Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5158 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5158 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32564-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 659/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 21/03/2019;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 20.9.2012 RAGIONE_SOCIALE, successivamente fusa per incorporazione in RAGIONE_SOCIALE, evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Catania, rivendicando la proprietà di un terreno acquistato con atto del 20.7.2010 a rogito del notar COGNOME, rep. 43702, racc. 7896.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, eccependo l’esistenza di un errore materiale nell’atto di compravendita di cui anzidetto e chiedendone, in via riconvenzionale, la correzione, ovvero la dichiarazione di parziale nullità, o in subordine l’annullamento per errore incidente sull’oggetto compravenduto, nonché instando per il risarcimento del danno.
Il contraddittorio veniva esteso nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, creditore ipotecario a fronte del mutuo concesso alla società attrice, il quale si costituiva aderendo alla domanda principale di correzione proposta da RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 3856/2017 il Tribunale rigettava la domanda proposta dalla parte attrice ed accoglieva la riconvenzionale, accertando l’esistenza dell’errore nell’atto di compravendita del 2010, dichiarando l’esclusione dalla vendita di alcune particelle e condannando l’attrice al risarcimento del danno.
Con la sentenza impugnata, n. 659/2019, la Corte di Appello di Catania accoglieva in parte sia il gravame principale che quello incidentale proposti avverso la decisione di prime cure, riducendo il risarcimento del danno a carico dell’odierna ricorrente e dichiarando nulla la sentenza di prime cure, nella parte in cui aveva accertato che la particella 681 sub. 65 del foglio 9 del NCEU del Comune di Catania costituiva corte comune agli immobili di cui alla particella 681, sub. 31, 34, 39, 42, 45, 48, 51, 54, 55, 59, 60, 61, 62 nonché dal 72 al 91, tutti compresi nell’edificio identificato con la lettera ‘B’.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a tre motivi.
Resistono con separati controricorsi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta, con un primo profilo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1433 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato il contratto di cui è causa, non attribuendo rilievo al dato testuale. Ad avviso della ricorrente, con il contratto di vendita del 2010 le parti si erano chiaramente accordate per il trasferimento della particella 681, onde la
Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere insussistente la volontà, rispettivamente, di alienare, ed acquistare, detta particella nella sua interezza.
Con un secondo profilo, la ricorrente si duole invece della violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte territoriale, pur avendo affermato di voler procedere ad una interpretazione complessiva dei dati desumibili dalla sequenza tra contratto preliminare, contratto definitivo e coeva transazione, avrebbe poi ritenuto, sulla base di motivazione meramente apparente, che l’espressione contenuta nella transazione, che rinviava per l’identificazione degli immobili al rogito definitivo, si riferisse a beni diversi da quelli poi costituenti oggetti del rogito stesso.
La censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.
La Corte di Appello ha richiamato la motivazione resa dal Tribunale, secondo cui le parti avevano voluto, con l’atto definitivo di compravendita del 30.7.2010, oggetto di causa, dare esecuzione al contratto preliminare del 10.8.2007, tra di esse precedentemente intercorso. Ha poi aggiunto, a tale rilievo, che l’eventuale inclusione nella compravendita della particella 681, nella sua interezza, avrebbe reso necessaria la costituzione di una servitù di passaggio sulla stessa, o su parte di essa, per accedere al fabbricato ‘B’ ed agli appartamenti in esso compresi, rimasti in proprietà di RAGIONE_SOCIALE (cfr. pagg. 8 e 9 della sentenza impugnata) Inoltre, ha evidenziato che anche nell’atto transattivo coevo alla compravendita era stato espressamente previsto che le parti intendevano dare esecuzione al preliminare del 2007 (cfr. pag. 10 della sentenza) e che il maggior prezzo indicato nel contratto definitivo, rispetto a quello originariamente previsto dal preliminare, era correlato all’accollo, da
parte dell’acquirente, di quanto già versato dalla venditrice alla banca a titolo di interessi di preammortamento sul mutuo, a fronte del ritardo nella compravendita, imputabile alla parte acquirente (cfr. pag. 9 della sentenza). Tanto più che detto maggiore importo corrispondeva a quello portato da alcune fatture, nn. 5/2009, 2/2009 e 3/2009, emesse da RAGIONE_SOCIALE a carico della società odierna ricorrente, solo parzialmente pagate e rimaste insolute, al momento della compravendita, per la somma di € 321.749,51 e stornate, con apposite note di credito del 2.8.2010, proprio per effetto della conclusione del contratto definitivo, il che portava a concludere che nel prezzo di vendita fosse stato computato anche l’importo ancora dovuto a fronte delle suindicate fatture (cfr. pag. 9 della sentenza).
Tale articolata motivazione, lungi dall’essere inferiore al cd. minimo costituzionale, è pienamente idonea a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione, non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica o affetta da irriducibile contrasto logico (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 e Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639, in motivazione).
La Corte catanese, infatti, ha interpretato il contenuto del contratto di compravendita, e ricostruito la volontà delle parti partendo dal dato testuale desumibile dai vari contratti conclusi tra le parti, nell’ambito della sequenza negoziale articolata in preliminare, transazione e definitivo, dando rilievo ad una serie di elementi desumibili dal complesso delle pattuizioni intervenute e pervenendo ad una interpretazione non implausibile. A tale interpretazione la società ricorrente contrappone una differente ed alternativa lettura del dato negoziale, valorizzando in particolare il contenuto del contratto definitivo di compravendita, senza tuttavia considerare che ‘La parte
che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16987 del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24539 del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 25728 del 15/11/2013, Rv. 628585).
Nel caso di specie, come già evidenziato, la complessiva interpretazione del dato negoziale prescelta dalla Corte territoriale non si discosta dal dato letterale, né lo svaluta a favore di altri criteri interpretativi, ma piuttosto si risolve nell’apprezzamento delle complessive risultanze dei vari negozi conclusi tra le parti e nella ricostruzione della loro volontà negoziale proprio sulla base dell’elemento testuale, apprezzato tuttavia non soltanto -come vorrebbe, in sostanza, la parte ricorrente- con riferimento al contenuto del contratto definitivo, bensì in relazione alle prescrizioni risultanti da tutti e tre i negozi inseriti nella sequenza di cui anzidetto.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta invece la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 342 c.p.c., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che l’odierna ricorrente, pur criticando e contestando taluni elementi presuntivi valorizzati dal Tribunale, non avrebbe poi considerato che gli altri fatti valorizzati dal primo giudice erano di sé soli sufficienti ad evidenziare l’esistenza dell’errore nell’atto di compravendita del 30.7.2010 di cui è causa. La società ricorrente, in proposito, lamenta di aver contestato, al contrario, tutti gli elementi indicati dal Tribunale e di aver quindi attinto in modo globale la motivazione resa dal primo giudice. La motivazione con la quale la Corte di Appello ha rigettato il gravame non si confronterebbe in modo adeguato con tale articolata contestazione del ragionamento logico-giuridico seguito dal Tribunale e dunque sarebbe viziata da apparenza. In particolare, la Corte distrettuale non avrebbe dato conto del motivo per cui non sarebbe condivisibile il rilievo, operato dall’odierna ricorrente con i motivi di gravame, che il Tribunale era incorso in un grossolano errore di calcolo, tale da dar luogo ad una differenza di € 139.652,98 tra la somma documentata da RAGIONE_SOCIALE a titolo di interessi di preammortamento sul mutuo e quella che sarebbe stata ‘ribaltata’ sull’odierna ricorrente sotto forma di maggior prezzo indicato nel definitivo (cfr. pag. 19 del ricorso).
La censura è infondata.
Come già evidenziato in occasione dello scrutinio del primo motivo di ricorso, la motivazione sulla cui base la Corte di Appello ha rigettato il gravame non si risolve nel mero rinvio a quella del Tribunale, ma prende atto da quest’ultima, aggiungendovi ulteriori elementi, ritenuti idonei dal giudice di merito a comprovare l’esistenza dell’errore
nell’oggetto della compravendita lamentato da RAGIONE_SOCIALE con la domanda riconvenzionale svolta in prime cure, ed accolta dal Tribunale. La motivazione del rigetto dell’appello, dunque, non è affatto fondata, come sembrerebbe indicare l’odierna ricorrente, sul rilievo che i motivi di gravame non avevano attinto nella sua interezza il ragionamento del primo giudice, ma piuttosto su una complessiva rivalutazione del fatto e delle prove, rispetto alla quale la parte ricorrente contrappone in sostanza una lettura alternativa del dato negoziale e, nel loro complesso, delle risultanze istruttorie.
Sotto il primo profilo, si rinvia ai principi già enunciati in relazione al primo motivo di ricorso; sotto il secondo aspetto, invece, va ribadito che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono
logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Infine, per quanto concerne il rilievo del grossolano errore di calcolo in cui sarebbe incorso il Tribunale, e che non sarebbe stato rilevato dalla Corte di Appello, va osservato che di tale questione non vi è traccia nella sentenza impugnata e la società ricorrente non indica in quale momento del giudizio di merito, e con quale strumento processuale, essa sarebbe stata dedotta. Non è sufficiente, sul punto, quanto indicato in nota 40 a pag. 19 del ricorso, poiché ivi si fa riferimento al contenuto della comparsa conclusionale depositata dall’odierna società ricorrente, e non anche ai motivi di appello; in tal modo non viene dimostrato che la questione oggi dedotta con il motivo in esame fosse stata proposta anche in appello con specifico motivo di gravame.
Con il terzo motivo, invece, la, parte ricorrente lamenta, con un primo profilo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1226 c.c., 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente dato per presupposta l’esistenza di un comportamento colpevole attribuibile all’odierna ricorrente, individuandolo sic et simpliciter nel rifiuto di consentire la correzione del rogito di compravendita, senza tuttavia considerare che, proprio sulla base del contenuto di quel rogito, anche l’odierna ricorrente riteneva, in buona fede, di essere divenuta proprietaria dell’intera particella 681.
Con un secondo profilo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe reiterato l’errore in cui
era già incorso il Tribunale, riconoscendo a RAGIONE_SOCIALE un risarcimento del danno in forma equitativa, sulla base però di criteri di valutazione mai indicati dalla presunta danneggiata. Quest’ultima, infatti, aveva lamentato la mancata conclusione di alcune trattative di vendita ed invocato il risarcimento del danno da perdita di chance , mentre la Corte di Appello le avrebbe riconosciuto il danno derivante dalla differenza di valore tra la vendita del corpo ‘A’ dell’edificio, conclusa con l’odierna ricorrente, e quella del corpo ‘B’, avvenuta tre anni dopo con diverso soggetto.
Con un terzo profilo, la società ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1226 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di merito avrebbe riconosciuto a RAGIONE_SOCIALE il risarcimento del danno in forma equitativa, in assenza dei necessari presupposti. In particolare, la presunta danneggiata non avrebbe fornito la prova delle chances asseritamente perdute, onde nessun danno poteva, in concreto, essere ravvisato.
Con un quarto profilo, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe proceduto alla liquidazione equitativa del danno sulla scorta di una motivazione viziata da apparenza, utilizzando, in particolare, un criterio di valutazione (la differenza tra il prezzo di vendita del corpo ‘A’ e del corpo ‘B’ dell’edificio) mai indicato dalla presunta danneggiata e comunque non idoneo, poiché non considera che l’interesse dell’odierna ricorrente all’acquisto del corpo ‘A’ era legato anche dalla sua estensione e dalla sua prossimità alla sede della clinica.
La censura è parzialmente fondata.
La Corte di Appello ha valorizzato la circostanza che RAGIONE_SOCIALE avesse invitato RAGIONE_SOCIALE, dante causa
dell’odierna ricorrente, con note del 31.1.2012 e del 7.4.2012, a rettificare l’atto pubblico di compravendita, al fine di correggere l’errore commesso nell’indicazione degli estremi catastali del compendio compravenduto, ed ha individuato la causa del danno nel rifiuto della parte acquirente di procedere all’invocata rettifica (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata). Nessun rilievo, al riguardo, ha il fatto che l’odierna ricorrente, o la sua dante causa, si ritenessero legittime proprietarie dell’intera particella 681: una volta accertato, infatti, che la volontà delle parti non era quella di trasferire per intero la proprietà di detto bene, il rifiuto della parte acquirente di acconsentire alla rettifica dell’errore commesso nell’atto di compravendita costituisce atto illecito e giustifica la sua condanna al risarcimento del danno conseguente.
Il primo profilo della doglianza in esame, dunque, è infondato, avendo il giudice di merito correttamente individuato, nel rifiuto di consentire alla rettifica, opposto da RAGIONE_SOCIALE, l’evento causativo del danno risarcibile, posto che la rettifica costituiva, proprio sulla scorta dell’effettiva volontà negoziale delle parti, sostanzialmente un atto dovuto.
Gli ulteriori profili di doglianza, concernenti la quantificazione del danno, sono invece fondati.
La Corte di Appello, infatti, dà atto che RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato di non aver potuto concludere alcune trattative di vendita di porzioni immobiliari comprese nel corpo ‘B’ proprio perché ‘… non aveva la disponibilità giuridica dell’area da destinare a parcheggio (disponibilità che, infatti, era esclusa dal contenuto del contratto definitivo, pur affetto da errore materiale)’ (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza impugnata). Il danno lamentato, dunque, era effettivamente configurabile come danno da perdita di chances
contrattuali, e dunque avrebbe dovuto essere dimostrato anche nella sua entità.
Sotto questo profilo, vanno tenute distinte le chances apprezzabili sotto un profilo patrimoniale, da quelle non suscettibili di valutazione economica. In argomento, si è infatti affermato che ‘Il c.d. modello patrimonialistico, che storicamente ha costituito il riferimento teorico della evoluzione giurisprudenziale in tema di perdita di chance, mal si concilia con la perdita della possibilità di conseguire un risultato migliore sul piano non patrimoniale; la chance patrimoniale, infatti, presenta i connotati dell’interesse pretensivo (mutuando tale figura dalla dottrina amministrativa), e cioè postula la preesistenza di un quid su cui sia andata ad incidere sfavorevolmente la condotta colpevole del danneggiante, impedendone la possibile evoluzione migliorativa, mentre la chance non pretensiva, pur essendo anch’essa rappresentata, sul piano funzionale, dalla possibilità di conseguire un risultato migliorativo della situazione preesistente (segnatamente nel sistema della responsabilità sanitaria), è morfologicamente diversa dalla prima, in quanto si innesta su una preesistente situazione sfavorevole (cioè patologica), rispetto alla quale non può in alcun modo rinvenirsi un quid inteso come preesistenza positiva. Ne consegue che, in sede risarcitoria, il giudice di merito deve inevitabilmente tener conto di tale diversità, sia pure sul piano strettamente equitativo, ai fini della liquidazione del danno’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5641 del 09/03/2018, Rv. 648461). La valutazione equitativa del danno, dunque, si giustifica in relazione alla cd. chance ‘non pretensiva’ , ovverosia non collegata direttamente alla possibilità di un vantaggio patrimoniale, come nel caso dell’aspettativa di vita o di quella lavorativa, mentre in presenza di una chance ‘pretensiva’ , avente un connotato patrimoniale direttamente apprezzabile, il danneggiato è
tenuto a fornire la prova del danno. In proposito, va infatti ribadito che ‘L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante o da perdita di “chance” esige la prova, anche presuntiva, dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11353 del 11/05/2010, Rv. 613000; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4052 del 19/02/2009, Rv. 607021).
La Corte di Appello non si è conformata ai suindicati principi, poiché, dopo aver dato atto che RAGIONE_SOCIALE aveva lamentato soltanto la perdita di alcune trattative di vendita a causa dell’impossibilità di disporre dello spazio a parcheggio (in quanto erroneamente ceduto all’odierna ricorrente), ha determinato il danno risarcibile sulla scorta della differenza di valore tra la vendita del corpo ‘A’ dell’edificio e quella del corpo ‘B’, pur rettificando il valore apprezzato a suo tempo dal Tribunale, senza tuttavia avvedersi:
-da un lato, che la chance della quale il danneggiato aveva lamentato la perdita non riguardava la vendita dell’intero edificio ‘B’, ma soltanto alcune parti di esso;
-dall’altro lato, che l’importo del danno derivante dalla perdita della detta chance non poteva essere riferito ad un evento diverso (la vendita, successiva, del corpo ‘B’ ad altro soggetto), ma avrebbe piuttosto dovuto essere apprezzato con riferimento alla specifica trattativa naufragata per effetto dell’indisponibilità dell’area a parcheggio;
-infine, che l’importo del danno non poteva comunque essere determinato in via equitativa, in presenza della possibilità del danneggiato di documentarne l’esatto importo, mediante la prova della differenza tra il corrispettivo della compravendita progettata,
e non potuta concludere, e l’eventuale alienazione successiva ad un costo inferiore.
La sentenza va quindi riformata in punto di liquidazione del danno, con specificazione dei suindicati criteri, ai quali il giudice del rinvio dovrà attenersi.
In definitiva, vanno rigettati il primo ed il secondo motivo del ricorso, mentre va accolto il terzo, nei limiti di cui in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata, in relazione alla censura parzialmente accolta, e rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione.
PQM
la Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso, accoglie il terzo, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda