Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3001 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3001 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16975/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, in proprio, elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECOGNOME come da procura speciale in atti.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp. RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA C.INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME come d aprocura speciale in atti.
-controricorrente-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 1696/2023 depositata il 19/01/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. –RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) aveva citato in giudizio RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente procuratore e amministratrice di RAGIONE_SOCIALE, nonché RAGIONE_SOCIALE, chiedendo al Tribunale di Milano di dichiarare che il contratto di cessione di marchi del 13.11.2002, stipulato con RAGIONE_SOCIALE, aveva avuto ad oggetto tutte le domande e le registrazioni dei marchi “RAGIONE_SOCIALE“, nazionali ed esteri, con le conseguenti inibitorie all’uso di quei segni e, in subordine, e di condannare i convenuti al risarcimento dei danni subiti.
In particolare COGNOME asseriva che COGNOME, dopo aver ricevuto il corrispettivo concordato di euro 2.100.000,00, non aveva consentito la verifica del dato contabile garantito di un fatturato di euro 2.600.000,00 al 31.12.2002, e che RAGIONE_SOCIALE aveva reclamato la titolarità del marchio “RAGIONE_SOCIALE” per gli Stati Uniti e le altre nazioni americane; COGNOME sosteneva che, se non fosse stato affermato il suo diritto anche in ordine al marchio valido per l’America, i convenuti dovevano essere condannati per responsabilità precontrattuale o comunque per gli illeciti commessi a suo danno e deduceva l’inadempimento del contratto e l’esistenza di atti di concorrenza sleale.
I convenuti avevano contestato detta prospettazione e avevano svolto molteplici deduzioni; avevano, pertanto, chiesto il rigetto delle domande e, in via riconvenzionale, l’inibitoria all’uso dei marchi e brevetti non trasferiti, con le conseguenti condanne al risarcimento dei danni a vario titolo.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2462/2008, depositata il 26.02.2008 rigettò le domande, avanzate in via principale e
subordinata da COGNOME ritenendo che il contratto del 13.11.2002 avesse ad oggetto esclusivamente la cessione dei cinque marchi RAGIONE_SOCIALE identificati con gli estremi della registrazione per il prezzo di euro 2.100.000,00=, che la domanda di responsabilità precontrattuale era inammissibile e che non vi era alcuna prova della mala fede dei convenuti e, quindi, rigettò la domanda di risarcimento dei danni per violazione del patto di non concorrenza e di riduzione del prezzo per inadempimento alla garanzia prestata dalla cedente sul fatturato, in quanto non provata dall’attrice. Con la medesima sentenza il Tribunale respinse le domande riconvenzionali proposte da RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME e, in particolare la domanda di risarcimento danni per l’uso da parte di RAGIONE_SOCIALE del marchio RAGIONE_SOCIALE in Usa attraverso una propria licenziataria; il Tribunale, altresì, disattese la richiesta di inibitoria di ogni violazione del brevetto europeo n. NUMERO_DOCUMENTO e del corrispondente brevetto nazionale n. 1204901, compensando integralmente le spese di lite.
RAGIONE_SOCIALE propose appello, riproponendo le domande già formulate in primo grado, e censurando, in particolare, la sentenza impugnata nella parte in cui aveva escluso la responsabilità precontrattuale dei convenuti, sostenendo che questi ultimi avevano omesso di informarla dell’esistenza di ulteriori registrazioni dei marchi RAGIONE_SOCIALE, facendole intendere che le registrazioni indicate nel contratto del 13.11.2002 fossero le uniche esistenti, e che RAGIONE_SOCIALE non aveva ottemperato all’obbligo di farle verificare l’effettivo raggiungimento del fatturato minimo di 2.6 milioni di euro al 31.12.2002.
Gli appellati, costituitisi, proposero appello incidentale riproponendo le domande riconvenzionali del primo grado, chiedendo di inibire ogni violazione del brevetto europeo n. NUMERO_DOCUMENTO e del corrispondente brevetto nazionale n. 1204901 di proprietà di Keraunos e/o ogni condotta di concorrenza sleale; di
accertare e dichiarare la nullità della cessione intercorsa limitatamente al marchio sub e) del contratto del 13.11.2002, marchio comunitario 616151 del 1987 di esclusiva proprietà di Ponchio; di condannare COGNOME al risarcimento di ogni danno subito da ciascuno degli appellati.
La Corte d’Appello, con la sentenza n. 2872/2009, depositata il 13.11.2009, rigettò l’appello principale -ritenendo che fosse da escludere l’asserita responsabilità precontrattuale degli appellati poiché essa presupponeva la mancata perfezione dell’accordo, mentre, nel caso di specie, era stato concluso il contratto definitivo -e gli appelli incidentali proposti da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Questa sentenza è stata cassata dalla Corte di legittimità (sent. n.5762/2016) con rinvio alla Corte di appello di Milano.
La Corte meneghina, con la sentenza n.3065/2019, ha dichiarato inammissibile l’intervento di NOME COGNOME in qualità di liquidatrice e socia di RAGIONE_SOCIALE e le domande da questa proposte. Ha rigettato tutte le domande proposte da NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, e di NOME COGNOME in proprio; ha, quindi, accertato la responsabilità precontrattuale di NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, e di NOME COGNOME in proprio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) acquirente dei marchi di proprietà di RAGIONE_SOCIALE, condannandoli al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese giudiziali.
Avverso questa decisione NOME COGNOME NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE hanno presentato ricorso per cassazione con quattro motivi, seguiti da memorie.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 1696/2023, ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
NOME COGNOME personalmente e nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante pro tempore della società RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno proposto ricorso con due mezzi illustrati con memoria, chiedendo la revocazione ex art. 391 bis c.p.c. dell’ordinanza di legittimità n. 1696/2023 del 9 gennaio 2023, pubblicata in data 19 gennaio 2023, non notificata. RAGIONE_SOCIALE ha replicato con controricorso e memoria.
È stata disposta la trattazione camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con entrambi i motivi si chiede la revocazione dell’ordinanza impugnata deducendo l’errore di fatto ex art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c.
2.2. -Con il primo motivo, concernente la statuizione di condanna dei ricorrenti per responsabilità precontrattuale in favore di COGNOME, essi sostengono che la Corte sarebbe incorsa in errori di fatto che hanno portato a ritenere, erroneamente, sussistente un legittimo affidamento di Coswell/COGNOME circa l’acquisizione del marchio RAGIONE_SOCIALE per il mondo -laddove i fatti risultanti dai documenti in atti, e dalle confessioni della stessa controparte, escludevano che le parti avessero mai inteso addivenire ad una cessione dei marchi RAGIONE_SOCIALE per Paesi diversi da quelli specificamente indicati nel Contratto di cessione e/o attribuire ulteriori garanzie rispetto a quelle nello stesso Contratto pattuite. Deducono che tali errori di fatto hanno portato all’accoglimento delle domande di COGNOME/ COGNOME Si diffondono nella disamina delle emergenze istruttorie e dei documenti in atti a sostegno della censura.
2.3. -Con il secondo motivo, concernente il rigetto della domanda di risarcimento del danno per concorrenza sleale proposta dagli odierni ricorrenti nei confronti di COGNOME, essi sostengono che la Corte sarebbe incorsa in errori di fatto laddove ha ritenuto nonostante la sicura esistenza in fatto di atti illeciti da parte di RAGIONE_SOCIALE di turbativa del marchio RAGIONE_SOCIALE, nella sicura
titolarità di RAGIONE_SOCIALE – che la stessa società RAGIONE_SOCIALE non fosse più attiva e che il relativo marchio RAGIONE_SOCIALE non fosse stato dalla stessa rinnovato e che tale ragione aveva portato al rigetto della domanda risarcitoria da loro proposta; deducono che l’errore determinante risulterebbe dal giudicato interno prodottosi nel procedimento in ordine al fatto che mai il marchio RAGIONE_SOCIALE sia stato ceduto a COGNOME, come affermato ad altri fini nella stessa Ordinanza.
3.1. -I due motivi sono inammissibili e vanno disattesi.
3.2. -Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza o dell’ordinanza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali.
Le Sezioni Unite hanno più di recente precisato, in tema di revocazione delle pronunce di questa Corte, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte (Cass. Sez. U. n. 20013/2024; in tema anche Cass. n. 3190/2006; Cass. n. 3820/2014; Cass. n. 4456/2015; Cass. n. 3760/2018; Cass. n. 26643/2018; Cass. n. 16439/2021).
3.3. -Nel caso di specie, i due motivi sono inammissibili perché sollecitano il riesame del merito, in quanto non vertono sull’erronea
percezione di fatti, ma sollecitano un diverso apprezzamento del compendio probatorio, sia in merito alla ravvisata responsabilità precontrattuale da parte di NOME COGNOME in proprio e nella qualità di legale rapp. p.t. di RAGIONE_SOCIALE, nonché di NOME COGNOME in proprio nei confronti dell’acquirente RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) dei marchi di proprietà di RAGIONE_SOCIALE; sia in merito all’esclusione di atti di concorrenza sleale da parte di RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (anch’essa rappresentata dall’amministratore COGNOME) e di NOME COGNOME.
3.4. -Quanto al primo motivo del ricorso per revocazione, va osservato che la Corte di legittimità nell’ordinanza impugnata ha disatteso le censure svolte ai sensi dell’art.360, primo comma, n.5, c.p.c., avverso la statuizione di condanna per responsabilità precontrattuale ritenendole inammissibili e rimarcando: la marginalità della questione relativa al fax (introdotta con il primo motivo) perché non influente sulla motivazione; la completa ricostruzione del complesso probatorio da parte della Corte di merito ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale per violazione della buona fede e della correttezza non colta nella censura svolta per vizio motivazionale.
Orbene, la critica in esame ripropone sostanzialmente le argomentazioni, già sottoposte al giudice di legittimità, e, lungi dall’evidenziare errori di fatto, attacca le valutazioni compiute in fase di merito e sollecita un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie e dei numerosi documenti già presi in esame sia in fase di merito -e esaminati complessivamente, tenendo conto della lunga ed articolata trattativa svoltasi prima della conclusione del contratto -, che in sede di legittimità – ove è stata ribadito che la valutazione delle prove raccolte è riservata al giudice del merito -e che, quindi, hanno già costituito terreno di discussione delle parti.
3.5. -Quanto al secondo motivo, va osservato che lo stesso è inammissibile perché non si confronta affatto con la statuizione
impugnata. La Corte di legittimità, infatti, non ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dagli odierni ricorrenti, ma ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso per cassazione relativo, in parte perché generico, laddove aveva prospettato una contraddittorietà nella motivazione della sentenza di secondo grado, ed in parte perché volto a sollecitare il riesame del merito.
Va, altresì osservato che la circostanza relativa alla titolarità del marchio RAGIONE_SOCIALE non costituisce fatto sul quale si sia verificato un errore di percezione e che lo stesso non risulta posto a fondamento della decisione, ma viene utilizzata dagli odierni ricorrenti come argomento logico per pervenire ad un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie.
Ne consegue che la censura attuale non si confronta con la statuizione e propone considerazioni in ordine alla valutazione delle risultanze istruttorie e l’apprezzamento delle stesse in termini alternativi di guisa che risulta chiaramente estranea al perimetro del vizio revocatorio , atteso che è inammissibile la revocazione delle decisioni, anche della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., per errore di fatto, qualora lo stesso abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione, ove su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva, ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass. n.27897/2024).
4. -In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
-Dichiara inammissibile il ricorso;
-Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 10.000,00=, oltre euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;
-Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima