Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5624 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1   Num. 5624  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22923/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del presidente del consiglio di amministrazione p.t. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dal ProfAVV_NOTAIO NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona del Commissario straordinario p.t. Dott. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO Prof. NOME COGNOME e NOME COGNOME e dagli AVV_NOTAIO NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso l’ordinanza  della  Corte  di  cassazione  n.  13710/19,  depositata  il  7 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 26 settembre 2012, il Tribunale di Padova rigettò la domanda proposta dalla RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, avente ad oggetto la dichiarazione d’inefficacia, ai sensi dell’art. 67, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, di tre pagamenti dell’importo rispettivamente di Euro 489.255,00, Euro 214.178,28 ed Euro 64.800,00, effettuati dall’attrice in favore della convenuta nell’anno anteriore all’emissione del decreto di ammissione alla procedura concorsuale.
L’impugnazione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE fu accolta con sentenza del 27 dicembre 2016, con cui la Corte d’appello di Venezia condannò la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) al pagamento della somma complessiva di Euro 768.233,28, oltre interessi legali.
Il ricorso per cassazione proposto dalla RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) avverso la predetta sentenza è stato rigettato da questa Corte con ordinanza del 7 maggio 2019.
A fondamento della decisione, questa Corte ha ritenuto esaustiva e ragionevole la motivazione svolta in ordine alla sussistenza della scientia decoctionis , rilevando che la sentenza impugnata aveva proceduto ad un’ampia ricognizione della fattispecie, nell’ambito della quale aveva evidenziato una serie  coordinata di  indici  rivelatori,  la  cui  valutazione  risultava  sottratta  al sindacato di legittimità.
Ha escluso inoltre la configurabilità di un’omessa pronuncia in ordine alla domanda, proposta dalla ricorrente, di accertamento della parziale estinzione del credito derivante dall’accoglimento della revocatoria, in conseguenza della intervenuta ammissione della RAGIONE_SOCIALE al concordato preventivo e dell’omologazione del concordato, che prevedeva il pagamento dei creditori chirografari nella misura del 60%. Ha ritenuto infatti che, pur non avendo affrontato esplicitamente la questione, la sentenza impugnata l’avesse implicitamente rigettata, avendo condannato la ricorrente alla restituzione dell’intero importo dei
pagamenti revocati,  conformemente  al  principio  enunciato  dalla  giurisprudenza di legittimità, secondo cui il debito derivante dall’accoglimento della revocatoria proposta dal curatore non è suscettibile di compensazione con crediti vantati nei confronti del fallito, ancorché ammessi al passivo, essendo la compensazione ammissibile soltanto tra crediti e debiti derivanti da rapporti intercorsi direttamente con il fallito.
Avverso la predetta ordinanza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per revocazione, affidato a un solo motivo, illustrato anche con memoria. La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia un errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., sostenendo che, nella parte in cui ha ritenuto che essa ricorrente avesse proposto un’eccezione di compensazione tra un proprio credito e quello della RAGIONE_SOCIALE derivante dall’accoglimento della revocatoria, l’ordinanza impugnata è incorsa in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, non avendo tenuto conto delle conclusioni riportate negli atti di causa, con cui essa ricorrente aveva fatto valere, per l’ipotesi di accoglimento della revocatoria, il diritto a pagare soltanto il 60% dell’importo richiesto. Afferma che tale diritto non derivava dalla compensazione, non essendo stata mai dedotta l’esistenza di un controcredito, ma solo l’ammissione di essa ricorrente alla procedura di concordato preventivo, per effetto della quale avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 184 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267. Aggiunge che, essendo intervenuta l’omologazione del concordato, il quale prevedeva il pagamento dei creditori chirografari nella misura indicata, anche il credito della RAGIONE_SOCIALE doveva essere assoggettato alla falcidia concordataria, risultando anteriore all’apertura della procedura, anche se accertato successivamente.
1.1. Il motivo è inammissibile.
Le censure proposte dalla ricorrente hanno infatti ad oggetto l’interpretazione del ricorso per cassazione, ed in particolare del terzo motivo d’impugnazione, con il quale era stata dedotta la nullità della sentenza impugnata,
ai sensi degli artt. 112 e 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per omesso esame della domanda di accertamento della parziale estinzione del credito avente ad oggetto la restituzione dell’importo dei pagamenti revocati, in conseguenza dell’omologazione del concordato preventivo della RAGIONE_SOCIALE: in quanto volte ad affermare l’erroneità dell’ordinanza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che a sostegno della predetta domanda fosse stata eccepita la compensazione con un credito della RAGIONE_SOCIALE, anziché l’operatività della falcidia concordataria, le predette censure non possono trovare ingresso in questa sede, non riflettendo un errore revocatorio, ma un vizio incidente sulla valutazione del contenuto dell’atto d’impugnazione.
Com’è noto, l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, ivi comprese quelle della Corte di cassazione, postula l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali, e deve a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività, senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive, c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (cfr. Cass., Sez. VI, 10/06/2021, n. 16439; Cass., Sez. III, 14/02/2006, n. 3190). In riferimento alle sentenze di cassazione, esso deve inoltre riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, cioè quelli che la Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di cassazione (cfr. Cass., Sez. I, 22/10/2018, n. 26643; Cass., Sez. V, 5/03/2015, n. 4456; Cass., Sez. lav., 18/02/2014, n. 3820).
In quanto consistente in un errore percettivo, ovverosia in una falsa rappresentazione della realtà processuale, emergente prima facie dal confronto tra la decisione e gli atti o i documenti di causa, e tale da indurre a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto la cui verità risulti incontestabilmente
esclusa o stabilita, tale vizio non è configurabile nell’ipotesi in cui si affermi che la decisione di questa Corte sia conseguenza di un’errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area dell’impugnazione per revocazione la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (cfr. Cass., Sez. III, 29/03/2022, n. 10040; Cass., Sez. VI, 31/08/2017, n. 20635; Cass., Sez. II, 22/06/2007, n. 14608). Non può quindi ritenersi inficiata da un errore di fatto, tale da giustificarne la revocazione ai sensi degli artt. 391bis e 395 n. 4 cod. proc. civ., una decisione di legittimità della quale, come nella specie, si censuri la valutazione di uno dei motivi di ricorso, affermandosi che sia stata compiuta senza considerare le argomentazioni svolte nell’atto d’impugnazione, poiché ciò che viene dedotto, in tal caso, non è una falsa rappresentazione del contenuto dell’atto, dovuta a una mera svista materiale, ma un’errata individuazione dell’oggetto del ricorso, che, in quanto riconducibile all’interpretazione dell’atto, si traduce, ove effettivamente sussistente, in un errore di giudizio (cfr. Cass., Sez. VI, 27/04/2018, n. 10184; 15/02/2018, n. 3760; Cass., Sez. II, 12/05/2011, n. 10466).
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dal comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 10/11/2023