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Errore materiale: quando la richiesta è inammissibile

La socia di una società ha richiesto alla Corte di Cassazione la correzione di un presunto errore materiale in una precedente ordinanza, lamentando la mancata enunciazione di un principio di diritto. La Corte ha dichiarato la richiesta inammissibile, specificando che la procedura per errore materiale serve a correggere sviste formali e non a contestare il contenuto sostanziale della decisione. Di conseguenza, la ricorrente è stata condannata al pagamento di una somma a titolo di sanzione.

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Errore Materiale: Limiti e Inammissibilità della Correzione secondo la Cassazione

Nel processo civile, lo strumento della correzione dell’errore materiale è concepito per sanare sviste meramente formali presenti in un provvedimento giudiziario. Tuttavia, il suo utilizzo è strettamente circoscritto e non può diventare un pretesto per rimettere in discussione il merito della decisione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con chiarezza questi confini, dichiarando inammissibile un’istanza che, dietro la parvenza di una richiesta di correzione, celava una critica al contenuto concettuale della pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dall’istanza presentata dalla socia illimitatamente responsabile di una società, la quale aveva chiesto alla Corte di Cassazione di correggere, d’ufficio, un’ordinanza precedentemente emessa. Secondo la ricorrente, la Corte, nel pronunciarsi su una richiesta di revocazione, aveva omesso di enunciare il principio di diritto ai sensi dell’art. 363 c.p.c., nonostante ciò fosse stato esplicitamente richiesto. La parte istante sosteneva che tale omissione costituisse un errore materiale da emendare.

La Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso per correzione di errore materiale palesemente inammissibile. I giudici hanno chiarito che l’istanza presentata non mirava a correggere una divergenza tra il pensiero del giudice e la sua espressione grafica, ma a contestare una scelta di merito, ovvero la mancata enunciazione di un principio di diritto. Di conseguenza, la Corte ha condannato la ricorrente al pagamento di una somma di € 5.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su una distinzione netta tra l’errore materiale e il vizio di merito o di procedura. I punti chiave delle motivazioni sono i seguenti:

La Natura dell’Errore Materiale

L’errore materiale suscettibile di correzione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., riguarda esclusivamente la manifestazione esteriore del pensiero del giudice. Si tratta di una divergenza fortuita tra il giudizio e la sua espressione letterale, causata da una svista o disattenzione nella redazione dell’atto. Questo errore deve essere percepibile ictu oculi, ovvero a prima vista, senza necessità di un’analisi complessa del ragionamento giuridico. Nel caso di specie, la lamentela non riguardava una svista formale, ma un’omessa pronuncia su un punto specifico, che attiene al contenuto concettuale e sostanziale della decisione. Tale doglianza non può trovare spazio nella procedura di correzione.

La Funzione Nomofilattica della Cassazione

I giudici hanno inoltre precisato che l’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge (ex art. 363 c.p.c.) è un istituto di natura nomofilattica, sottratto alla disponibilità delle parti. Non è un diritto che la parte può pretendere, ma una facoltà che la Corte può esercitare d’ufficio, o su richiesta del Procuratore Generale, quando ritiene che una questione decisa, seppur nell’ambito di un ricorso inammissibile, rivesta particolare importanza. Tentare di ottenere tale enunciazione tramite la procedura di correzione di errore materiale rappresenta un uso improprio dello strumento processuale.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza il principio secondo cui la procedura di correzione dell’errore materiale non è una via d’appello mascherata. Le parti non possono utilizzarla per contestare il ragionamento del giudice o per rimediare a presunte omissioni che attengono al merito della controversia. In secondo luogo, la decisione sottolinea che l’abuso di questo strumento processuale comporta conseguenze sanzionatorie, come la condanna al pagamento di una somma alla cassa delle ammende. Infine, viene ribadita la natura discrezionale della funzione nomofilattica della Corte: l’enunciazione di un principio di diritto non è un obbligo, ma una prerogativa esercitata dalla Corte nell’interesse superiore della legge e della sua uniforme interpretazione.

Quando si può chiedere la correzione di un errore materiale?
La correzione di un errore materiale può essere richiesta solo per emendare sviste o disattenzioni puramente formali nella redazione di un provvedimento (ad esempio, errori di calcolo, di trascrizione di nomi o date), che creano una divergenza tra il pensiero del giudice e la sua espressione scritta, percepibile a colpo d’occhio.

La mancata enunciazione di un principio di diritto da parte della Cassazione è un errore materiale?
No. Secondo la Corte, l’omessa enunciazione di un principio di diritto non costituisce un errore materiale, ma attiene al contenuto concettuale e sostanziale della decisione. Non è una svista formale, ma una scelta che riguarda il merito del giudizio e non può essere contestata tramite la procedura di correzione.

Cosa succede se si utilizza impropriamente la procedura di correzione per errore materiale?
L’uso improprio di tale procedura, ad esempio per contestare il merito di una decisione, porta alla dichiarazione di inammissibilità dell’istanza. Inoltre, come nel caso di specie, può comportare la condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione per l’abuso dello strumento processuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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