subappalto (pari ad euro 202.599,59), le somme percepite in acconto (pari ad euro 167.256,68), gli importi di cui alle fatture relative al nono e decimo RAGIONE_SOCIALE, il costo occorrente per ultimare le opere e gli importi delle penali addebitati alla COGNOME; – che la responsabilità per la mancata esecuzione dei lavori era imputabile ad entrambe le parti nella misura del 50% ciascuna, poiché il
ritardo dei lavori, da cui era scaturito l’addebito delle penali da parte della committente principale, era stato determinato non solo da un insufficiente impiego dei mezzi da parte della subappaltatrice, ma anche dal ritardo nei pagamenti da parte della COGNOME; che dall’importo contrattuale non poteva esser detratta la somma di euro 11.406,20, trattenuta dalla COGNOME a garanzia per eventuali vizi, poiché la restituzione di tali importi doveva aver luogo al momento del collaudo, da effettuare entro 180 giorni dall’ultimazione delle opere, mentre i lavori erano rimasti incompiuti; – che la penale contrattuale doveva essere calcolata sul valore complessivo dei lavori e non su quello dei lavori affidati in subappalto, poiché le parti avevano inteso adottare i medesimi criteri di calcolo previsti nel contratto principale (1/1000 del valore dei ‘lavori finali’); – che alla subcommittente spettava l’intero costo dei lavori residui e non solo i maggiori oneri sostenuti.
3. -Avverso tale pronuncia chiedeva la cassazione il fallimento della RAGIONE_SOCIALE con ricorso affidato a nove motivi.
Rimaneva intimata la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
Questa Corte, con l’ordinanza di cui in epigrafe, accoglieva il terzo e l’ottavo motivo, rigettava il primo, il secondo, il sesto e il settimo motivo, dichiarava assorbiti il quarto e il nono motivo e dichiarava inammissibile il quinto motivo, cassando la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Genova.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di legittimità rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la prima
censura, in evidente violazione dei requisiti di specificità dell’impugnazione, non riportava, neanche per sintesi, il contenuto della ‘conferma prezzi’ del 12 settembre 2006, ad eccezione dell’indicazione del prezzo e appunto della data, con la conseguenza che, attesa la natura sostanziale del vizio denunciato, era precluso, in sede di legittimità, l’esame diretto del documento e la verifica della circostanza dedotta dalla sentenza impugnata, secondo cui solo il successivo contratto del 10 ottobre 2006 contenesse una regolazione definitiva dei rapporti tra le parti e fosse, quindi, munito dei medesimi requisiti di completezza valorizzati dalla sentenza, quanto alla fissazione delle penali, dei termini di ultimazione delle opere, del regime delle trattenute a garanzia; b ) che, sul punto, la pronuncia impugnata aveva specificamente evidenziato che il precedente fax non poteva sostituirsi alle chiare pattuizioni contrattuali che disciplinavano espressamente il rapporto negoziale; c ) che la Corte di merito aveva altresì chiarito che la data del 4 aprile 2006 ( recte del 4 settembre 2006), che figurava nel contratto, era da intendersi, non già come momento perfezionativo del subappalto, ma come mero richiamo ad una fase delle trattative, nel corso delle quali il corrispettivo era stato fissato in euro 236.962,00, giustificando in tal modo le ragioni per le quali la data apposta in calce al documento dovesse ritenersi un dato letterale univoco, tale da rendere inammissibile e comunque non necessario il ricorso a criteri sussidiari di interpretazione del contratto; d ) che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni utilizzate, avesse rivelato con chiarezza e univocità la volontà dei contraenti e non vi fosse stata divergenza tra la lettera e lo spirito della
convenzione, una diversa interpretazione non era più consentita, competendo inoltre al giudice di merito valutare la sufficienza dell’elemento letterale, con apprezzamento censurabile solo sul piano della motivazione; e ) che, in ogni caso, la pronuncia aveva altresì considerato decisiva la definitiva cristallizzazione dei contenuti negoziali, giunta all’esito delle trattative avviate sin dal 4 settembre 2006, e l’idoneità della scrittura del 10 ottobre 2006 a valere come regolazione completa del rapporto negoziale, caratteri che la Corte distrettuale aveva ritenuto carenti nella conferma dei prezzi del settembre 2006; f ) che la Corte d’appello, nel sottolineare che l’appalto principale conteneva una clausola penale di contenuto del tutto analogo a quella prevista nel subappalto, aveva valorizzato la volontà di accollare al subappaltatore le conseguenze pregiudizievoli che la stessa committente avrebbe subito -e che aveva, in effetti, subito -a causa del ritardo nell’esecuzione dei lavori, responsabilizzando , in tal senso, la ricorrente in merito alle conseguenze cui si sarebbe andati incontro, particolarmente onerose, specie in rapporto al prezzo del subappalto, in modo da disincentivare condotte inadempienti, e ciò proprio in applicazione dei criteri di interpretazione teleologica del contratto; g ) che le conclusioni raggiunte si rendevano plausibili anche in considerazione dell’autonomia di cui la ricorrente disponeva nell’esecuzione del contratto e della ridotta possibilità della resistente di incidere ult eriormente sui tempi di avanzamento dell’appalto, oltre che con l’inciso contenuto nel contratto, che valorizzava non già l’importo dei lavori subappaltati, ma quello dei ‘lavori finali’, quale base di calcolo a percentuale della penale; h ) che il fatto che in altre
clausole contrattuali fossero presi in considerazione i lavori tout court , senza ulteriori precisazioni, non poteva inficiare le conclusioni raggiunte, non risultando reiterato altrove nella scrittura il riferimento ai ‘lavori finali’, formula spiegabile proprio in quanto mutuata dal contratto principale ed essendo del tutto ovvia la semplice menzione dei lavori, senz’altra puntualizzazione, laddove si era trattato, ad esempio, di fissare i termini di esecuzione del subappalto; i ) che l’autonomia che connotava il subappalto, rispetto all’appalto principale, non valeva a scindere il collegamento, anche fattuale ed economico, che intercorreva tra i due rapporti, rendendo del tutto ammissibile che le parti potessero liberamente recepire le prescrizioni dell’uno nel contenuto del contratto derivato.
4. -Avverso tale ordinanza di legittimità ha proposto ricorso per revocazione, affidato a quattro motivi, il fallimento della RAGIONE_SOCIALE
Sono rimasti intimati COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali ex soci della cancellata RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, c.p.c., l’errore revocatorio dell’ordinanza impugnata, per avere rigettato il primo motivo di ricorso per cassazione sul fallace presupposto che non fosse stato trascritto, né richiamato, il contenuto della ‘conferma prezzi’ del 12 settembre 2006, che prevedeva un prezzo complessivo a misura di euro 274.873,59, attribuendo, viceversa, prevalenza al contenuto del contratto di subappalto prodotto in
giudizio dalla COGNOME, che prevedeva un prezzo a corpo di euro 236.926,00, cifra che peraltro nel contratto risultava modificata di pugno, senza alcuna specifica approvazione per iscritto delle parti.
L’istante obietta che, nel corpo del ricorso di legittimità, il contenuto della ‘conferma prezzi’ non era stato trascritto per intero, ma specificamente richiamato, con indicazione del momento e del luogo in cui era stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio, nonché allegato al relativo ricorso in un apposito ‘fascicoletto’, per non sovradimensionare il contenuto dell’atto introduttivo.
E, d’altronde, nel corpo del ricorso di legittimità gli elementi richiamati della ‘conferma prezzi’ del 12 settembre 2006 non sarebbero stati rappresentati esclusivamente dalla data e dall’importo in essa indicati, in quanto era stato altresì specificato: – che tale conferma era stata controfirmata da entrambe le parti e scambiata a mezzo fax; – che essa indicava proprio ‘le singole tipologie di lavori’ che erano state riportate sui S.A.L. redatti dalla Riggio; che prevedeva ‘specifici importi pattuiti a misura’ per ogni tipologia di lavorazione; – che, in particolare, ‘per i pali retropercussione 220’ era previsto un corrispettivo di euro 52,00; che ancora ‘per i lavori di scavo e trasporto in discarica’ era previsto un prezzo di euro 19,00 al metro cubo.
Aggiunge il ricorrente che l’errore descritto sarebbe stato di natura percettiva e sarebbe stato altresì decisivo, oltre a non avere formato oggetto di discussione tra le parti, atteso che il fax non valutato avrebbe contenuto una modifica alla sola clausola
relativa alla fissazione del prezzo e sarebbe stato successivo alla stipulazione del subappalto, che doveva farsi risalire al 4 settembre 2006 e non già al 10 ottobre 2006, in quanto, a fronte dell’indicazione di due date differenti riportate nel contratto, l’interpretazione complessiva doveva far propendere per la stipulazione nella prima data menzionata, in ragione della previsione dell’inizio dei lavori per il 18 settembre 2006 e del richiamo del contratto nel piano di sicurezza del 2 ottobre 2006.
Sicché sarebbe apodittica l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui, benché la data del 4 settembre 2006 fosse stata riportata in caratteri maiuscoli e in grassetto nel testo del contratto, quale momento in cui lo stesso era stato convenuto e stipulato, essa dovesse intendersi riferita alle mere trattative intercorse in tale data.
1.1. -Il motivo di revocazione è inammissibile.
E tanto sia perché nessun errore ricorre sulla mancata integrale trascrizione della conferma dei prezzi del 12 settembre 2006 (secondo lo stesso assunto del ricorrente), sia perché, in ogni caso, l’omesso riferimento all’integrale contenuto di tale fax non ha avuto una portata decisiva nel rigetto del primo motivo, avendo la Corte recepito il dato riportato dalla pronuncia d’appello, secondo cui doveva rilevarsi che la data del 4 settembre 2006 riportata nel subappalto si riferisse al solo avvio delle trattative e che, invece, il contratto si fosse perfezionato il 10 ottobre 2006, ossia successivamente al fax del 12 settembre 2006, con regolazione completa del rapporto negoziale, caratteri che invece erano carenti nella conferma prezzi del 12 settembre 2006.
Peraltro, sempre ripercorrendo la tesi del ricorrente, l’errore si sarebbe appuntato precipuamente sull’interpretazione di tale conferma prezzi e, quindi, avrebbe avuto una portata valutativa in diritto e non già percettiva in fatto, con la conseguente inesistenza della fattispecie di cui all’art. 395, n. 4, c.p.c.
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 30994 del 27 dicembre 2017) hanno, da ultimo, ulteriormente chiarito -con precipuo riguardo al mezzo della revocazione delle pronunce della Suprema Corte -che, in sintesi estrema, la combinazione degli artt. 391bis e 395, n. 4, c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza ( recte della decisione) di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione.
Siffatta ricostruzione è avallata, per un verso, dalla Corte di giustizia UE, la quale ha precisato, con riferimento all’effettività della tutela giudiziaria, che le decisioni giurisdizionali, divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili (o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi), non possono più essere rimesse in discussione; e ciò al fine di garantire sia la stabilit à del diritto e dei rapporti giuridici, sia l’ordinata amministrazione della giustizia (Corte giust. Decisione 03/09/2009, in causa C-2/08, RAGIONE_SOCIALE; Decisione 30/09/2003, in causa C-224/01, Kobler; Decisione 16/03/2006, in causa C234/04, Kapferer).
Per altro verso, detti approdi nomofilattici trovano univoco riscontro nella giurisprudenza costituzionale (Corte cost., Sentenza n. 89 del 05/05/2021; Sentenza n. 207 del 09/07/2009; Sentenza n. 36 del 31/01/1991; Sentenza n. 17 del
30/01/1986), la quale segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità in ordine ai soli casi di ‘sviste’ o di ‘puri equivoci’ e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, cos ì recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395, n. 4, c.p.c., anche rispetto alla svolta normativa in direzione di un più ampio controllo.
Pertanto, il giudice, all’esito della verifica dell’integrazione di un errore di fatto (sostanziale o processuale), esposto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della pronuncia impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale, in ragione del quale, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; solo ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logicogiuridica (e non già storica), il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 31094 del 08/11/2023; Sez. 5, Ordinanza n. 18145 del 26/06/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 8051 del 23/04/2020; Sez. L, Sentenza n. 28143 del 05/11/2018; Sez. 1, Sentenza n. 6038 del 29/03/2016; Sez. 2, Sentenza n. 3935 del 18/02/2009).
Nella fattispecie, l’asserita svista sul contenuto della ‘conferma’ prezzi’ del 12 settembre 2006 è diretta ad ottenere una nuova valutazione sulla prevalenza della pattuizione
successiva del 10 ottobre 2006, alla stregua del mero avvio delle trattative il 4 settembre 2006.
2. -Con il secondo motivo il ricorrente si duole, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, c.p.c., dell’errore revocatorio consistente nell’omesso esame del motivo di ricorso relativo alla mancata approvazione per iscritto della modifica apportata di pugno al prezzo indicato nel contratto di subappalto.
Sostiene il ricorrente che, nel ritenere inammissibile il primo motivo, la Corte di cassazione avrebbe omesso di considerare che, nell’ambito dello stesso, era stata formulata una censura che, seppure collegata alle altre formulate nello stesso mezzo, si sarebbe configurata quale autonomo motivo di ricorso, essendo da sola sufficiente a legittimare la cassazione della pronuncia impugnata.
E ciò con riferimento alla negazione di alcun valore del corrispettivo dei lavori indicato nel contratto di appalto prodotto dalla COGNOME, pari ad euro 236.926,00, in quanto tale importo sarebbe stato inserito e successivamente modificato di pugno, senza alcuna specifica approvazione per iscritto della modifica così operata: vi sarebbe stata, infatti, solo la sottoscrizione su tutti i bordi pagina, mentre sarebbe mancata la sottoscrizione sulla postilla in calce al contratto, riportante il corrispettivo in lettere per esteso.
Sicché indebitamente sarebbe stato modificato di pugno l’importo totale da euro 26.926,00 ad euro 26.926,00, modifica non vincolante tra le parti per difetto di specifica sottoscrizione della correzione.
2.1. -La censura è inammissibile.
Nessuna omissione di tale obiezione è dato ravvisare nell’ordinanza oggetto di revocazione, posto che, nel sintetizzare le ragioni della doglianza, il provvedimento di legittimità, a pagina 4, punto e), ha fatto espresso riferimento alla ragione esposta dal ricorrente, secondo cui i prezzi del contratto sarebbero stati modificati a mano, senza alcuna sottoscrizione di conferma.
All’esito, questa Corte ha comunque disatteso il primo motivo del ricorso in cassazione a suo tempo proposto, convalidando l’interpretazione resa dalla Corte d’appello che aveva fatto riferimento alla lettera del contratto, rispettando lo spirito della convenzione, escludendo che la valutazione del giudice di merito sulla sufficienza dell’elemento letterale fosse apprezzamento censurabile in sede legittimità, se non sul piano della motivazione.
Pertanto, non sussiste alcun errore di percezione sotto il profilo omissivo.
Ora, l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2236 del 26/01/2022; Sez. 5, Sentenza n. 26890 del 22/10/2019; Sez. 5, Sentenza n. 442 del 11/01/2018),
condizione che, per quanto anzidetto, non è stata integrata nella fattispecie.
3. -Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, c.p.c., l’errore revocatorio rappresentato dalla circostanza che l’ordinanza di legittimità avrebbe rigettato il sesto motivo in base all’erronea supposizione che la clausola penale del contratto di subappalto contenesse un espresso riferimento ai ‘lavori finali’ appaltati dalla committente principale alla Riggio.
Per converso, ad avviso dell’istante, il contratto avrebbe fatto riferimento ad una penale pari all’1/1000 del ‘valore finale’ dei lavori, senza alcuna indicazione ulteriore, il che non poteva che intendersi riferito ai lavori subappaltati dalla Riggio alla RAGIONE_SOCIALE
Con l’effetto che tale indebito richiamo ai ‘lavori finali’ sarebbe stato decisivo.
3.1. -La doglianza è inammissibile.
E tanto perché la conclusione in forza della quale l’importo della penale concordata nel subappalto avrebbe dovuto essere commisurato al valore finale dei lavori oggetto dell’appalto principale è stata tratta, non già dal solo richiamo alla locuzione ‘lavori finali’, anziché ‘valore finale’ dei lavori, ma anche dallo specifico riferimento ad ulteriori aspetti, reputati dirimenti, quali: stessa committente avrebbe subito a causa del
il fatto che le parti avessero inteso valorizzare la volontà di accollare al subappaltatore le conseguenze pregiudizievoli che la ritardo nell’esecuzione dei lavori, responsabilizzando in tal senso la ricorrente in merito alle conseguenze cui sarebbe andata incontro (particolarmente onerose, specie in rapporto col prezzo del
subappalto), in modo da disincentivare condotte inadempienti, e ciò proprio in applicazione dei criteri di interpretazione teleologica del contratto; il richiamo all’autonomia di cui la ricorrente disponeva nell’esecuzione del contratto e alla ridotta possibilità della resistente di incidere ulteriormente sui tempi di avanzamento dell’appalto; – il collegamento, anche fattuale ed economico, che intercorre tra i rapporti, che avrebbe reso del tutto ammissibile che le parti potessero liberamente recepire le prescrizioni dell’uno nel contenuto del contratto derivato; – in ultimo, l’inciso di cui al contenuto del contratto, in cui si riportava il riferimento ai ‘lavori finali’, anziché all’importo dei lavori subappaltati.
In aggiunta, il riferimento al ‘valore finale’ dei lavori, anziché ai ‘lavori finali’, oltre a non assumere una portata decisiva, postula una chiara valutazione sull’interpretazione del subappalto.
4. -Con il quarto motivo il ricorrente prospetta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4, c.p.c., l’errore revocatorio costituito dall’omesso esame del motivo di ricorso relativo all’erronea quantificazione della penale applicata dalla committente principale alla Riggio e ribaltata sulla I.S.E. al 50%.
Deduce il ricorrente che, nel corpo del sesto motivo, era stato specificato che, in ragione della ritenuta corresponsabilità al 50% del ritardo nell’ultimazione dei lavori, la RAGIONE_SOCIALE aveva subito un addebito secco di euro 52.750,00, a fronte di lavori esenti da vizi determinati in circa euro 200.000,00, mentre la COGNOME, a fronte di lavori iniziali di ammontare pari a circa euro 800.000,00, aveva subito una detrazione di circa euro 93.000,00, che -una
volta scomputato l’importo di euro 52.750,00 non pagato alla RAGIONE_SOCIALE -avrebbe comportato un pregiudizio effettivo di soli euro 40.000,00.
4.1. -Il motivo -la cui farraginosa articolazione ne rende difficile la comprensione -è inammissibile.
Ed invero, tramite il sesto motivo, non è stato affatto contestato il criterio percentuale di determinazione della corresponsabilità del ritardo nell’ultimazione dei lavori tra la RAGIONE_SOCIALE e la Riggio, bensì l’interpretazione data del contratto di subappalto dai giudici di merito, secondo cui la penale che la subappaltatrice si impegnava a corrispondere nel caso di ritardo sarebbe stata commisurata all’importo della penale di cui al contratto di appalto principale, anziché nella misura pari a 1/1000 del valore finale dei lavori subappaltati.
Con la conseguenza che nessuna omissione nella disamina di un asserito sub-motivo risulta avvenuta.
5. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite, poiché le controparti del ricorrente sono rimaste intimate.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara l’inammissibilità del ricorso per revocazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda