Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3362 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3362 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 5601/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, il quale chiede di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avv ocatura Generale RAGIONE_SOCIALEo Stato, presso i cui uffici, siti in Roma alla INDIRIZZO, è ope legis domiciliato.
– controricorrente –
avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte di appello di Roma, n. 823/2024, depositata in data 6/2/2024;
udita la relazione RAGIONE_SOCIALEa causa svolta nella camera di consiglio del 7/2/2025 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione in riassunzione la RAGIONE_SOCIALE chiedeva al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE il pagamento degli importi previsti dalla Convenzione stipulata con la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE per l’affidamento dei servizi di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, assegnati al territorio RAGIONE_SOCIALEa provincia di RAGIONE_SOCIALE.
Deduceva che la Convenzione era stata stipulata il 6/12/2016, a seguito di gara pubblica con bando del 3/8/2016, ma che a partire dal mese di maggio 2017 la RAGIONE_SOCIALE aveva cessato di saldare le fatture emesse dall’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE chiariva che la RAGIONE_SOCIALE aveva bloccato ogni pagamento anche per l’anno 2018, solo in forza di fogli di firma, ossia di raccolte giornaliere RAGIONE_SOCIALEe sottoscrizioni RAGIONE_SOCIALEe persone ospitate nelle strutture convenzionate, relative al periodo maggio-ottobre 2017.
Il credito vantato dalla ricorrente per il periodo maggio 2017novembre 2018 ammontava complessivi euro 1.923.155,30.
Si costituivano in giudizio il RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE evidenziando che «il comportamento RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE era stato gravemente inadempiente, a tutto danno degli immigrati stranieri ospitati in condizioni disumane, condizioni igieniche precarie, mancanza di alimentazione e alloggio adeguato;
a danno altresì RAGIONE_SOCIALEe risorse statali stanziate per tale servizio e pagate dai cittadini».
Proseguivano i convenuti sottolineando anche che «il mancato pagamento RAGIONE_SOCIALEe fatture era stato determinato dalla omessa indicazione, da parte del ‘RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALEe condizioni normative prescritte per la verifica RAGIONE_SOCIALEe prestazioni, in particolare la sottoscrizione dei soggetti ospitati, con irregolarità tali da rendere necessaria la segnalazione alla procura RAGIONE_SOCIALEa Repubblica».
Deducevano che il comportamento RAGIONE_SOCIALEa RAGIONE_SOCIALE era stato gravemente inadempiente a danno degli immigrati stranieri «che sarebbero stati ospitati in condizioni disumane, in condizioni igieniche precarie, con la mancanza di alimentazione ed alloggio adeguato, a danno RAGIONE_SOCIALEe risorse statali stanziate per tale servizio».
Inoltre, aggiungevano che in data 25/10/2018 la RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato all’ente gestore di volersi avvalere RAGIONE_SOCIALEa clausola risolutiva RAGIONE_SOCIALE‘atto pattizio, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 1456 c.c., per grave inadempimento.
Il tribunale di Roma, con ordinanza del 9/12/2020, accoglieva la domanda, condannando la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE, in solido tra loro, al pagamento, a titolo di corrispettivo dovuto per il periodo maggio 2017/novembre 2018, RAGIONE_SOCIALEa somma di euro 1.923.155,30.
In motivazione, il tribunale rilevava che la controversia atteneva esclusivamente alla contestazione da parte dei convenuti in ordine alla regolarità RAGIONE_SOCIALEe sottoscrizioni, tra l’altro esclusivamente per il periodo da maggio ad ottobre del 2017 («la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto RAGIONE_SOCIALE‘avversa domanda, contestando la debenza RAGIONE_SOCIALEe somme richieste per una asserita irregolare produzione RAGIONE_SOCIALEa documentazione a sostegno, quantomeno nel periodo maggio-ottobre 2017»).
Al contrario – ad avviso del tribunale – «[e]sulano, quindi, dalla presente decisione tutte le questioni relative alle modalità con le quali l’RAGIONE_SOCIALE ha provveduto alla prestazione del servizio di assistenza e alle eventuali responsabilità riscontrabili (oggetto di indagine penale, peraltro, allo stato, non conclusa), responsabilità allegate dalla parte resistente e contestate decisamente dalla ricorrente, secondo la quale eventuali carenze sarebbero da addebitare alla mancanza di fondi causata proprio dal mancato pagamento dei corrispettivi dovuti».
In tal modo, sarebbe stato «così precisato e delimitato l’oggetto RAGIONE_SOCIALEa lite sulla base RAGIONE_SOCIALEe domande reciprocamente formulate dalle parti».
La RAGIONE_SOCIALE, con nota del 25/10/2018, dopo aver segnalato al RAGIONE_SOCIALE la presenza di «anomalie nella gestione dei servizi e anche di natura contabile» aveva comunicato alla RAGIONE_SOCIALE «di volersi avvalere RAGIONE_SOCIALEa clausola risolutiva RAGIONE_SOCIALE‘atto pattizio (art. 13 Convenzione), ai sensi e per gli effetti RAGIONE_SOCIALE‘art. 1456 c.c. ‘per grave inadempimento, avendo codesta RAGIONE_SOCIALE comunicato la sospensione con decorrenza immediata RAGIONE_SOCIALE‘erogazione dei servizi di prima accoglienza nei centri gestiti’».
Dalla documentazione prodotta in giudizio – ad avviso del tribunale -risultava che l’RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto a trasmettere, sia pure in ritardo a trasmettere, «la documentazione prevista dalla Convenzione, come specificata anche a seguito RAGIONE_SOCIALE‘emanazione del D.M. 18/10/2017».
Sul contenuto di tale documentazione la RAGIONE_SOCIALE non aveva formulato alcuna specifica contestazione «eccezion fatta per le fatture relative al periodo maggio-ottobre 2017»,
Per tali fatture, infatti, la contestazione aveva riguardato esclusivamente la accertata anomalia dei fogli di firma (identiche
sottoscrizioni in diversi giorni RAGIONE_SOCIALEo stesso mese e differenze tra tali firme e quelle riportate nel report giornaliero).
Si trattava, peraltro, di una irregolarità solo formale, in ragione RAGIONE_SOCIALEe dichiarazioni rese dagli operatori RAGIONE_SOCIALEa struttura.
Aggiungeva il tribunale che «la contestazione sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE non appare suffragata da sufficienti elementi di prova» e che «pur dovendosi ravvisare l’esistenza di indizi a favore RAGIONE_SOCIALEa tesi RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione, non vi è dubbio che la contraria tesi del carattere meramente formale RAGIONE_SOCIALEe anomalie riscontrate appare confortata non solo dalle dichiarazioni rese dagli operatori sotto pena di una personale responsabilità ma anche dalla mancanza di altri riscontri negativi, facilmente desumibile, ove esistenti, da un complessivo esame RAGIONE_SOCIALEa documentazione allegata alle singole fatture».
Non risultava effettuato «un incrocio dei dati indicati nelle fatture e negli elenchi degli ospiti con i dati relativi all’erogazione del Pocket Money».
Concludeva il tribunale nel senso che «le anomalie riscontrate (e ammesse dalla stessa ricorrente) non potevano giustificare una RAGIONE_SOCIALEle sospensione dei pagamenti né per i mesi in contestazione né, a maggior ragione, per tutti i mesi successivi, fino a novembre 2018, in costanza di rapporto e in presenza di prestazioni effettuate dall’RAGIONE_SOCIALE e non specificatamente contestate dall’amministrazione».
Avverso tale ordinanza proponevano appello il RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, con il primo motivo d’appello la RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE deducevano che il tribunale aveva violato i principi generali in materia di inadempimento di cui all’art. 1218 c.c., in quanto si prevede la responsabilità risarcitoria del debitore «non solo per
inadempimento totale RAGIONE_SOCIALEa prestazione, ma anche per non averla eseguita ‘esattamente’ cioè secondo i parametri quantitativi e qualitativi concordati». Le prestazioni eseguite «erano state oggetto di contestazione in relazione alla mancanza dei minimi criteri qualitativi che potessero RAGIONE_SOCIALEre gli elementi di un ‘prestazione eseguita’.
Con il secondo motivo di appello deducevano la «violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 2697 c.c. in relazione all’onere probatorio RAGIONE_SOCIALEa parte attrice».
Il tribunale aveva affermato che dalle prove documentali la contestazione sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE non appariva suffragata da sufficienti elementi di prova.
Tale affermazione, però, conteneva un chiaro stravolgimento RAGIONE_SOCIALE‘onere probatorio.
Il tribunale, pur riconoscendo la insufficienza probatoria RAGIONE_SOCIALE‘attrice, aveva fatto carico alla convenuta amministrazione RAGIONE_SOCIALE‘onere probatorio che in realtà spettava all’attore.
Aggiungevano gli appellanti che «[q]uanto alla necessità di incrocio dei dati, il giudice era tenuto, avendone espresso la necessità, ad esperire un’adeguata istruttoria, anche mediante la nomina di un CTU, e non certo soprassedendo circa l’esigenza fondamentale RAGIONE_SOCIALEa prova del diritto, in assenza del quale il giudice era tenuto a respingere la domanda e non già ad accoglierla».
Con il terzo motivo di appello si deduceva la «violazione RAGIONE_SOCIALEe norme in materia probatoria e di contabilità pubblica», in quanto il RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto del tutto insufficiente la documentazione prodotta dalla RAGIONE_SOCIALE, in ragione RAGIONE_SOCIALEe anomalie riscontrate anche con rilievo penale.
La Corte d’appello di Roma accoglieva il gravame proposto dal RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, preliminarmente, rigettava l’eccezione di inammissibilità RAGIONE_SOCIALE‘appello per genericità, sottolineando che «il RAGIONE_SOCIALE appellante ha comunque prospettato le questioni ed i punti contestati dalla sentenza impugnata e le relative doglianze».
Inoltre, chiariva che «dall’esame RAGIONE_SOCIALEa copiosa documentazione versata in atti da entrambe le parti, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, non possa essere condivisa la delimitazione RAGIONE_SOCIALEa causa petendi », non potendosi prescindere «dal vaglio RAGIONE_SOCIALEe condotte tenute da entrambe le parti nell’ambito RAGIONE_SOCIALE‘esecuzione RAGIONE_SOCIALEa Convenzione del 6/12/2016 oggetto del presente giudizio», trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive ad esecuzione continuata.
Per la Corte territoriale la difesa erariale aveva contestato che il servizio di assistenza degli stranieri era stato svolto «in condizioni disumane» ed era stato caratterizzato, nel corso RAGIONE_SOCIALEa sua esecuzione, da «carenze ed inadempienze sotto il profilo strutturale e RAGIONE_SOCIALEa erogazione dei servizi in favore degli ospiti», con l’elencazione degli specifici interventi effettuati presso le strutture di accoglienza di Monte San Giovanni Campano, di Alatri, Veroli e Sora.
La Corte d’appello proseguiva elencando tutti gli interventi effettuati anche dai NAS presso le singole strutture, muovendo dalle contestazioni relative all’immobile sito in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO (da pag. 20; poi pag. 25; ospite affetto da TBC), in Alatri (da pagina 26), Veroli (da pagina 33) e Sora (da pagina 37).
Quanto alla CTU, la Corte territoriale ha rilevato che le fatture «non erano corredate dalla documentazione da egli stesso evidenziata» e che, in particolare, «non risultavano essere stati prodotti in atti i rendiconti RAGIONE_SOCIALEe spese (ad eccezione del mese di maggio 2017), gli elenchi ed i relativi fogli firma mensili degli operatori impegnati ed il report RAGIONE_SOCIALEe attività eseguite».
L’art. 1 RAGIONE_SOCIALEa Convenzione, invece, prevedeva che l’operatore affidatario «è tenuto a trasmettere alla RAGIONE_SOCIALE l’elenco dei fornitori di cui si avvale per l’espletamento RAGIONE_SOCIALEe prestazioni oggetto RAGIONE_SOCIALEa Convenzione».
Quanto all’efficacia probatoria RAGIONE_SOCIALEe dichiarazioni sostitutive di atto notorio, esse, pur avendo attitudine certificativa probatoria nelle procedure amministrative, risultavano priva di efficacia in sede giurisdizionale, dovendo essere sottoposta valutazione del giudice.
Si richiamavano le conclusioni del CTU, in base alle quali, «per le fatture relative alle mensilità da novembre 2017 a novembre 2018, per complessivi euro 1.145.015,40, non essendo stati prodotti in atti i fogli firma RAGIONE_SOCIALEe presenze ed i prospetti di erogazione dei Pocket Money, non risulta possibile verificare la corrispondenza degli importi fatturati con riferimento sia all’erogazione del servizio di accoglienza che dei Pocket Money che la RAGIONE_SOCIALE era tenuta ad effettuare in base alla Convenzione n. 32237 del 6/12/2016».
Con la precisazione, da parte del CTU, che «per il periodo novembre e dicembre 2017, ad eccezione RAGIONE_SOCIALEe fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, non risultano prodotti né i frontespizi, né la documentazione prescritta dalla Convenzione. Così per il periodo da gennaio a novembre 2018, ad eccezione RAGIONE_SOCIALEe fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, non risulta prodotta in atti la documentazione indicata nei frontespizi (quella prevista dal D.M. RAGIONE_SOCIALEe 18/10/2017); non risulta inoltre prodotto il frontespizio di novembre 2018».
Tra l’altro, le fatture prodotte erano carenti anche sotto il profilo RAGIONE_SOCIALEa compiuta identificazione RAGIONE_SOCIALEa causale posta a fondamento del credito, «dal momento che la causale indicata nelle fatture riguarda solo la generica indicazione del servizio fatturato ed il periodo temporale cui imputarlo, ma senza fare riferimento alcuno neanche al centro di accoglienza interessato».
Pertanto per il CTU «non essendo state prodotte in atti le fatture passive di RAGIONE_SOCIALE relative alle spese sostenute per l’accoglienza dei cittadini stranieri e per l’erogazione dei servizi connessi presso i centri di accoglienza indicati nella Convenzione o utilizzati in costanza RAGIONE_SOCIALEa stessa, non è possibile verificare documentalmente la riferibilità RAGIONE_SOCIALEe spese ai servizi erogati (quali i servizi di gestione amministrativa, i servizi di assistenza generica alla persona, i servizi di pulizia ed igiene ambientale, i servizi di erogazione dei pasti e di tutti i generi di prima necessità) presso le strutture nel periodo in esame».
Mancava, peraltro, la rendicontazione, mentre «l’unico rendiconto presente in atti è quello del mese di maggio 2017».
Per la Corte dunque «le fatture depositate e relative al periodo che va dal novembre 2017 al novembre 2018 non costituiscono documentazione sufficiente per consentire l’erogazione del corrispettivo previsto dalla Convenzione in base ai requisiti dalla stessa richiesti».
Tanto è vero che il CTU ha precisato nelle sue conclusioni l’importo da liquidare ad RAGIONE_SOCIALE «sulla base, e con i limiti, RAGIONE_SOCIALEa documentazione prodotta in atti, così come indicato nel quesito, in complessivi euro 1.668.839,90».
Per la Corte territoriale tale indicazione non è «coerente rispetto ai limiti ed alle lacune documentali evidenziate nella parte motiva RAGIONE_SOCIALEa CTU e cui si è fatto riferimento in precedenza; deve, quindi, essere ribadito che la somma da riconoscere in favore di RAGIONE_SOCIALE ammonta ad euro 750.694,20».
Dovevano essere respinti motivi di appello incidentale proposti dall’appellata RAGIONE_SOCIALE relativi alla liquidazione RAGIONE_SOCIALEe spese nel giudizio di primo grado ed alla domanda ex art. 96 c.p.c.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE.
Resisteva con controricorso il RAGIONE_SOCIALE–RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Questa Corte con ordinanza n. 25927 del 2024, depositata il 2/10/2024, ha rigettato il ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 823/2024 RAGIONE_SOCIALEa seconda sezione civile RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello di Roma, emessa nel giudizio per la revocazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 1910/2023, ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., che ha rigettato l’impugnazione RAGIONE_SOCIALEa società.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione degli articoli 115 e 116, e 395, n. 4, c.p.c.».
In particolare, la ricorrente la ricorrente afferma che «il presente ricorso si basa sulla completa omissione RAGIONE_SOCIALEe dichiarazioni e conclusioni del AVV_NOTAIO, AVV_NOTAIO, presenti nelle pagine 103,104,139,140 e 143 del suo elaborato peritale e, ovviamente, nell’errata disamina dei motivi RAGIONE_SOCIALEa citazione per revocazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 1910/2023».
La sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello n. 823 del 2024 impugnata in sede di legittimità, si sarebbe limitata «a trascrivere buona parte RAGIONE_SOCIALEa motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 1910/2023 censurata da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Dopo tale trascrizione RAGIONE_SOCIALEa motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 1910/2023 la Corte d’appello (sentenza n. 832 del 2024), in sede di giudizio di revocazione, ha affermato che «ne deriva, dalla semplice lettura RAGIONE_SOCIALEa motivazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza, che nessun errore percepito è ravvisabile nello sviluppo motivazionale RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello,
giacché risulta da quel collegio chiaramente evidenziato come lo stesso CTU, alle pagine 140,137,116,112 e 113 RAGIONE_SOCIALEa perizia (n.d.r. sopra sottolineate) avesse dato atto RAGIONE_SOCIALEa documentazione mancante, di talché la conclusione formulata dall’ausiliare a pagina 144 RAGIONE_SOCIALEa perizia non fosse coerente con i precedenti rilievi RAGIONE_SOCIALEo stesso CTU», con la precisazione per cui «è evidente, dunque, che qualsivoglia giudizio si voglia formulare sulle conclusioni adottate dalla Corte d’appello, viene in rilievo l’aspetto valutativo RAGIONE_SOCIALEe risultanze peritali e non già quello percettivo».
La sentenza RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello sarebbe erronea «sia nella parte in cui ha riportato passi RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 1910/2023 (dimenticando per errore percettivo i risultati del CTU nelle pagine menzionate 103,104,139,140 e 143), sia ed a maggior ragione nella parte in cui […] ritiene che l’impugnata sentenza n. 1910/2023 contenga una motivazione articolata e, quindi, una attenta valutazione del materiale probatorio utilizzato e non, invece, sia il frutto di un evidente errore percettivo RAGIONE_SOCIALEo stesso materiale probatorio».
Sarebbe, allora, evidente «la svista RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello di Roma», dimenticata «ora nella sentenza n. 823/2024».
In realtà – ad avviso RAGIONE_SOCIALEa ricorrente – il CTU avrebbe più volte rassicurato in ordine alla sussistenza di tutta la documentazione necessaria per la riscossione del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Il CTU avrebbe affermato che «dall’esame RAGIONE_SOCIALEa documentazione prodotta in atti, si evince che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha inviato alla prefettura la documentazione elencata nei ‘frontespizi’ (riportanti il timbro RAGIONE_SOCIALEa prefettura ‘posta in arrivo’) relativi ai mesi da maggio ad ottobre 2017 che risulta in linea con quella prevista dalla convenzione, prot. n. 32237 del 6/12/2016, e da gennaio a ottobre
2018 che risulta in linea con quella prevista dal D.M. del 18/10/2017 […]».
La Corte d’appello, invece, avrebbe dimenticato completamente tale circostanza commettendo, sia pagina 45, che nelle pagine 47 e 48 «questo gravissimo errore».
Trattasi di «errore percettivo e non di errore valutativo», in quanto il CTU, in più parti del suo elaborato peritale, aveva dichiarato che la documentazione prevista dalla convenzione del dicembre 2016 era stata «consegnata da RAGIONE_SOCIALE alla prefettura di RAGIONE_SOCIALE», come del resto aveva già accertato il tribunale di Roma».
La Corte d’appello di Roma non avrebbe «speso una parola sulle diverse pagine RAGIONE_SOCIALEa CTU (evidenziate da RAGIONE_SOCIALE), nelle quali lo stesso consulente spiega e dimostra perché, proprio secondo la convenzione sottoscritta dalle parti e nel rispetto RAGIONE_SOCIALEa normativa del c.d. Decreto Minniti, andassero liquidata di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE anche le fatture del periodo gennaio-ottobre 2018, per complessivi euro 918.145,70.
La Corte d’appello, dunque, si sarebbe limitata statuire che non trattavasi di errore percettivo, senza procedere a «comparare le dichiarazioni del CTU contenute nelle pagine 103,104,139,140 e 143, con le pagine 44-48 RAGIONE_SOCIALEa sentenza n. 1910/2023, nelle quali non vi è alcun cenno sull’esame RAGIONE_SOCIALEe precise dichiarazioni conclusioni del CTU, ma dalle quali si evince, invece, la chiara mancata percezione RAGIONE_SOCIALEe stesse dichiarazioni del CTU».
2. Il motivo è inammissibile.
Infatti, per questa Corte, nel ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza emessa nel giudizio di revocazione non sono deducibili censure diverse da quelle previste dall’art. 360 c.p.c. e, in particolare, non sono denunciabili ipotesi di revocazione ex art. 395 c.p.c., non rilevando, in contrario, la circostanza che la sentenza
pronunciata nel giudizio di revocazione non possa essere a sua volta impugnata per revocazione (Cass., sez. 15/12/2020, n. 28452).
2.1. Inoltre, costituisce principio consolidato di legittimità quello per cui L’errore di fatto rilevante ai fini RAGIONE_SOCIALEa revocazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza, compresa quella RAGIONE_SOCIALEa Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni RAGIONE_SOCIALEo stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass., sez., 6-2, 10/6/2021, n. 16439).
Ed infatti, l’errore di fatto, che può dar luogo a revocazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 395, n. 4, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 391bis cod. proc. civ., presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni RAGIONE_SOCIALEo stesso oggetto, una RAGIONE_SOCIALEe quali emergente dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, purché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio (Cass., sez.L, 12/4/2001, n. 5515).
La Corte di appello, con pieno accertamento meritale, ha ritenuto che non vi sia stata alcuna svista da parte del giudice di merito. Ha tra l’altro anche specificato che la censura formulata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era relativa ad un’errata valutazione RAGIONE_SOCIALEe risultanze processuali, sicché esulava dei profili RAGIONE_SOCIALEa revocazione.
Ed invero, l’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione RAGIONE_SOCIALEa realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione RAGIONE_SOCIALEe risultanze processuali (Cass., sez. 6-1, 26/1/2022, n. 2236).
La ricorrente, in realtà, chiede una nuova rivalutazione degli elementi di fatto già congruamente effettuata dalla Corte d’appello, in sede di revocazione, nella quale ha escluso, con assoluta precisione, la sussistenza di una «svista» compiuta da altro collegio RAGIONE_SOCIALEa Corte d’appello con la precedente sentenza n. 1910 del 2023.
Senza contare che il fatto era anche «controverso», in quanto si discuteva tra le parti proprio in ordine alla valutazione RAGIONE_SOCIALEe risultanze RAGIONE_SOCIALEa CTU; mentre la ricorrente, sia dinanzi alla Corte d’appello che in questa sede, continua a rimarcare che il giudice del merito avrebbe esaminato solo alcune pagine RAGIONE_SOCIALEa CTU e non altre, segnatamente quella da essa indicate.
Non può peraltro sfuggire che l’oggetto RAGIONE_SOCIALEa censura è un errore di fatto che sarebbe stato commesso dalla sentenza sulla revocazione (in pratica, è come se fosse stata proposta un’impugnazione per revocazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza di revocazione, inammissibile ex art. 403 cpc).
Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio RAGIONE_SOCIALEa soccombenza, a carico RAGIONE_SOCIALEa ricorrente e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 9.000,00, oltre spese prenotate a debito, oltre rimborso forfettario nella misura del 15% RAGIONE_SOCIALEe spese generali, Iva e cpa, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALEa ricorrente, RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , RAGIONE_SOCIALEo stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025