Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3832 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 3832 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 6700-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
REGIONE PUGLIA;
– intimata – avverso l’ordinanza n. 26270/2023 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 11/09/2023 R.G.N. 5534/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Oggetto
R.G.N. 6700/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 11/12/2024
CC
La Corte d’appello di Bari, accogliendo il gravame proposto dalla Regione Puglia, rigettava l’opposizione spiegata da RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza di ingiunzione di pagamento emessa a carico della opponente in data 14/9/2004. Le somme oggetto di ingiunzione erano chieste a titolo di restituzione del contributo erogato dalla Regione Puglia a fronte dell’obbligo assunto dalla società di assumere sette disabili, obbligo rimasto inadempiuto.
Avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Con sentenza n. 26270/2023 la Corte di cassazione rigettava il ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato per revocazione la decisione sulla base di due motivi; l’intimata Regione Puglia ha resistito con controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo del ricorso per revocazione parte ricorrente deduce violazione dell’art. 395, comma 4 c.p.c. in relazione all’art. 345 c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere escluso che la Corte di appello fosse incorsa nella dedotta viola zione dell’art. 345 c.p.c. per avere preso in considerazione ‘motivi nuovi’ rispetto a quelli originariamente formulati dalla Regione Puglia; tali motivi consistevano nella deduzione che l’inadempimento alla convenzione stipulata con l’ente territoriale, inadempimento all’origine della intimazione di restituzione, concerneva la mancata assunzione di sette disabili, laddove nel giudizio di primo grado l’ente aveva dedotto che il
provvedimento di revoca del finanziamento era connesso alla sola distinzione tra disabile al lavoro e persona inabile al lavoro; l’errata percezione è riferita al fatto che dai documenti allegati al ricorso emergeva che non era possibile fare luogo all’assunzione di disabili nel termine del 30.6.2004 concordato in sede di convenzione, per effetto del sequestro penale che aveva colpito i beni della società (opificio industriale, macchinari).
Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 395 comma 4 c.p.c. in relazione all’art. 15 l. n. 68/1999 nonché dell’art.8 d.p.r. 333/2000 che prevede in relazione all’inadempimento contestato l’applicazione di una sanzione ma non anche la restituzione del finanziamento.
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in
un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, comma primo n. 5, cod. proc. civ.; l’errore revocatorio presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio sul piano logico giuridico, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (v. tra le altre, Cass. n. 16439 del 2021, Cass. n. 22171 del 2010, Cass. n. 8180 del 2009, Cass. n. 14267 del 2007, Cass. n. 4015 del 2006, Cass. n.3652 del 2006). Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di cassazione si è affermato che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale; esula , viceversa, dall’errore revocatorio l’errata valutazione di fatti esattamente rappresentati, con la conseguenza che non risulta viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di Cassazione nella quale il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso per motivi attinenti al merito delle questioni ed a valutazioni di diritto, e segnatamente alla asserita erronea applicazione di norme processuali,
vertendosi, in tali casi, su errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione ( cfr. fra le altre, Cass. n. 1040 del 2022, Cass. n. 442 del 2018, Cass. 16136 del 2009, Cass. n. 3365 del 2009, Cass. Sez. Un. n. 26022 del 2008).
3.2. Tanto premesso, in applicazione dei richiamati parametri deve affermarsi la inammissibilità del primo motivo di ricorso per revocazione risultando a tal fine dirimente la considerazione che il tema della violazione da parte del giudice di appello dell’art. 345 c.p.c. ( per essersi espresso anche in relazione a questione attinenti al preteso inadempimento della società, asseritamente non formulate in primo grado) ha costituito un punto controverso sul quale il giudice di legittimità ha specificamente pronunziato, disattendendo le censure a riguardo formulate con il primo motivo del ricorso per cassazione (sentenza, pagg. 3 e sg.), incentrato su tale specifico profilo.
3.3. Analogamente deve ritenersi in relazione al secondo motivo, sia perché l’errore revocatorio è prospettato, come non consentito alla luce dei principi richiamati, con riferimento ad un profilo valutativo relativo alla idoneità delle ragioni di doglianza articolate con il secondo motivo di ricorso per cassazione alla valida censura della decisione sul punto, sia perché, comunque, la questione di diritto sottesa al motivo in esame risulta affrontata nel merito dal giudice di legittimità nel senso che è stato ritenuto che le sanzioni previste dalle norme della legge n. 68/89 sull’assunzione dei lavoratori disabili, non potessero comunque spiegare influenza sulla sussistenza dell’obbligo
restitutorio connesso all’inadempimento dell’obbligo assunto con la convenzione dalla società.
All’inammissibilità del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite, liquidate in ragione del valore della causa indicato in ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 12.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, 11 dicembre 2024